08 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Il peso della famiglia
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Il peso alla nascita è un indicatore importante per predire la futura salute del bambino. Tuttavia, non sempre il peso giusto è quello che si legge semplicemente sulla bilancia della sala parto o, per meglio dire, quel peso non esprime automaticamente il fatto che ci sia stato un ritardo della crescita. Tutto, come spiega uno studio danese, dipende dal criterio che si addotta per valutare la normalità del peso. Tradizionalmente a questo scopo si impiegano delle tabelle che altro non sono che una schematizzazione del dato statistico relativo a una certa popolazione. Vale a dire che se la maggioranza dei bambini nati in una certa area mostra un peso compreso in un certo intervallo, quello verrà giudicato l'intervallo normale, ed eventuali scostamenti in più o in meno verranno classificati di conseguenza. Questo principio vale tanto per il peso alla nascita quanto per il peso nelle varie fasi della gestazione. Però, non è detto che un bambino piccolo sia effettivamente vittima di un ritardo nella crescita, perché potrebbe essere costituzionalmente piccolo e quindi aver espresso tutto il suo potenziale di crescita; al contrario, bambini con un peso nella norma potrebbero invece aver subito ritardi rispetto al peso, per così dire, iscritto nei geni.
Come deciderlo? La risposta dei ricercatori danesi è piuttosto semplice: attraverso il peso alla nascita del fratellino più anziano. Infatti, già da qualche tempo era stata dimostrata la tendenza nelle madri a partorire bimbi di peso molto simile, in pratica il primogenito dà un'indicazione abbastanza precisa del peso che ci si deve attendere ai parti successivi. E per mettere alla provo il concetto in modo statisticamente robusto, sono stati presi in considerazione tutti i nati in Danimarca dal 1979 al 2002, che avessero almeno un fratello o una sorella, il sesso non veniva preso in considerazione. Dopodiché in base al peso alla nascita del più anziano veniva calcolato il peso ideale del neonato, per ottenere un rapporto tra il peso predetto e quello reale, rapporto che poteva essere considerato come la misura in cui il piccolo aveva raggiunto il suo potenziale. Ovviamente la valutazione veniva completata anche con il confronto con le tabelle statistiche, così da stabilire se il peso effettivo andava classificato normale o inferiore alla media. Il risultato, su un totale di oltre 400000 bambini, è duplice. Innanzitutto si conferma che quando si è di fronte a un basso peso alla nascita, patologicamente basso, si ha un effettivo aumento della mortalità, indipendentemente dal fatto che si sia raggiunto il peso a suo tempo raggiunto dal fratello o dalla sorella. Il che è abbastanza logico: se a suo tempo il consanguineo ha avuto problemi di crescita, e il fratello non si comporta meglio, non può andare diversamente. Tuttavia, se anche si raggiunge un peso che rientra nella norma statistica, ma è inferiore a quello del consanguineo, aumentano i pericoli, e quanto maggiore è lo scostamento tanto più gravi sono: in dettaglio, se il peso è il 90% di quello atteso si ha già un aumento del rischio di morte neonatale. Secondo gli autori, non è detto che questo nuovo indicatore possa essere di impiego immediato nella pratica corrente, né che si possa abbandonare il precedente sistema, anzi. Ma sicuramente, soprattutto quando si conducono studi epidemiologici, combinare i due indici è molto utile.
Gianluca Casponi
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Le mamme tendono a ripetersi
Come deciderlo? La risposta dei ricercatori danesi è piuttosto semplice: attraverso il peso alla nascita del fratellino più anziano. Infatti, già da qualche tempo era stata dimostrata la tendenza nelle madri a partorire bimbi di peso molto simile, in pratica il primogenito dà un'indicazione abbastanza precisa del peso che ci si deve attendere ai parti successivi. E per mettere alla provo il concetto in modo statisticamente robusto, sono stati presi in considerazione tutti i nati in Danimarca dal 1979 al 2002, che avessero almeno un fratello o una sorella, il sesso non veniva preso in considerazione. Dopodiché in base al peso alla nascita del più anziano veniva calcolato il peso ideale del neonato, per ottenere un rapporto tra il peso predetto e quello reale, rapporto che poteva essere considerato come la misura in cui il piccolo aveva raggiunto il suo potenziale. Ovviamente la valutazione veniva completata anche con il confronto con le tabelle statistiche, così da stabilire se il peso effettivo andava classificato normale o inferiore alla media. Il risultato, su un totale di oltre 400000 bambini, è duplice. Innanzitutto si conferma che quando si è di fronte a un basso peso alla nascita, patologicamente basso, si ha un effettivo aumento della mortalità, indipendentemente dal fatto che si sia raggiunto il peso a suo tempo raggiunto dal fratello o dalla sorella. Il che è abbastanza logico: se a suo tempo il consanguineo ha avuto problemi di crescita, e il fratello non si comporta meglio, non può andare diversamente. Tuttavia, se anche si raggiunge un peso che rientra nella norma statistica, ma è inferiore a quello del consanguineo, aumentano i pericoli, e quanto maggiore è lo scostamento tanto più gravi sono: in dettaglio, se il peso è il 90% di quello atteso si ha già un aumento del rischio di morte neonatale. Secondo gli autori, non è detto che questo nuovo indicatore possa essere di impiego immediato nella pratica corrente, né che si possa abbandonare il precedente sistema, anzi. Ma sicuramente, soprattutto quando si conducono studi epidemiologici, combinare i due indici è molto utile.
Gianluca Casponi
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