Test più leggero per battere l'H. pylori

14 aprile 2006
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Test più leggero per battere l'H. pylori



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Dodici milioni di italiani, secondo le ultime statistiche, hanno la gastrite e oltre un milione sono portatori di ulcera e non lo sanno. La grande novità degli ultimi vent’anni, però, è che non si tratta, come lungamente pensato, di patologie psicosomatiche o da stress dalle cause sconosciute, bensì a causarle è, in oltre il 90% dei casi, l’infezione da Helicobacter pylori. Una scoperta di notevole importanza se è valsa a due patologi australiani, Robin J Warren e Barry J. Marshall, il premio Nobel assegnato nel 2005. Oggi è noto a tutti che questo batterio non rappresenta soltanto un fattore di rischio per malattie come l’ulcera gastrica o il reflusso gastroesofageo ma, secondo alcuni studi, anche per altre patologie. Ulteriori contributi alla comprensione delle malattie da Helicobacter, e allo sforzo di eradicarlo, arrivano da un ricercatore italiano: Dino Vaira, professore associato del dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Bologna. Il suo gruppo di ricerca ha appena pubblicato uno studio sulla rivista internazionale Gut, dal quale emergono novità importanti in materia di screening. Ma qual è l’importanza dello screening nelle patologie da Helicobacter?

L’importanza dello screening


“Si tratta di un batterio estremamente pericoloso” ci spiega Vaira “tanto che, nel 1994, l’Helicobacter Pylori è stato classificato come oncogeno di prima classe per il cancro allo stomaco. Una pericolosità pari a quella del fumo per il cancro al polmone. Su 100 persone affette dalla malattia, 95 sono infettati dal batterio. Questo non significa che dall’infezione si arrivi per forza di cose al tumore, ma è sicuramente responsabile di un danno che può dare lesione neoplastica. Ecco perché in una riunione tenuta a Firenze l’anno scorso, per fissare le linee guida europee questo tema, è stato al centro dell’attenzione”. Con quali esiti? “Uno degli obiettivi per i prossimi cinque anni” precisa il ricercatore bolognese “è proprio l’eradicazione dell’Helicobacter in chiave anti-tumorale. Stiamo parlando di un tumore con un alta mortalità: basti pensare che su 850000 pazienti diagnosticati, 650000 ne muoiono. E’ il secondo tumore per mortalità dopo quello al polmone nel mondo e anche in Europa”. E il ruolo della prevenzione è importante? “Assolutamente sì” risponde Vaira. “Stiamo parlando di patologie molto frequenti. Su 50 pazienti che si rivolgono a un medico di medicina generale, 15, la la quota più elevata, hanno problemi di cuore ma 13 problemi gastrici e digestivi. E’ chiaro che su pazienti non sintomatici non è pensabile fare una gastroscopia, che è un intervento invasivo. Per quelli sintomatici, invece, si può considerare la gastroscopia ma, evidentemente, non per tutti”: E quali criteri si utilizzano? “In genere” spiega il medico bolognese “ il criterio base è quello dell’età. Si tratta di malattie in cui il rischio aumenta con l’età, così è stata fissata una linea di demarcazione a 55 anni. Se ci sono pazienti sopra questa età a rischio, è opportuna la gastroscopia. Se l’età è inferiore meglio ricorrere ai test per rintracciare indirettamente l’Helicobacter. In questo modo, se lo si identifica si può passare alla terapia. Va da sé che se i sintomi sono evidenti, come con un dimagrimento eccessivo e immotivato, feci nere, sangue dalla bocca o decadimento organico, in questo caso si fa la gastroscopia a prescindere dall’età. Ma sintomi così evidenti si ravvisano in 3 pazienti su 100”. E il vostro studio di che cosa si è occupato?

Lo studio


“Noi ci siamo soffermati”, illustra Vaira “sul test per riconoscere la presenza di Helicobacter pylori, tenendo presente che si tratta di un batterio molto diffuso, e su 20 milioni di ipotetici portatori, 10 sono sani e asintomatici ma altri 10 manifestano segnali come una cattiva digestione. Ci siamo soffermati su questi”. E quali sono i test possibili? “Le possibilità sono due: il test sul respiro e quello sulle feci. L’accuratezza è simile e si aggira sul 95%, perciò estremamente precisi nella diagnosi. Il problema è che il test sulle feci è semplice ed economico ma non molto gradito dal paziente. L’altro, che è quello di cui ci siamo occupati, trova un forte limite nei costi. Per farlo occorre, infatti, lo spettrometro di massa, un’apparecchiatura molto costosa (attorno ai 75000 euro), ma a ciò si aggiunge il costo della manutenzione. L’altro elemento necessario è l’urea marcata che rappresenta l’80% del kit per il test”. Ma che cosa c’entra il respiro con lo stomaco? “E’ presto detto”, dice il gastroenterologo. “Si somministra al paziente una bibita a base di urea marcata. In condizioni normali, non c’è interazione: la marcatura viene eliminata e se il paziente soffia non si vede niente. Nel paziente con Helicobacter si ha, invece, un’interazione con l’enzima ureasi, per cui la marcatura si immette nel torrente ematico respiratorio e così, al soffio del paziente, se ne vede traccia nel respiro. Ma questo “cappello” che si mette all’urea costa (35 euro per marcatura). Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo test nel 1990, lo standard era di 100 mg, poi ci si è uniformati a 75 mg”. E il vostro studio che cosa ha aggiunto? “Noi abbiamo dimostrato su un campione di 300 pazienti”, dice con orgoglio Vaira “ che è sufficiente un quinto della quantità di urea marcata, cioè solo 15 mg, per avere un test altrettanto accurato, quindi il costo va diviso per cinque.”. Un risultato importante? “Molto, e a due livelli, sia monitoraggio sia diagnosi. Si può vedere cioè sia che è presente il batterio sia come sta procedendo un’eventuale terapia”. E le prospettive future? “Stiamo lavorando su due fronti. Da una parte abbiamo concluso un’importante studio in doppio cieco su una terapia sequenziale per l’eradicazione di Helicobacter pylori, che auspichiamo sia la terapia del futuro. Dall’altra parte stiamo lavorando sugli aspetti diagnostici, per eliminare il ricorso allo spettrometro di massa nel test sul respiro. Il problema è sempre lo stesso, a fronte dei grandi numeri, pochi fanno il test, non più di mezzo milione, e questo perché è uno screening che costa e il campo di applicazione si restringe”.

Marco Malagutti



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