20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
L'età della mente
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Con l'avanzare dell'età l'uomo va incontro anche a una serie di alterazioni cerebrali, spesso erroneamente associate a un aumentato rischio di demenza. I cambiamenti neuronali legati all'età, al contrario, sono segno innanzitutto di un'evoluzione, che, tolte eventuali predisposizioni genetiche, non portano certo ad una riduzione delle capacità psichiche, bensì a un progressivo miglioramento delle proprie abilità mentali. In particolare, con l'età tende a diminuire la cosiddetta "memoria recente" (si scorda più facilmente un numero di telefono, il nome di una persona, ...), mentre resta intatta o tende ad aumentare la cosiddetta "memoria procedurale", cioè la capacità di ricordare abitudini e abilità acquisite (come guidare la macchina o la bicicletta, scrivere a macchina, ...), la capacità di svolgere azioni riflesse in risposta a un condizionamento classico, nonché l'abilità a gestire ed esprimere le proprie emozioni. Lo stesso vale per le attività motorie: dagli "anta" in poi si riduce la gamma di attività, ma non l'efficienza di quelle ancora possibili. Naturalmente, per assicurarsi una mente sana e lucida, è necessario continuare ad allenare il cervello con studi, letture e con tutto ciò che imponga un ragionamento, proprio come si impegna un atleta a mantenere forti e attivi i muscoli del proprio corpo.
A partire dai 30 anni il cervello umano comincia a perdere ogni giorno un certo numero di neuroni, in modo progressivo (fino a 100.000 al giorno dopo i 70 anni). Tale processo prende il nome di apoptosi, che più semplicemente indica "morte cellulare geneticamente programmata", caratterizzata dalla frammentazione del DNA in una sorta di "suicidio cellulare autonomo", volto a mantenere un equilibrio numerico di cellule in un determinato sistema. Il termine deriva da un più generale utilizzo della parola, che riferita a fiori e piante indicherebbe la naturale caduta dalle piante di foglie e fiori ormai appassiti.
Con questo meccanismo il nostro organismo va incontro, con il passare degli anni, a una progressiva riduzione del peso e della qualità degli organi, tra cui il cervello, che dai 30 ai 75 anni arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue, oltre che ad una progressiva riduzione dei dendriti (le strutture necessarie ai neuroni per comunicare e connettersi tra loro).
Per contrastare l'inevitabile perdita di neuroni, il cervello dispone di un'elevata quantità di neuroni, di molto superiore alla quantità necessaria all'uomo per svolgere le normali funzioni di sopravvivenza. Tale caratteristica del cervello umano prende il nome di "ridondanza"; man mano che le cellule muoiono, altre si attivano e prendono il loro posto, salvaguardando le facoltà mentali. Oltre a questa qualità, il cervello gode anche di plasticità; pur essendoci aree cerebrali destinate a particolari funzioni (come la memoria, la comprensione, l'articolazione della parola, ...), è possibile che alcuni neuroni, inizialmente non specializzati, si qualifichino per svolgere particolare funzioni che in quel momento necessitano di un sostegno. Si pensi, per esempio, ai soggetti colpiti da ictus: non è raro che, dopo un po' di tempo e mirati programmi di riabilitazione, alcuni pazienti riescano a recuperare gradualmente l'utilizzo di un arto paralizzato o l'uso della parola.
Il ruolo dei radicali liberi
Molte sono le ipotesi sul perché avvengono nel tempo queste alterazioni neuronali. Una delle più diffuse associa l'accumulo di danno ossidativo alla perdita di funzionalità cerebrale. Questo soprattutto per le già note caratteristiche del sistema nervoso che si sa essere particolarmente suscettibile al danno ossidativo.
Per danno ossidativo si intende l'alterazione a danno di macromolecole fondamentali alla sopravvivenza cellulare (quali DNA, proteine e acidi grassi) a causa dei radicali liberi, sostanze chimiche con un elettrone spaiato nel loro orbitale più esterno e caratterizzate da un'elevata reattività e instabilità chimica. Esse (soprattutto i tipi OH• e ONOO-) sono in grado di attaccare il DNA di altre cellule, portando ad alterazioni genetiche e favorendo l'invecchiamento cellulare. Anche in condizioni fisiologiche l'organismo umano prevede una produzione di radicali liberi, che è in genere ben controbilanciata dai sistemi cellulari di natura enzimatica e da antiossidanti di origine endogena. Un'abnorme espansione del numero di radicali liberi, però, può seriamente alterare questo equilibrio naturale, favorendo lo stress ossidativo e, quindi, l'invecchiamento. Studi sperimentali hanno dimostrato, in particolare, una forte correlazione tra l'aumento di radicali liberi e un aumento dei danni al DNA contenuto nel mitocondrio (organo sub-cellulare in cui sono racchiusi gli enzimi necessari per lo svolgimento delle reazioni chimiche indispensabili per utilizzare l'energia contenuta negli alimenti). Tali modificazioni, a loro volta, sono state associate a un aumento del rischio di patologie neurodegenerative.
Per una mente in salute è bene ...
... Leggere, giocare a carte
E' ancora sconosciuto il modo esatto con cui l'uomo utilizza il cervello e il sistema nervoso in genere per acquisire le cognizioni. Quel che è certo, però, è che un continuo allenamento delle facoltà mentali aiuta ad allontanare il rischio di demenza e di deficit cognitivi in generale. Non solo: secondo approfondite indagini di un gruppo di ricercatori della University of Edinburgh, pubblicate sul n° 322 del British Medical Journal of Medicine 2001, pp. 819-822 sembra che i soggetti con un quoziente intellettivo (QI) elevato abbiano una speranza di vita superiore, rispetto ai soggetti con un QI inferiore. La ricerca ha coinvolto 2.792 bambini nati nel 1921, i quali sono stati analizzati dagli 11 anni d'età in poi, tramite la compilazione di appositi questionari in grado di valutare in punti il loro grado d'intelligenza. Dopo anni di studio, le donne e gli uomini che da ragazzi avevano ottenuto un maggior numero di punti con i test di QI hanno evidenziato anche una maggiore probabilità di vivere a lungo. In particolare, una donna che aveva totalizzato 115 punti ha evidenziato un 50% di probabilità in più di essere ancora viva al termine dello studio (1997), rispetto a una donna che aveva ottenuto 85 punti. Negli uomini, invece, gli stessi dati hanno dimostrato una probabilità di sopravvivenza del 32% circa. Più in generale, uno svantaggio nei risultati dei test di 15 punti all'età di 11 anni è stato associato a una probabilità del 79% di essere vivi all'età di 69 anni; uno svantaggio di 30 punti, invece, ridurrebbe la probabilità di raggiungere i 69 anni al 63%. La causa della correlazione tra longevità e QI non è ancora ben nota, ma i numerosi studi in grado di confermare la tesi rappresentano già di per sé un ottimo motivo per convincersi a non trascurare l'attività mentale. Ciò non significa studiare solo ed esclusivamente testi complicati, ma dedicarsi ad esercizi che "impegnino" i neuroni e sviluppino l'abilità a svolgere particolari attività, come: giocare a carte, leggere un libro, giocare a scacchi e, non per ultimo, stare in compagnia.
... evitare la solitudine
Secondo una ricerca pubblicata sul vol.355 della rivista The Lancet, 2000, Issue 9212, pp. 1315-1319, sembra che avere amici e frequentarli spesso aiuti a ridurre il rischio di demenza senile. L'indagine, condotta da Laura Fratiglioni, dirigente del Gerontological Research Center del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha coinvolto 1.203 adulti non dementi abitanti nel distretto di Kungsholmen (Svezia), esaminati all'inizio dello studio e, poi, a distanza di tre anni. Al termine dello studio a 176 pazienti è stata diagnosticata una forma di demenza. Da attente analisi dei risultati ottenuti, opportunamente allineati in base ad altre variabili, come l'età, il sesso e il livello scolastico raggiunto, i ricercatori hanno evidenziato che esistono alcuni elementi sociali in grado di ridurre il rischio di demenza futura e cioè: vivere con il coniuge e/o con i figli; frequentare spesso nipoti e bambini in generale; avere relazioni con amici e parenti. Più precisamente, tra i soggetti con un buon livello di rapporti interpersonali le diagnosi di nuovi casi di demenza sono state 19 ogni 1.000 pazienti all'anno. Tra i soggetti con pochi amici e conoscenti con cui trovarsi e scambiare "quattro chiacchiere" l'incidenza di demenza è stata pari a 160 nuovi casi su 1.000 pazienti all'anno. Nonostante sia ancora oscuro il perché di questa correlazione, i ricercatori ipotizzano che i rapporti sociali, stimolando il cervello e le emozioni, possano efficacemente rallentare l'insorgenza di deficit neuronali e, quindi, della demenza senile.
... mangiare bene
E' ormai noto che un regime alimentare ipocalorico, adeguatamente integrato con elementi nutritivi essenziali, può prolungare la durata media di vita. Se a ciò si associano le considerazioni sul ruolo dello stress ossidativo come una delle principali cause dell'invecchiamento e delle patologie neurodegenerative ad esso connesse, non è illogico pensare di contrastare eventuali danni cerebrali anche con un'alimentazione ricca si sostanze capaci di ostacolare la produzione dei radicali liberi. Ricerche su animali da laboratorio (Mech Ageing Dev 1994;74:121-133) sembrano confermare tale ipotesi. Gli animali sottoposti a un'alimentazione ipocalorica, ricca di sostanze antiossidanti o in grado di potenziare i sistemi endogeni di difesa dai radicali liberi, hanno infatti evidenziato una riduzione nella produzione di O2- e di H2O2 a livello mitocondriale e un minor accumulo di danno ossidativo.
Tra i vari alimenti che, da tempo, trovano posto nei cibi con attività antiradicalica si hanno, soprattutto, quelli ricchi di: selenio, vitamina C e vitamina E. In particolare, studi passati sembrano aver dimostrato che una corretta integrazione alimentare con vitamina C, vitamina E, beta-carotene e polifenoli (tutte sostanze in grado di neutralizzare l'azione dei radicali liberi) porterebbe a un miglioramento delle capacità cognitive (JAMA 1983;249:2917-2940). Poiché l'organismo umano, però, non è in grado di fabbricare da solo né vitamine, né sali minerali e né acidi grassi essenziali, è fondamentale alimentarsi correttamente, così da garantirsi un'integrità fisica e mentale che duri nel tempo.
Annapaola Medina
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Gli effetti del tempo
A partire dai 30 anni il cervello umano comincia a perdere ogni giorno un certo numero di neuroni, in modo progressivo (fino a 100.000 al giorno dopo i 70 anni). Tale processo prende il nome di apoptosi, che più semplicemente indica "morte cellulare geneticamente programmata", caratterizzata dalla frammentazione del DNA in una sorta di "suicidio cellulare autonomo", volto a mantenere un equilibrio numerico di cellule in un determinato sistema. Il termine deriva da un più generale utilizzo della parola, che riferita a fiori e piante indicherebbe la naturale caduta dalle piante di foglie e fiori ormai appassiti.
Con questo meccanismo il nostro organismo va incontro, con il passare degli anni, a una progressiva riduzione del peso e della qualità degli organi, tra cui il cervello, che dai 30 ai 75 anni arriva a perdere fino al 10% del suo peso e fino al 20% del suo rifornimento di sangue, oltre che ad una progressiva riduzione dei dendriti (le strutture necessarie ai neuroni per comunicare e connettersi tra loro).
Le "riserve" naturali
Per contrastare l'inevitabile perdita di neuroni, il cervello dispone di un'elevata quantità di neuroni, di molto superiore alla quantità necessaria all'uomo per svolgere le normali funzioni di sopravvivenza. Tale caratteristica del cervello umano prende il nome di "ridondanza"; man mano che le cellule muoiono, altre si attivano e prendono il loro posto, salvaguardando le facoltà mentali. Oltre a questa qualità, il cervello gode anche di plasticità; pur essendoci aree cerebrali destinate a particolari funzioni (come la memoria, la comprensione, l'articolazione della parola, ...), è possibile che alcuni neuroni, inizialmente non specializzati, si qualifichino per svolgere particolare funzioni che in quel momento necessitano di un sostegno. Si pensi, per esempio, ai soggetti colpiti da ictus: non è raro che, dopo un po' di tempo e mirati programmi di riabilitazione, alcuni pazienti riescano a recuperare gradualmente l'utilizzo di un arto paralizzato o l'uso della parola.
Il ruolo dei radicali liberi
Molte sono le ipotesi sul perché avvengono nel tempo queste alterazioni neuronali. Una delle più diffuse associa l'accumulo di danno ossidativo alla perdita di funzionalità cerebrale. Questo soprattutto per le già note caratteristiche del sistema nervoso che si sa essere particolarmente suscettibile al danno ossidativo.
Per danno ossidativo si intende l'alterazione a danno di macromolecole fondamentali alla sopravvivenza cellulare (quali DNA, proteine e acidi grassi) a causa dei radicali liberi, sostanze chimiche con un elettrone spaiato nel loro orbitale più esterno e caratterizzate da un'elevata reattività e instabilità chimica. Esse (soprattutto i tipi OH• e ONOO-) sono in grado di attaccare il DNA di altre cellule, portando ad alterazioni genetiche e favorendo l'invecchiamento cellulare. Anche in condizioni fisiologiche l'organismo umano prevede una produzione di radicali liberi, che è in genere ben controbilanciata dai sistemi cellulari di natura enzimatica e da antiossidanti di origine endogena. Un'abnorme espansione del numero di radicali liberi, però, può seriamente alterare questo equilibrio naturale, favorendo lo stress ossidativo e, quindi, l'invecchiamento. Studi sperimentali hanno dimostrato, in particolare, una forte correlazione tra l'aumento di radicali liberi e un aumento dei danni al DNA contenuto nel mitocondrio (organo sub-cellulare in cui sono racchiusi gli enzimi necessari per lo svolgimento delle reazioni chimiche indispensabili per utilizzare l'energia contenuta negli alimenti). Tali modificazioni, a loro volta, sono state associate a un aumento del rischio di patologie neurodegenerative.
Per una mente in salute è bene ...
... Leggere, giocare a carte
E' ancora sconosciuto il modo esatto con cui l'uomo utilizza il cervello e il sistema nervoso in genere per acquisire le cognizioni. Quel che è certo, però, è che un continuo allenamento delle facoltà mentali aiuta ad allontanare il rischio di demenza e di deficit cognitivi in generale. Non solo: secondo approfondite indagini di un gruppo di ricercatori della University of Edinburgh, pubblicate sul n° 322 del British Medical Journal of Medicine 2001, pp. 819-822 sembra che i soggetti con un quoziente intellettivo (QI) elevato abbiano una speranza di vita superiore, rispetto ai soggetti con un QI inferiore. La ricerca ha coinvolto 2.792 bambini nati nel 1921, i quali sono stati analizzati dagli 11 anni d'età in poi, tramite la compilazione di appositi questionari in grado di valutare in punti il loro grado d'intelligenza. Dopo anni di studio, le donne e gli uomini che da ragazzi avevano ottenuto un maggior numero di punti con i test di QI hanno evidenziato anche una maggiore probabilità di vivere a lungo. In particolare, una donna che aveva totalizzato 115 punti ha evidenziato un 50% di probabilità in più di essere ancora viva al termine dello studio (1997), rispetto a una donna che aveva ottenuto 85 punti. Negli uomini, invece, gli stessi dati hanno dimostrato una probabilità di sopravvivenza del 32% circa. Più in generale, uno svantaggio nei risultati dei test di 15 punti all'età di 11 anni è stato associato a una probabilità del 79% di essere vivi all'età di 69 anni; uno svantaggio di 30 punti, invece, ridurrebbe la probabilità di raggiungere i 69 anni al 63%. La causa della correlazione tra longevità e QI non è ancora ben nota, ma i numerosi studi in grado di confermare la tesi rappresentano già di per sé un ottimo motivo per convincersi a non trascurare l'attività mentale. Ciò non significa studiare solo ed esclusivamente testi complicati, ma dedicarsi ad esercizi che "impegnino" i neuroni e sviluppino l'abilità a svolgere particolari attività, come: giocare a carte, leggere un libro, giocare a scacchi e, non per ultimo, stare in compagnia.
... evitare la solitudine
Secondo una ricerca pubblicata sul vol.355 della rivista The Lancet, 2000, Issue 9212, pp. 1315-1319, sembra che avere amici e frequentarli spesso aiuti a ridurre il rischio di demenza senile. L'indagine, condotta da Laura Fratiglioni, dirigente del Gerontological Research Center del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha coinvolto 1.203 adulti non dementi abitanti nel distretto di Kungsholmen (Svezia), esaminati all'inizio dello studio e, poi, a distanza di tre anni. Al termine dello studio a 176 pazienti è stata diagnosticata una forma di demenza. Da attente analisi dei risultati ottenuti, opportunamente allineati in base ad altre variabili, come l'età, il sesso e il livello scolastico raggiunto, i ricercatori hanno evidenziato che esistono alcuni elementi sociali in grado di ridurre il rischio di demenza futura e cioè: vivere con il coniuge e/o con i figli; frequentare spesso nipoti e bambini in generale; avere relazioni con amici e parenti. Più precisamente, tra i soggetti con un buon livello di rapporti interpersonali le diagnosi di nuovi casi di demenza sono state 19 ogni 1.000 pazienti all'anno. Tra i soggetti con pochi amici e conoscenti con cui trovarsi e scambiare "quattro chiacchiere" l'incidenza di demenza è stata pari a 160 nuovi casi su 1.000 pazienti all'anno. Nonostante sia ancora oscuro il perché di questa correlazione, i ricercatori ipotizzano che i rapporti sociali, stimolando il cervello e le emozioni, possano efficacemente rallentare l'insorgenza di deficit neuronali e, quindi, della demenza senile.
... mangiare bene
E' ormai noto che un regime alimentare ipocalorico, adeguatamente integrato con elementi nutritivi essenziali, può prolungare la durata media di vita. Se a ciò si associano le considerazioni sul ruolo dello stress ossidativo come una delle principali cause dell'invecchiamento e delle patologie neurodegenerative ad esso connesse, non è illogico pensare di contrastare eventuali danni cerebrali anche con un'alimentazione ricca si sostanze capaci di ostacolare la produzione dei radicali liberi. Ricerche su animali da laboratorio (Mech Ageing Dev 1994;74:121-133) sembrano confermare tale ipotesi. Gli animali sottoposti a un'alimentazione ipocalorica, ricca di sostanze antiossidanti o in grado di potenziare i sistemi endogeni di difesa dai radicali liberi, hanno infatti evidenziato una riduzione nella produzione di O2- e di H2O2 a livello mitocondriale e un minor accumulo di danno ossidativo.
Tra i vari alimenti che, da tempo, trovano posto nei cibi con attività antiradicalica si hanno, soprattutto, quelli ricchi di: selenio, vitamina C e vitamina E. In particolare, studi passati sembrano aver dimostrato che una corretta integrazione alimentare con vitamina C, vitamina E, beta-carotene e polifenoli (tutte sostanze in grado di neutralizzare l'azione dei radicali liberi) porterebbe a un miglioramento delle capacità cognitive (JAMA 1983;249:2917-2940). Poiché l'organismo umano, però, non è in grado di fabbricare da solo né vitamine, né sali minerali e né acidi grassi essenziali, è fondamentale alimentarsi correttamente, così da garantirsi un'integrità fisica e mentale che duri nel tempo.
Annapaola Medina
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