Che fine ha fatto l'ormone sostituto?

18 febbraio 2004
Aggiornamenti e focus

Che fine ha fatto l'ormone sostituto?



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Uno studio sul British Medical Journal si interroga su quale possa essere attualmente il ruolo della terapia ormonale sostitutiva (HRT) in menopausa. Sono passati un paio di anni dalla pubblicazione dei grandi trial clinici che hanno smentito l'effetto protettivo cardiovascolare della HRT e, anzi, hanno mostrato che esiste non soltanto un aumento del rischio di malattia coronarica e ictus, per non parlare di disturbi meno gravi come le tromboembolie venose, ma anche un aumento dei tumori della mammella. A rendere più complicato il quadro c'è che mentre gli effetti sul seno sono cumulativi, cioè si parla di almeno 5 anni di assunzione, quelli cardiovascolari tendono a presentarsi anche nel breve periodo, cioè dopo un anno. Chiuso definitivamente, infine, il capitolo della prevenzione dell'osteoporosi: per ottenere risultati occorre continuare molto a lungo, con le conseguenze già descritte.

Controllare i sintomi


Ciononostante, un'indicazione resta e cioè il controllo della sintomatologia dovuta al climaterio: le vampate, la sudorazione notturna la secchezza della vagina, ma anche le sindromi depressive. In questo l'HRT potrebbe avere ancora un ruolo, sostengono, gli autori ma ad alcune condizioni. Per cominciare che i sintomi siano forti e che, forti o meno, siano effettivamente piuttosto controproducenti per la qualità della vita. Non avrebbe invece alcun senso intraprendere la terapia per disturbi lievi-medi. Inoltre, si deve trattare di donne con un basso rischio di carcinoma del seno (quindi senza precedenti in famiglia, di corporatura magra)
Lo studio ha assunto per i suoi calcoli che la somministrazione di estrogeni e progestinici potrebbe durare con vantaggio per cinque anni, periodo dopo il quale è opportuno smettere: si perdono i benefici ma anche i rischi.

Non è il caso di sminuire il rischio


L'impostazione del discorso, però, viene contestata da un editoriale pubblicato nello stesso numero della rivista. Lì si dice che gli autori hanno valutato molto ottimisticamente il rischio cardiovascolare e quello oncologico del trattamento. In realtà, se si prendono per buone le conclusioni dei trial, quello cardiovascolare raddoppia e non aumenta di un quarto o poco più come si sostiene nello studio. C'è poi un altro aspetto che viene sottolineato, e cioè che non si dispone per ora di preparati ormonali che consentano di scalare la dose così da ottenere il controllo dei sintomi con la minima quantità possibile di ormoni. In effetti è una carenza abbastanza grave se si considera che anche chi sostiene l'uso dell'HRT per il trattamento dei sintomi sottolinea che l'approccio va "ritagliato su misura" per la singola paziente; in questi casi dosaggi fissi sono di ben poco aiuto.
L'editoriale, comunque, mette anche in guardia dal ricorso a rimedi più o meno naturali, come i supplementi nutrizionali a base di fitoestrogeni, cioè estrogeni di origine vegetale. Non essendo farmaci, questi prodotti non richiedono sperimentazioni accurate per essere commercializzati e non è detto che siano più sicuri della terapia ormonale sostitutiva tradizionale. In fin dei conti, ci sono voluti 25 anni per scoprire che l'HRT non aveva i vantaggi sperati: non è il caso di cominciare un'altra storia senza una sperimentazione adeguata.

Maurizio Imperiali



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