La pillola non aggrava il lupus

21 dicembre 2005
Aggiornamenti e focus

La pillola non aggrava il lupus



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Il lupus eritematoso sistemico (LES), oltre a essere una malattia autoimmune su cui si può intervenire efficacemente solo se la diagnosi è precoce, colpisce soprattutto le donne giovani. Il picco massimo di incidenza è a 37 anni, nel pieno quindi del periodo fertile e, comunque, in una fase della vita in cui è molto probabile desiderare un figlio. Purtroppo la gravidanza, in queste donne, è controindicata: peggiora la malattia. Il LES, infatti, se il concepimento avviene durante la fase attiva, diviene ancora più acuto, e possono aversi conseguenze negative sui nascituri. Lo stesso dicasi per i farmaci usati in questa patologia, che possono avere effetti potenzialmente teratogeni. Diventa quindi necessario più che mai programmare un'eventuale gravidanza, e avere un controllo piuttosto stretto sulla capacità riproduttiva della coppia.
I metodi contraccettivi che danno maggiori garanzie sono quelli ormonali, che per altro hanno un effetto protettivo sulla funzione ovarica, mitigando l'infertilità che potrebbe derivare dalla terapia a base di ciclofosfamide, assunta per trattare il LES, e riducono la perdita ossea e l'osteoporosi che può verificarsi con i glucocorticoidi.
Tuttavia, la prescrizione della cosiddetta pillola non è una pratica universalmente accettata, in quanto esiste un dibattito sui potenziali effetti negativi degli estrogeni esogeni. In realtà negli ultimi dieci anni l'atteggiamento proibitivo è cambiato: anche se alcuni studi hanno dimostrato un aumento dell'incidenza nei casi di LES con l'uso di estrogeni, altri indicano che non ci sono peggioramenti se si assumono contraccettivi orali. E due recenti lavori confermano questa evidenza.

Senza differenze


In uno di questi è stato testato l'uso della pillola confrontandolo con l'impianto dello IUD (intrauterine device), cioè la spirale, in 162 donne malate. Le pazienti, avviate a caso a uno dei due metodi sono state valutate per il LES all'inizio dello studio, dopo due mesi e poi ogni tre mesi, per un anno. Con un indice specifico è stata misurata l'attività della malattia, tenendo conto, oltre che delle variazioni dell'indice, dei peggioramenti improvvisi e, nel caso, del tempo che intercorreva fino alla prima riacutizzazione. I risultati mostravano una certa omogeneità tra i due metodi adottati, anzi la pillola sembrava avere un blando effetto migliorativo sull'indice considerato. L'ipotesi è che il progestinico sintetico (levonogestrel) contenuto nella pillola abbia un effetto anche androgenico (gli androgeni sono protettivi contro il LES), e proprietà antinfiammatorie che possono contribuire a ridurre l'attività della malattia.
Osservazioni analoghe sono state raccolte in un altro lavoro in cui l'assunzione della pillola veniva confrontata con un placebo. In questo caso le 183 pazienti venivano distinte in casi di LES inattivo e attivo ma stabile. I casi di riacutizzazione grave improvvisa si presentavano con una percentuale sovrapponibile (7,7% nel gruppo trattato e 7,6% nel gruppo placebo). Anche il tasso di peggioramento moderato o lieve si attestava su valori simili.
Certo, nessuno dei due studi prende in considerazione i casi di LES grave attivo, ma è ragionevole pensare che se la malattia è stabile o addirittura inattiva, i contraccettivi orali possono essere una scelta opportuna come metodo di controllo delle nascite. In ogni caso comunque, la decisione va presa contestualmente al quadro clinico della paziente, tenendo presenta anche il rischio di trombosi venosa associato all'uso della pillola.

Simona Zazzetta



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