Vecchi farmaci, nuovi usi

09 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus

Vecchi farmaci, nuovi usi



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In medicina, così come alcune importanti scoperte sono avvenute per caso (per esempio la penicillina), non è raro che farmaci utilizzati per un determinata malattia mostrino proprietà utili anche per tutt’altra patologia. E’ questo il caso, tra i numerosi esempi che man mano si presentano, rispettivamente, di un farmaco comunemente usato nelle tossicodipendenze che potrebbe essere utile contro una malattia intestinale e di un antipertensivo di largo impiego che ha mostrato nell’animale capacità rigenerative in una patologia ereditaria muscoloscheletrica.

Approccio inedito al morbo di Crohn


Nel primo caso si tratta del naltrexone, molecola impiegata per la disassuefazione nelle tossicodipendenze e nell’alcolismo che, secondo uno studio pilota statunitense, se impiegato a basse dosi può alleviare i sintomi della malattia di Crohn. La terapia medica classica ricorre a cortisonici, immunosoppressori e altre molecole, terapie protratte, costose e con possibili effetti tossici. Nei pazienti trattati appunto con basse dosi di naltrexone e monitorati rispetto ai sintomi per 12 settimane, con una verifica della qualità di vita ogni quattro settimane per quattro mesi, si è ottenuto un miglioramento nell’89% dei casi, con il 67% che ha raggiunto la remissione; l’unico effetto indesiderato insorto in alcuni pazienti è consistito in disturbi del sonno. I ricercatori devono ancora chiarire il meccanismo d’azione che può spiegare tale effetto (il naltrexone è un antagonista dei recettori degli oppiacei), ritengono comunque che questo possa costituire un nuovo approccio, sicuro e meno costoso, a una patologia diffusa; intanto l’estate scorsa sono stati stanziati i fondi NIH per avviare uno studio di fase 2 con naltrexone nel Crohn.

Possibile speranza per Marfan e Duchenne


Un altro caso è quello che vede protagonista il losartan, antipertensivo d’uso comune che è stato il primo rappresentante di una classe recente, quella degli inibitori selettivi dei recettori dell’angiotensina II. In una ricerca statunitense la molecola ha mostrato di migliorare la rigenerazione muscolare in un modello sperimentale (nel topo) di distrofia di Duchenne, la patologia a base genetica tristemente nota per i suoi effetti devastanti di rapida e progressiva degenerazione muscolare in età giovanile. La Duchenne presenta somiglianze con una malattia ereditaria rara, la sindrome di Marfan, che comporta varie alterazioni tra cui la dilatazione dell’aorta con rischio di rottura e un indebolimento muscolare, e si è osservato che nei modelli animali il losartan è efficace nel bloccare un meccanismo chiave di entrambe le patologie. Infatti è stato dimostrato che la Marfan dipende da un’eccessiva attività del fattore di crescita TGF-beta nei muscoli, a causa della quale le fibre muscolari sono molto piccole e c’è un eccesso di tessuto connettivo: normalmente, quando il muscolo è danneggiato o stimolato dall’esercizio fisico ad aumentare la massa, la rigenerazione avviene prontamente grazie alla proliferazione di staminali in loco, ma se c’è troppo TGF-beta le cellule non raccolgono il segnale di ricrescita. Si era già verificato che bastava bloccare il TGF-beta nel topo con la Marfan per recuperare capacità di rigenerazione, struttura e funzione del muscolo, e si è quindi pensato a un’estrapolazione nella Duchenne, ottenendo il risultato con il losartan che, quando è stato somministrato per un lungo periodo, ha consentito miglioramenti funzionali sostanziali. Il farmaco infatti, oltre a regolare la pressione, contrasterebbe il TGF-beta con diversi meccanismi. Si tratta ora di verificare gli eventuali effetti nella patologia umana, e un trial clinico sta per essere avviato.

Viviana Zanardi



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