20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Essere sieropositivi
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Il virus HIV (virus dell'immunodeficienza umana) venne segnalato e isolato dapprima in un tessuto tumorale linfoide (linfoma a cellule T) e poi anche in tessuti tumorali differenti o in tessuti infetti nei quali erano presenti anche altri microrganismi. Le prime segnalazioni dell'HIV avvenivano,in maschi omosessuali e/o in tossicodipendenti. Dai tempi di quelle prime scoperte (1981 -1983), però, il virus ha subito una sua evoluzione che si riflette anche sulla popolazione attualmente infetta o potenzialmente a rischio. Quale rischio? Per primo, quello del contagio e poi quello dell'invasione delle cellule immunocompetenti del sangue. In parole crude, il rischio di ammalarsi di AIDS ( sigla inglese, in italiano SIDA - sindrome da immunodeficienza acquisita).
L'HIV è un virus, o meglio, un retrovirus che ha come prima caratteristica quella di essere un RNA-virus, cioè un virus che deve necessariamente (come tutti gli altri virus) utilizzare l'apparato replicativo di un'altra cellula vivente per moltiplicarsi, ma con tante armi in più. In pratica, e in termini bio-molecolari, per raggiungere il DNA della cellula ospite, l'HIV ha, in primo luogo, un enzima che è in grado di "trascrivere il suo RNA" sul DNA della cellula che andrà a parassitare.
In questo modo, il genoma (il patrimonio che viene ereditato dai virus "figli" della moltiplicazione) del virus si integra e si "confonde" con quello della cellula "parassitata". E così, dopo la conquista di un numero di cellule (linfociti T, granulociti e macrofagi) sempre più grande, si può arrivare alla replicazione dell'HIV in quasi tutto il sistema immunitario e all'annientamento delle capacità di difesa dell'organismo (fino all'AIDS terminale). Inoltre, ancora prima dell'invasione, sulla capsula esterna che avvolge il virus, sono state individuate alcune molecole specifiche (piccole proteine - le armi della seduzione) che sono in grado di adattarsi per penetrare in un organismo e per raggiungere le cellule che gli permetteranno di moltiplicarsi. Ma non è sempre così e non è solo così.
Per fortuna, è possibile oggi, con maggiore specificità e con certezza, diagnosticare (marcare) la presenza del passaggio del virus nel sangue, sia in principio sia dopo, durante l'invasione del sistema immunitario. Ossia, in laboratorio, con un semplice prelievo di sangue, si misura la presenza di parti appartenenti al virus - antigeni- e di anticorpi prodotti contro il virus stesso. Oppure, ancora prima, è possibile tipizzare i linfociti T che hanno già "incontrato" il virus e che per questo si possono distinguere dagli altri. I primi, quelli informati, sono i linfociti "CD positivi" (che mostrano in superficie particolari recettori - in genere le classi positive più rappresentate sono quella CD4 e CD8).
E' comunque per tutti importante sapere bene che:
AIDS: la malattia
Di fatto, comunque, pur rilevando una migliore sopravvivenza nel lungo termine, la malattia continua a presentarsi anche in Italia come negli altri paesi industrializzati.
Ecco in estrema sintesi le fasi cliniche dell'infezione:
Il quadro clinico finale è quello tipico detto "dell'immunodepressione".
Insomma, l'HIV c'è, anche se non si vede. Però, ci sono pure i progressi della ricerca scientifica, ci sono nuove speranze terapeutiche, ci sono iniziative educative e assistenziali importanti e indispensabili che stanno crescendo. Chi non lo sapeva ancora ha il dovere d'informarsi subito, fermo restando il diritto di esserne correttamente informati.
Patrizia Maria Gatti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Le armi e la seduzione
L'HIV è un virus, o meglio, un retrovirus che ha come prima caratteristica quella di essere un RNA-virus, cioè un virus che deve necessariamente (come tutti gli altri virus) utilizzare l'apparato replicativo di un'altra cellula vivente per moltiplicarsi, ma con tante armi in più. In pratica, e in termini bio-molecolari, per raggiungere il DNA della cellula ospite, l'HIV ha, in primo luogo, un enzima che è in grado di "trascrivere il suo RNA" sul DNA della cellula che andrà a parassitare.
In questo modo, il genoma (il patrimonio che viene ereditato dai virus "figli" della moltiplicazione) del virus si integra e si "confonde" con quello della cellula "parassitata". E così, dopo la conquista di un numero di cellule (linfociti T, granulociti e macrofagi) sempre più grande, si può arrivare alla replicazione dell'HIV in quasi tutto il sistema immunitario e all'annientamento delle capacità di difesa dell'organismo (fino all'AIDS terminale). Inoltre, ancora prima dell'invasione, sulla capsula esterna che avvolge il virus, sono state individuate alcune molecole specifiche (piccole proteine - le armi della seduzione) che sono in grado di adattarsi per penetrare in un organismo e per raggiungere le cellule che gli permetteranno di moltiplicarsi. Ma non è sempre così e non è solo così.
Una questione di tempo
Per fortuna, è possibile oggi, con maggiore specificità e con certezza, diagnosticare (marcare) la presenza del passaggio del virus nel sangue, sia in principio sia dopo, durante l'invasione del sistema immunitario. Ossia, in laboratorio, con un semplice prelievo di sangue, si misura la presenza di parti appartenenti al virus - antigeni- e di anticorpi prodotti contro il virus stesso. Oppure, ancora prima, è possibile tipizzare i linfociti T che hanno già "incontrato" il virus e che per questo si possono distinguere dagli altri. I primi, quelli informati, sono i linfociti "CD positivi" (che mostrano in superficie particolari recettori - in genere le classi positive più rappresentate sono quella CD4 e CD8).
E' comunque per tutti importante sapere bene che:
- il virus HIV si trasmette in massima parte durante un rapporto sessuale non protetto oltre che naturalmente per scambio di sangue o emoderivati
- dal momento della penetrazione dell'HIV nell'organismo al momento in cui si diventa sieropositivi (periodo finestra nel quale si può attuare la sieroconversione, ossia il passaggio da sieronegativi a sieropositivi) trascorrono alcuni giorni (da 2 settimane a 6 mesi)
- dal momento del contagio al momento di comparsa dei sintomi dell'AIDS (periodo di incubazione o di latenza) possono trascorrere dei mesi o addirittura degli anni (da 6 mesi a 15 anni)
- ci sono dei soggetti sieropositivi nei quali la malattia conclamata (manifestazioni sintomatiche tipiche) potrebbe non manifestarsi mai
- durante il "periodo finestra" un soggetto sieronegativo, cioè una persona che ha già nel suo sangue il virus, ma non ha ancora sviluppato gli anticorpi contro quel virus; può contagiare altre persone che si espongano con lui a comportamenti sessuali rischiosi
- un sieropositivo informato e trattato adeguatamente, che si sottopone ad un controllo costante, non sarà necessariamente un malato e, con l'adeguata protezione, non è da considerarsi una persona pericolosa per la comunità
- le persone a rischio di contagio (escludendo l'Africa in cui la malattia è endemica) non sono solo i maschi omosessuali o i tossicodipendenti di entrambi i sessi che si scambiano siringhe infette. Anzi, le statistiche epidemiologiche più recenti hanno posto in evidenza che, oggi, risultano maggiormente esposte le donne (anche se non tossicodipendenti) che adottano pratiche sessuali non protette e anche gli uomini che, seppure eterosessuali hanno comportamenti sessuali promiscui.
AIDS: la malattia
Di fatto, comunque, pur rilevando una migliore sopravvivenza nel lungo termine, la malattia continua a presentarsi anche in Italia come negli altri paesi industrializzati.
Ecco in estrema sintesi le fasi cliniche dell'infezione:
- la maggioranza delle persone che arrivano all'osservazione medica, sviluppa un'improvvisa e subdola patologia febbrile. Questa fase (la forma acuta della fase primaria) è anche quella della possibile sieroconversione. I sintomi più comuni: la febbre, l'astenia, la mialgia o l'artralgia (dolori articolari), l'adenopatia (infiammazione, rigonfiamento e infezione di diverse stazioni linfatiche), la faringite, la diarrea, la cefalea, eruzioni cutanee multiformi, la perdita di peso, la nausea o il vomito, le ulcerazioni mucose e cutanee e qualche volta anche una banale infezione delle prime vie aeree (raffreddore). E' pure possibile, un interessamento neurologico precoce con fotofobia (repulsione degli stimoli luminosi), meningoencefalite, poli-neuropatia periferica (paralisi del nervo facciale, nevrite brachiale, radiculopatie) accompagnati da stati ansiosi e compromissione delle funzioni motorie e sensoriali
- in seguito, la maggior parte dei pazienti diventa asintomatica entro 1-4 settimane dall'inizio dei sintomi, sebbene siano stati descritti casi con deficit neurologici persistenti. Però, una buona percentuale (40 al 70%) dei pazienti sviluppa manifestazioni cutanee più caratteristiche (rash eritematoso-maculare o forma mista maculo-papulare, o un esantema vescicolare o pustoloso) e le lesioni sono spesso localizzate nella parte superiore del corpo.
Il quadro clinico finale è quello tipico detto "dell'immunodepressione".
Insomma, l'HIV c'è, anche se non si vede. Però, ci sono pure i progressi della ricerca scientifica, ci sono nuove speranze terapeutiche, ci sono iniziative educative e assistenziali importanti e indispensabili che stanno crescendo. Chi non lo sapeva ancora ha il dovere d'informarsi subito, fermo restando il diritto di esserne correttamente informati.
Patrizia Maria Gatti
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