La lunga attesa

01 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus

La lunga attesa



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Quanto tempo dovrà trascorrere prima di poter disporre di un vaccino efficace per l’uomo? La domanda è sempre la stessa ma più passa il tempo più sembra un sogno lontano. “Da cinque anni a questa parte” ha spiegato il virologo americano Robert Gallo “abbiamo fatto senz’altro passi avanti nella comprensione dell’immunologia del virus HIV. Ma non sappiamo quando giungeremo a ottenere un vaccino. E anche se ci arrivassimo, non avrebbe una copertura del 100%. Un fatto che potrebbe mettere in pericolo la salute delle persone: molti si convincerebbero di essere protetti e assumerebbero comportamenti a rischio”. E le cose non vanno molto meglio se si considera la tanto evocata via italiana al vaccino. Anzi.

“Curiosi” finanziamenti


Sempre Robert Gallo ha senza mezzi termini dichiarato che “potrà avere benefici, pur modesti, se impiegato come terapia. Ma non potrà essere il vaccino preventivo che stiamo cercando fra decine di candidati”, e ancora: “senza alcuna polemica vorrei ricordare che la stessa strada intrapresa oggi da alcuni scienziati italiani era già stata battuta da esperti belgi e americani circa 10 anni fa”. Certo, senza alcuna polemica. La convinzione di Gallo, già abbondantemente illustrata in un recente editoriale su Lancet, è che la continua promozione e sperimentazione di vaccini privi di solide prove scientifiche, comporti non solo il loro fallimento, ma anche il rischio che i finanziatori decidano di ritirare i fondi da tutti i programmi di ricerca sul vaccino, danneggiando anche scienziati seri e rigorosi. Sempre senza polemica, naturalmente. E dire che i due, gallo e la ricercatrice italiana Barbara Ensoli, un tempo collaboravano… Ma il discorso dei finanziamenti in questa diatriba pare centrale, visto che il vaccino italiano della Ensoli è stato finanziato in maniera cospicua dagli Stati Uniti. Si parla di un finanziamento ad hoc di 10 milioni di dollari. Un finanziamento che la rivista Science aveva definito, non a caso, curioso per i canoni americani. E che secondo i maligni fu motivato da questioni più politiche, siamo nel 2003 subito dopo l’inizio della guerra in Iraq, che non scientifiche. Bando alle polemiche: il vaccino continua a essere al centro dell’attenzione e il ministro Turco lo ha messo tra i quattro punti della sua politica anti-HIV, sostenendo come l’Italia vanti un profilo di eccellenza nella ricerca proprio con il vaccino anti-Tat. E la stessa Ensoli ha pubblicato una importante review su una rivista di settore, Aids, per affrontare i principali passi intrapresi dal gruppo di ricerca per la creazione del vaccino.

Il vaccino anti-Tat


La strategia è nota. Utilizzare come antigene una proteina interna che regola la replicazione virale, invece che, come normalmente avviene, una proteina di superficie. La proteina Tat, appunto, che rimane praticamente identica in tutti i ceppi virali e garantisce l’efficacia del vaccino su più varianti dell’HIV. L’idea è che un vaccino che stimola la risposta immunitaria contro la Tat nel sangue, potrebbe prevenire o rallentare lo sviluppo del virus. E qui siamo ancora alla ricerca di base. Il passaggio successivo è il test clinico e in questo ambito ancora si devono raggiungere dei risultati. O meglio il vaccino dovrebbe essere sicuro ma, ora, per traslare in modo definitivo alla fase clinica serve che tutte le attività precliniche siano condotte secondo regole e procedure standardizzate. A questo scopo i ricercatori devono essere aiutati e bisogna fare più sforzi per organizzare le risorse economiche e umane. Per la produzione del vaccino, poi, mancano in Italia le strutture adeguate e per questo è stato identificato, dice la Ensoli nella review, un sito idoneo in Gran Bretagna. Per tutto questo è necessaria la collaborazione delle autorità e le istituzioni sanitarie del paese: non può bastare, infatti, il grande entusiasmo dei volontari arruolati nei trial. I requisiti fondamentali, conclude la ricercatrice, per lo sviluppo del vaccino anti-Tat, sono l’approccio multidisciplinare, adeguate risorse economiche, formazione e uno sforzo considerevole di gestione e coordinamento. Ma sono ormai passati dieci anni da che è cominciato il cammino, era lecito aspettarsi qualcosa di più?

Marco Malagutti



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