20 giugno 2008
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Intervista a Vittorio Agnoletto
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"L'Aids non è stato vinto". È questa una delle convinzioni di Vittorio Agnoletto, Presidente nazionale della Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS), sicuramente uno dei più autorevoli protagonisti della lotta all'AIDS. Prevenzione, ricerca sui farmaci e sui loro effetti collaterali, cure palliative, messa a punto del vaccino terapeutico sono molti ancora gli ostacoli nel cammino verso la sconfitta del virus. Diventa essenziale così progettare servizi e cure che si adattino alle repentine trasformazioni della malattia, di fronte alla quale anche le esigenze delle persone sieropositive cambiano rapidamente. Ma cosa vuol dire essere sieropositivi oggi?
"I problemi principali per i sieropositivi e i malati di AIDS oggi in Italia sono" secondo Agnoletto "due: innanzitutto l'adesione alla cura, la cosiddetta compliance, si ha difficoltà infatti a rispettare i protocolli terapeutici. Ci sono una serie di direttive da seguire in modo rigoroso che vanno dal numero di pastiglie, ai tempi da rispettare nell'assunzione dei farmaci, al rapporto con l'alimentazione sia per quel che riguarda gli orari dei pasti sia per la dieta da seguire che è molto condizionata dalla terapia. Inevitabile che poi la vita del paziente sieropositivo ne resti influenzata nella sua quotidianità, dai rapporti sociali al lavoro. Come risultato almeno il 30% dei pazienti non rispetta protocollo o assume meno pastiglie, con il rischio, se ne prende meno dell'80%, di avere un'azione controproducente per selezione di ceppi virali resistenti (il farmaco cioè non ha più effetto). Il secondo problema riguarda il lavoro, anche se la situazione è decisamente migliorata. Del resto è evidente se si pensa all'iter del sieropositivo. Da una iniziale situazione di emergenza dal punto di vista sanitario e clinico si passa ad una situazione, grazie anche alla terapia farmacologica, in cui si può ritornare a lavorare, tanto che anche le pensioni di invalidità spesso vengono tolte. Il fatto, in sé positivo, è complicato dalla difficoltà di trovare un canale d'accesso al mondo del lavoro, con il risultato che si rischia di rimanere senza lavoro e senza assistenza".
Quanto alle discriminazioni? "Ci sono sempre purtroppo - continua Agnoletto - se uno rientra sul lavoro dopo una simile assenza per malattia tutti sanno che cosa ha, ma per fortuna non è più il problema principale che è piuttosto trovare disponibilità di lavoro. Tra l'altro la legge sulla privacy tutela o dovrebbe tutelare il malato, che però in molti casi vista la particolarità della malattia ed il suo potenziale "distruttivo" non tace la sua condizione ai colleghi. Oggi però grazie alla terapia si fanno progressi sorprendenti".
In Italia, l'insorgere dell'AIDS è stato dapprima sottovalutato e successivamente affrontato in maniera contraddittoria e disordinata. Questo si è ovviamente ripercosso anche sull'organizzazione e la gestione delle risposte ai bisogni delle persone sieropositive e in AIDS; ossia sul complesso degli interventi assistenziali extraospedalieri, sull'insieme delle strategie necessarie per rispondere alle problematiche sociali, prima che sanitarie, che questa patologia determina, fra cui: le case alloggio, l'assistenza domiciliare sociale e infermieristica. "Possiamo distinguere due livelli di assistenza" riprende il Presidente della Lila. Per quanto riguarda l'assistenza non medica, quella che potremmo definire psicosociale, il problema, rispetto al passato, è dato dalle complicazioni di tipo psichiatrico. Le case alloggio non sono più ostelli riservati ai malati terminali quanto piuttosto ambienti dove ci si ferma un momento, si apprendono le terapie, si ricostruiscono rapporti sociali. Non sono però ancora ben preparate ad affrontare le complicazioni sia psichiatriche sia neurologiche ora abbastanza comuni. Dal punto di vista medico, invece, oggi è più che mai centrale il ruolo dell'infettivologo. Del resto la terapia dell'AIDS è molto articolata, spesso si arriva ad assumere fino a quindici farmaci specialistici per cui non può essere che l'infettivologo a monitorare la cura. L'aspetto negativo però di questa centralità medica è che, per esempio, possono essere sottovalutati effetti collaterali oppure si possono facilmente presentare difficoltà che esulano dall'area di competenza (p.es. complicazioni epatiche). Il rischio così è che i pazienti interrompano la terapia davanti a conseguenze impreviste e non sufficientemente spiegate. A livello farmacologico è poi molto serrato il dibattito tra i medici su quali considerare farmaci di prima linea e quali di seconda tra, ad esempio, gli inibitori della proteasi e quelli non nucleosidici della trascrittasi inversa".
L'importanza dell'informazione
Non abbassare la guardia è questa la parola d'ordine. E perché questo succeda l'informazione e la prevenzione sono concetti chiave. Il fatto però che la fase più drammatica, almeno in Italia, negli altri paesi dell'Unione Europea e nel nord America, sia alle spalle forse ha determinato un calo di tensione sociale. È vero? " In parte sì - risponde Agnoletto - ma non è necessariamente negativo. Il calo di tensione è sinonimo di calo di discriminazione e pregiudizi e questo è bene naturalmente. Il pericolo è rappresentato dal passaggio di un messaggio sbagliato, e qui le istituzioni e i media hanno un ruolo fondamentale. A tutt'oggi la malattia è curabile ma non guaribile, la vita è più lunga ma il virus non è stato debellato. Certo" aggiunge polemico "non predisporre nessuna campagna estiva di prevenzione, quando i dati europei dicono chiaramente che il 50% delle infezioni avviene d'estate... Chiaro che poi l'opinione pubblica si convince che la malattia sia stata sconfitta, ma non è così. È aumentata l'attesa e la qualità della vita, sono migliorati i rapporti sociali ma da qui a parlare di vittoria il passo non è breve. Si investe tanto in ricerca sui farmaci, è vero, ma si dovrebbe investire altrettanto in campagne di prevenzione". Ma a chi deve essere indirizzata una campagna di questo tipo? "A nessuno in particolare, allo stato attuale è difficile identificare una categoria a rischio. Ci sono dei comportamenti sbagliati che aumentano il rischio di contatto col virus ed è verso questi che va fatta prevenzione. Una categoria, se proprio si deve identificare, in netta crescita è quella delle donne, ma non è pensabile rivolgere una campagna esclusiva alle donne trascurando la responsabilità maschile. Per questo Lila agisce su tutti e due i fronti. Certo però che molto più possono i canali istituzionali, se non altro per la risonanza che hanno".
Prospettive future
Il peggio è passato ma la malattia continua a diffondersi non meno velocemente di prima. "Non bisogna illudersi - conclude Agnoletto - la guarigione non è dietro l'angolo e così anche il vaccino, che è all'orizzonte, ma per il quale si devono aspettare ancora anni. Nel frattempo la principale aspirazione, oggi, è quella di prolungare ulteriormente l'attesa di vita e cronicizzare così la malattia, che - ribadisce di nuovo - non è stata debellata". Già, l'AIDS non è stato vinto.
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Convivere con la malattia
"I problemi principali per i sieropositivi e i malati di AIDS oggi in Italia sono" secondo Agnoletto "due: innanzitutto l'adesione alla cura, la cosiddetta compliance, si ha difficoltà infatti a rispettare i protocolli terapeutici. Ci sono una serie di direttive da seguire in modo rigoroso che vanno dal numero di pastiglie, ai tempi da rispettare nell'assunzione dei farmaci, al rapporto con l'alimentazione sia per quel che riguarda gli orari dei pasti sia per la dieta da seguire che è molto condizionata dalla terapia. Inevitabile che poi la vita del paziente sieropositivo ne resti influenzata nella sua quotidianità, dai rapporti sociali al lavoro. Come risultato almeno il 30% dei pazienti non rispetta protocollo o assume meno pastiglie, con il rischio, se ne prende meno dell'80%, di avere un'azione controproducente per selezione di ceppi virali resistenti (il farmaco cioè non ha più effetto). Il secondo problema riguarda il lavoro, anche se la situazione è decisamente migliorata. Del resto è evidente se si pensa all'iter del sieropositivo. Da una iniziale situazione di emergenza dal punto di vista sanitario e clinico si passa ad una situazione, grazie anche alla terapia farmacologica, in cui si può ritornare a lavorare, tanto che anche le pensioni di invalidità spesso vengono tolte. Il fatto, in sé positivo, è complicato dalla difficoltà di trovare un canale d'accesso al mondo del lavoro, con il risultato che si rischia di rimanere senza lavoro e senza assistenza".
Quanto alle discriminazioni? "Ci sono sempre purtroppo - continua Agnoletto - se uno rientra sul lavoro dopo una simile assenza per malattia tutti sanno che cosa ha, ma per fortuna non è più il problema principale che è piuttosto trovare disponibilità di lavoro. Tra l'altro la legge sulla privacy tutela o dovrebbe tutelare il malato, che però in molti casi vista la particolarità della malattia ed il suo potenziale "distruttivo" non tace la sua condizione ai colleghi. Oggi però grazie alla terapia si fanno progressi sorprendenti".
L'assistenza al malato
In Italia, l'insorgere dell'AIDS è stato dapprima sottovalutato e successivamente affrontato in maniera contraddittoria e disordinata. Questo si è ovviamente ripercosso anche sull'organizzazione e la gestione delle risposte ai bisogni delle persone sieropositive e in AIDS; ossia sul complesso degli interventi assistenziali extraospedalieri, sull'insieme delle strategie necessarie per rispondere alle problematiche sociali, prima che sanitarie, che questa patologia determina, fra cui: le case alloggio, l'assistenza domiciliare sociale e infermieristica. "Possiamo distinguere due livelli di assistenza" riprende il Presidente della Lila. Per quanto riguarda l'assistenza non medica, quella che potremmo definire psicosociale, il problema, rispetto al passato, è dato dalle complicazioni di tipo psichiatrico. Le case alloggio non sono più ostelli riservati ai malati terminali quanto piuttosto ambienti dove ci si ferma un momento, si apprendono le terapie, si ricostruiscono rapporti sociali. Non sono però ancora ben preparate ad affrontare le complicazioni sia psichiatriche sia neurologiche ora abbastanza comuni. Dal punto di vista medico, invece, oggi è più che mai centrale il ruolo dell'infettivologo. Del resto la terapia dell'AIDS è molto articolata, spesso si arriva ad assumere fino a quindici farmaci specialistici per cui non può essere che l'infettivologo a monitorare la cura. L'aspetto negativo però di questa centralità medica è che, per esempio, possono essere sottovalutati effetti collaterali oppure si possono facilmente presentare difficoltà che esulano dall'area di competenza (p.es. complicazioni epatiche). Il rischio così è che i pazienti interrompano la terapia davanti a conseguenze impreviste e non sufficientemente spiegate. A livello farmacologico è poi molto serrato il dibattito tra i medici su quali considerare farmaci di prima linea e quali di seconda tra, ad esempio, gli inibitori della proteasi e quelli non nucleosidici della trascrittasi inversa".
L'importanza dell'informazione
Non abbassare la guardia è questa la parola d'ordine. E perché questo succeda l'informazione e la prevenzione sono concetti chiave. Il fatto però che la fase più drammatica, almeno in Italia, negli altri paesi dell'Unione Europea e nel nord America, sia alle spalle forse ha determinato un calo di tensione sociale. È vero? " In parte sì - risponde Agnoletto - ma non è necessariamente negativo. Il calo di tensione è sinonimo di calo di discriminazione e pregiudizi e questo è bene naturalmente. Il pericolo è rappresentato dal passaggio di un messaggio sbagliato, e qui le istituzioni e i media hanno un ruolo fondamentale. A tutt'oggi la malattia è curabile ma non guaribile, la vita è più lunga ma il virus non è stato debellato. Certo" aggiunge polemico "non predisporre nessuna campagna estiva di prevenzione, quando i dati europei dicono chiaramente che il 50% delle infezioni avviene d'estate... Chiaro che poi l'opinione pubblica si convince che la malattia sia stata sconfitta, ma non è così. È aumentata l'attesa e la qualità della vita, sono migliorati i rapporti sociali ma da qui a parlare di vittoria il passo non è breve. Si investe tanto in ricerca sui farmaci, è vero, ma si dovrebbe investire altrettanto in campagne di prevenzione". Ma a chi deve essere indirizzata una campagna di questo tipo? "A nessuno in particolare, allo stato attuale è difficile identificare una categoria a rischio. Ci sono dei comportamenti sbagliati che aumentano il rischio di contatto col virus ed è verso questi che va fatta prevenzione. Una categoria, se proprio si deve identificare, in netta crescita è quella delle donne, ma non è pensabile rivolgere una campagna esclusiva alle donne trascurando la responsabilità maschile. Per questo Lila agisce su tutti e due i fronti. Certo però che molto più possono i canali istituzionali, se non altro per la risonanza che hanno".
Prospettive future
Il peggio è passato ma la malattia continua a diffondersi non meno velocemente di prima. "Non bisogna illudersi - conclude Agnoletto - la guarigione non è dietro l'angolo e così anche il vaccino, che è all'orizzonte, ma per il quale si devono aspettare ancora anni. Nel frattempo la principale aspirazione, oggi, è quella di prolungare ulteriormente l'attesa di vita e cronicizzare così la malattia, che - ribadisce di nuovo - non è stata debellata". Già, l'AIDS non è stato vinto.
Marco Malagutti
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