Troppi farmaci per gli anziani

08 febbraio 2006
Aggiornamenti e focus

Troppi farmaci per gli anziani



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"C'è un uso incongruo delle prescrizioni dei farmaci destinate agli anziani. E dunque, alcuni dei problemi che li riguardano non sono determinati tanto dalla necessità di destinare maggiori fondi alle loro esigenze, quanto invece di valutare con maggiore accuratezza le prescrizioni dei medici a loro destinate". Il problema è stato sollevato in questi termini, in un recente incontro, da Cinzia Caporale del Comitato Nazionale di Bioetica. E le statistiche sono sulla stessa lunghezza d'onda. Secondo uno studio europeo, coordinato da Roberto Bernabei, ordinario di Gerontologia e geriatria all'Università Cattolica di Roma e pubblicato su JAMA, il 26,5% degli anziani italiani esagerano con pasticche, iniezioni e spray. Spesso utilizzati anche in modo inappropriato. I farmaci, infatti, sono responsabili di almeno il 40% dei ricoveri degli over 65. I problemi vanno dalle reazioni avverse ai medicinali, alle interazioni tra diversi prodotti fino alle terapie farmacologiche inadeguate. A farla da padrone in questo contesto sono sicuramente gli psicofarmaci. E' noto, per esempio, che gli anticolinergici favoriscono situazioni di confusione mentale o di demenza da deficit colinergico. Su questo aspetto si è soffermato uno studio del British Medical Journal e le conclusioni confermano le preoccupazioni sul loro uso.

Al nonno ne servono tanti?


La ricerca francese si sofferma in particolare sul deficit cognitivo intermedio. Una condizione che potrebbe evolvere, ma non è detto, verso la demenza e che non viene mai molto indagata. Quello che si sa è che il passaggio dal deficit intermedio alla demenza vera e propria richiede dai cinque ai 10 anni ma poco si sa sulle cause, visto che gli studi epidemiologici si sono soffermati in particolare sui fattori di rischio per le malattie neurodegenerative vere e proprie. Una cosa, però, è sicura: un malfunzionamento del sistema colinergico ha un impatto deleterio sulla performance cognitiva. E i farmaci anticolinergici fanno la loro parte nel destabilizzare il sistema. In un contesto poi di ipermedicalizzazione dell'anziano, cui si accennava, i farmaci con effetti anticolinergici pullulano (antiemetici, antispastici, broncodilatatori, antiaritmici, antistaminici, analgesici, antipertensivi e la lista potrebbe continuare...). In più, la minor capacità di barriera a livello cerebrale nell'anziano, unita al rallentamento nelle funzioni di metabolismo ed eliminazione del farmaco peggiorano il quadro. I numeri del resto confermano questo uso/abuso, visto che il 30% della popolazione anziana statunitense usa più di due farmaci con effetto anticolinergico e il 5%, addirittura, più di cinque. Ma qual è la loro azione sul cervello? Aumentano davvero i rischi di demenza?

Lo studio


Di questo si sono occupati i ricercatori, prendendo in esame 372 soggetti ultrasessantenni senza alcuna forma di demenza al momento del "reclutamento". Lo studio longitudinale ha verificato il peso dell'uso di farmaci anticolinergici, l'esame cognitivo e il controllo neurologico. I risultati hanno confermato che i soggetti, che hanno usato con continuità i farmaci (9,2%) dimostrano, all'esame cognitivo, performance peggiori a livello di reattività, di attenzione, di memoria non verbale, di costruzione visuospaziale e di abilità linguistica, rispetto ai non utilizzatori. Un'ecatombe, se non fosse per la capacità di ragionamento nonché di ricordare liste di parole che rimangono intatte. L'80% dei soggetti esaminati che utilizzavano anticolinergici è stato diagnosticato con un deficit cognitivo intermedio, contro il 35% dei "puri" da farmaco. Si può così concludere che l'uso di queste sostanze sia un importante fattore predittivo del deficit, anche se nel rischio di demenza non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi. Per questo, concludono i ricercatori, i medici devono verificare attentamente l'eventuale uso di anticolinergici prima di altre prescrizioni. Anche perché il consistente consumo di farmaci non coincide con un effettivo bisogno o uno specifico aumento di malattie. E spesso può anche essere rischioso.

Marco Malagutti



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