09 maggio 2007
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Ha cominciato il Michigan, primo stato negli USA a introdurre la vaccinazione obbligatoria contro il papillomavirus umano (HPV) rivolta alle ragazze di 11-12 anni. Poi è stata la volta del Texas dove le ragazze non vaccinate non potranno accedere alla scuola media, a meno che i genitori non dichiarino di essere obiettori alle vaccinazioni per motivi religiosi o di coscienza. Un provvedimento importante e molto discusso, che, come si può ben immaginare, non ha mancato di sollevare polemiche e dibattiti. E non si tratta del solito conflitto scienza-religione. C'è di più. Del resto l'obbligatorietà delle vaccinazioni ha incontrato negli ultimi anni resistenze per motivi filosofici, politici, ideologici ma anche scientifici. Della questione in riferimento alla vaccinazione anti HPV si occupa un'editoriale di Jama. Le conclusioni? Per l'obbligo forse è meglio aspettare ancora un po'.
La malattia intanto, il tumore del collo dell'utero cioè, non è da sottovalutare, sottolinea l'editoriale. Ogni anno colpisce 500000 donne in tutto il mondo e ne uccide 250000. Il colpevole è stato identificato da tempo ed è l'HPV, trasmesso per via sessuale, e da tempo sono noti anche i tipi virali responsabili dell'infezione, che è condizione sufficiente a promuovere il tumore. La grande novità sanitaria dell'ultimo periodo è la scoperta del vaccino, rivolto ai due tipi virali responsabili del maggior numero di neoplasie, il 16 e il 18, oltre ai due più spesso implicati nello sviluppo dei condilomi, 6 e 11. Un vaccino la cui efficacia sfiora il 100% e che, per essere davvero efficace, deve essere somministrato prima dell'inizio dell'attività sessuale. La raccomandazione parla, infatti, di 12 anni. Raccomandato, però, è un conto, obbligatorio è un altro. Ecco perché l'iniziativa di alcuni stati americani ha fatto scalpore. Forse troppo frettolosa la richiesta, sottolinea l'editoriale, in virtù di questioni etiche ma non solo. Va rilevato, infatti, che mancano i dati su efficacia e sicurezza a lungo termine. Per ora il periodo di follow up esaminato è di cinque anni e riguarda una popolazione piuttosto esigua. In virtù di questo sembra poco saggio prevedere l'obbligo o che il medico da questo punto di vista assuma un ruolo coercitivo. Ci si può aspettare in risposta un atteggiamento preoccupato da parte delle famiglie. E se poi degli effetti avversi si manifestassero davvero? Come verrebbero risarcite le famiglie? Dal punto di vista etico, dice Jama, uno stato che obbliga alla vaccinazione, dovrebbe prevedere anche un sistema di compensazione. Ma le perplessità non finiscono qui.
Non si parla di un virus che si diffonde per via aerea ad alta infettività e non c'è il rischio di rapida trasmissione del virus nelle scuole, come succede per esempio con il morbillo. In più il vaccino non crea immunità di gruppo, tanto che la giustificazione principale alla vaccinazione è quella di proteggere le donne dai rischi a lungo termine, non di prevenire i danni a terzi. Poi c'è la questione dei costi. Il vaccino costa circa 360 dollari statunitensi (280 euro) per le tre dosi necessarie. Molto più di quanto non si spenda per i vaccini delle altre malattie dell'infanzia. E su chi ricadrebbero questi costi? Gli studi costo-efficacia disponibili hanno dato risultati contrastanti. E la politica non ha ancora dato le risposte attese quanto a eventuali rimborsi. Le conclusioni dell'editoriale sono inevitabili. Quando tra qualche anno saranno maggiori le informazioni sul vaccino e sul suo rapporto rischio-beneficio, allora si potrà parlare di vaccinazione come condizione di ingresso a scuola. Nel frattempo è bene che la vaccinazione resti raccomandata e contemplata insieme ad altre misure preventive: dal sesso sicuro al Pap test, fino all'educazione sulle malattie sessualmente trasmissibili. In questo modo la cosa diventerà anche più metabolizzata a livello sociale, aspetto indispensabile per una misura di salute pubblica.
Marco Malagutti
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Raccomandare è un conto
La malattia intanto, il tumore del collo dell'utero cioè, non è da sottovalutare, sottolinea l'editoriale. Ogni anno colpisce 500000 donne in tutto il mondo e ne uccide 250000. Il colpevole è stato identificato da tempo ed è l'HPV, trasmesso per via sessuale, e da tempo sono noti anche i tipi virali responsabili dell'infezione, che è condizione sufficiente a promuovere il tumore. La grande novità sanitaria dell'ultimo periodo è la scoperta del vaccino, rivolto ai due tipi virali responsabili del maggior numero di neoplasie, il 16 e il 18, oltre ai due più spesso implicati nello sviluppo dei condilomi, 6 e 11. Un vaccino la cui efficacia sfiora il 100% e che, per essere davvero efficace, deve essere somministrato prima dell'inizio dell'attività sessuale. La raccomandazione parla, infatti, di 12 anni. Raccomandato, però, è un conto, obbligatorio è un altro. Ecco perché l'iniziativa di alcuni stati americani ha fatto scalpore. Forse troppo frettolosa la richiesta, sottolinea l'editoriale, in virtù di questioni etiche ma non solo. Va rilevato, infatti, che mancano i dati su efficacia e sicurezza a lungo termine. Per ora il periodo di follow up esaminato è di cinque anni e riguarda una popolazione piuttosto esigua. In virtù di questo sembra poco saggio prevedere l'obbligo o che il medico da questo punto di vista assuma un ruolo coercitivo. Ci si può aspettare in risposta un atteggiamento preoccupato da parte delle famiglie. E se poi degli effetti avversi si manifestassero davvero? Come verrebbero risarcite le famiglie? Dal punto di vista etico, dice Jama, uno stato che obbliga alla vaccinazione, dovrebbe prevedere anche un sistema di compensazione. Ma le perplessità non finiscono qui.
L'importanza della prevenzione
Non si parla di un virus che si diffonde per via aerea ad alta infettività e non c'è il rischio di rapida trasmissione del virus nelle scuole, come succede per esempio con il morbillo. In più il vaccino non crea immunità di gruppo, tanto che la giustificazione principale alla vaccinazione è quella di proteggere le donne dai rischi a lungo termine, non di prevenire i danni a terzi. Poi c'è la questione dei costi. Il vaccino costa circa 360 dollari statunitensi (280 euro) per le tre dosi necessarie. Molto più di quanto non si spenda per i vaccini delle altre malattie dell'infanzia. E su chi ricadrebbero questi costi? Gli studi costo-efficacia disponibili hanno dato risultati contrastanti. E la politica non ha ancora dato le risposte attese quanto a eventuali rimborsi. Le conclusioni dell'editoriale sono inevitabili. Quando tra qualche anno saranno maggiori le informazioni sul vaccino e sul suo rapporto rischio-beneficio, allora si potrà parlare di vaccinazione come condizione di ingresso a scuola. Nel frattempo è bene che la vaccinazione resti raccomandata e contemplata insieme ad altre misure preventive: dal sesso sicuro al Pap test, fino all'educazione sulle malattie sessualmente trasmissibili. In questo modo la cosa diventerà anche più metabolizzata a livello sociale, aspetto indispensabile per una misura di salute pubblica.
Marco Malagutti
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