Il rischio aumenta in gravidanza

05 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus

Il rischio aumenta in gravidanza



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La situazione sanitaria dell'Africa, si sa, è piuttosto grave e i casi si Aids rappresentano una delle principali cause di morte. I numeri, del resto, lo confermano. Secondo gli esperti riuniti per la 55esima sessione della Commissione OMS per l'Africa, il virus HIV colpisce il 20% circa delle donne in gravidanza di età compresa tra 15 e 24 anni. E proprio di gravidanza e HIV si è occupato un report pubblicato su Lancet. Il rischio di contrarre la malattia durante la gravidanza sarebbe, infatti, in aumento in Uganda. Ma da che cosa dipende? Esiste un rischio maggiore in quel periodo? E se sì, è un fatto biologico o comportamentale?

Tre situazioni differenti


I risultati sono indiscutibili. Il rischio di contrarre il virus raddoppia durante la gravidanza. Nello studio sono state messe a confronto tre tipologie di pazienti: quelle sieronegative e sessualmente attive in gravidanza, quelle che stavano allattando e infine quelle non in gravidanza né in allattamento. Inoltre per dare completezza all'indagine sono stati valutati gli eventuali comportamenti a rischio dei mariti. Il risultato, considerato il numero di donne prese in esame, la precisione dell'osservazione nei periodi di gravidanza e allattamento e l'esame approfondito dei comportamenti sessuali a rischio, maschili e femminili, rafforza l'osservazione che nel periodo del puerperio aumenti il rischio di ammalarsi. Ma la novità, visto la scarsa influenza dei comportamenti a rischio, sta nell'importanza che i ricercatori attribuiscono alle variazioni biologiche tipiche di questa fase. Gli alti livelli di estrogeni e progesterone durante la gravidanza potrebbero influire, inducendo modifiche strutturali nella mucosa genitale o con effetti immunologici. Una possibilità preoccupante, sostiene un editoriale di commento allo studio, che induce qualche apprensione rispetto alla contraccezione ormonale e al rischio di HIV. Ma è evidente che si può poco contro le variazioni fisiologiche che avvengono nella donna incinta. Se a queste si aggiungono poi i comportamenti a rischio, piuttosto comuni, e lo studio lo conferma, in contesti come quello africano, la situazione si fa ancora più seria. Sull'onda di risultati di questo tipo l'OMS ha proposto un approccio in quattro fasi all'HIV in gravidanza nonché alla trasmissione materno-fetale. Il primo punto riguarda la prevenzione delle nuove infezioni in tutti i soggetti; quindi, la prevenzione delle gravidanze indesiderate nelle donne sieropositive (un rischio cui sono esposte il 20-25% delle donne africane); la prevenzione della trasmissione madre-figlio e, infine, garanzie di cura per tutte le pazienti infettate e per le loro famiglie. La questione non è solo pediatrica. E per questo la nuova strategia deve contemplare il necessario "counselling" per le donne, anche per quelle risultate negative al test. Le donne in gravidanza, infatti, devono essere a conoscenza del loro aumentato rischio, nonché avere le informazioni necessarie per la prevenzione. Il segnale più evidente che emerge dallo studio è che occorre rivedere le strategie di prevenzione, in particolare per quel che riguarda la ripetizione del test, da effettuarsi anche nella fase terminale della gravidanza. Un provvedimento che, dice l'editoriale, sarebbe anche costo-efficace in realtà come quelle africane, dove l'incidenza è piuttosto alta.

Marco Malagutti



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