Femminilità mutilata, maternità difficile

06 giugno 2006
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Femminilità mutilata, maternità difficile



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"Partorirai con dolore" disse qualcuno molto tempo fa e così fu dalla notte dei tempi. Ma per alcune donne le cose possono ulteriormente peggiorare se nascono in comunità etniche in cui le mutilazioni genitali appartengono alla cultura e alle tradizioni. Quanto possono peggiorare non è stato finora ben definito, in mancanza di studi tecnicamente attendibili, ciò non toglie che organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani sono da molto tempo sul campo per cercare di abolire queste usanze. E comunque, al di là delle ragioni etiche, l'ipotesi che ci possano essere conseguenze sulla salute di madre e figlio esiste è fondata, parzialmente provata, ma non è del tutto chiaro quale siano i suoi limiti.

I gradi di una mutilazione


A occuparsene questa volta è un gruppo di lavoro dell'Organizzazione mondiale della sanità e per la prima volta il campione di donne preso in considerazione è veramente ampio: più di 28 mila future mamme che si erano presentate in 28 centri di ostetricia nelle regioni africane del Burkina Faso, del Ghana, del Kenya, della Nigeria, del Senegal e del Sudan per partorire per la prima volta. La partecipazione consisteva nel sottoporsi a un esame dei genitali esterni, prima del parto per accertare la presenza o meno di mutilazioni. Alla nascita del bambino venivano registrate le condizioni di entrambi fino al momento della dimissione dal centro.L'Organizzazione mondiale della sanità riconosce diversi tipi di mutilazione che ha classificato in tre gradi. Le mutilazioni di grado I sono la rimozione del prepuzio femminile, cioè il tessuto che riveste il clitoride, con eventuale asportazione della stessa. Le mutilazioni di grado II sono la rimozione del clitoride con totale o parziale rimozione delle piccole labbra. Quelle di grado III interessano tutto o parte dei genitali esterni, è l'infibulazione, cioè la suturazione o restringimento dell'apertura vaginale.

Complicanze ulteriori


A conferma di quanto detto da addetti ai lavori e da studi meno sistematici, le donne che avevano subito mutilazioni correvano maggior rischio di andare incontro a complicanze durante e dopo il parto e l'esito negativo interessava anche il neonato. Per esempio, aumentava il rischio di emorragia post parto con necessità di trasfusione, rischio che aumentava con il grado di mutilazione, era doppio nelle donne che avevano subito l'infibulazione. Erano più alte le probabilità di resta in ospedale per più di tre giorni dopo aver partorito. L'episiotomia, che è una pratica piuttosto usata in sala parto, è un incisione chirurgica della vagina, praticata per facilitare il passaggio del feto, nelle donne senza mutilazioni genitali era stata praticata nel 41% dei casi (le percentuali diminuiscono nei parti successivi), con l'infibulazione diventava quasi la norma: 88% dei casi. E in questi casi c'era anche un maggior rischio di lacerazione perineale, che per altro persisteva anche senza episiotomia. Anche il neonato subiva le conseguenze delle mutilazioni della madre, laddove c'erano aumentavo le probabilità di rianimazione e di morte perinatale.

Cicatrici che segnano

Le ragioni di questi esiti negativi ed effetti avversi non sono ancora del tutto chiari, anche perché le pratiche variano da paese a paese. Ma in ogni caso le mutilazioni vengono eseguite su donne molto giovani, generalmente su bambine che non hanno ancora raggiunto i 10 anni di età. Le lesioni inferte generano tessuti cicatriziali che rendono certamente meno elastico il tessuto vaginale e perineale di quanto lo siano normalmente, creando una resistenza che degenera in lacerazioni durante il parto.Gli autori del lavoro sottolineano che potrebbe anche esserci un difetto metodologico in quanto in questi paesi ci si rivolge a un centro per partorire quando comunque già sussistono rischi di un parto complicato, quindi gli esisti negativi potrebbero essere rappresentati artificialmente in eccesso. D'altra parte è anche vero le complicanze durante il parto attribuibili alle mutilazioni che vengono affrontate al di fuori del regime ospedaliero vanno incontro a esiti ben più gravi di quelli registrati dai ricercatori dell'Oms.

Simona Zazzetta



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