Se l'hamburger di ieri fa male oggi

28 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Se l'hamburger di ieri fa male oggi



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Nel 1957 il dottor Carleton Gajdusek fu inviato in Nuova Guinea con una sovvenzione del National Institute of Health (NIH). Laggiù un medico del servizio sanitario locale gli fece conoscere una malattia chiamata kuru, una misteriosa patologia che colpiva il cervello, provocando nelle vittime spasmi o paralisi fino alla morte nel giro di qualche mese. E a partire da quella scoperta partirono gli studi di Gajdusek con il presupposto che la malattia, segnalata solo tra le tribù che abitavano in una serie di valli, soprattutto la tribù dei Fore, fosse infettiva. E lo stesso Gajdusek arrivo a stabilire una similitudine con la sindrome di Creutzfeld-Jakob (vCJD), la variante umana del morbo di mucca pazza. Tra le ipotesi iniziali del ricercatore quella che si trattasse di un virus lento, cioè con un lungo periodo di latenza. A distanza di anni si conoscono molte più cose su queste malattie tra cui il quadro neuropatologico che si presenta come un grave e diffuso danno cerebrale, ben esemplificato dalla denominazione di degenerazione spongiforme e la via di contagio, presumibilmente alimentare, per assunzione di carne infetta. Ora un nuovo studio di Lancet, proprio a partire dall'epidemia di kuru, getta un'ombra sulla diffusione della Bse. L'epidemia potrebbe essere stata sottostimata.

Lo studio


Lo studio di Lancet arriva proprio quando la Fao aveva da poco reso noto che nel corso degli ultimi tre anni i casi di encefalopatia spongiforme bovina sono diminuiti del 50% all'anno. Di riflesso anche fra gli uomini si sono registrati solo cinque decessi causati dal morbo di Creutzfeld-Jakob, la variante umana di mucca pazza. "E' inequivocabile" ha annunciato Andrew Speedy, esperto Fao di produzione animale "che la Bse è in diminuzione e che le misure adottate per fermare la malattia sono efficaci". E se non fosse così? Bando agli inutili allarmismi lo studio di Lancet fa sicuramente riflettere. Kuru, come sottolineano i ricercatori, rappresenta la principale esperienza di malattia prionica umana. La sua trasmissione è scemata considerevolmente dopo la brusca cessazione della sua principale via di trasmissione: il cannibalismo. Già perché gli indigeni del luogo pare usassero mangiare il cervello dei parenti morti per fini ritualistici secondo una pratica cannibalistica che esprimeva amore per il parente defunto (!) e allo stesso tempo costituiva una buona fonte di proteine per una comunità che non aveva carne da mangiare. E proprio Gajdusek capì che questa bizzarra forma di amore era la via di trasmissione della patologia. I ricercatori hanno così esaminato in profondità la storia naturale del kuru, convinti che investigando su periodo di incubazione, patogenesi e fattori di suscettibilità genetica nei pazienti affetti si potessero scoprire indizi importanti per capire meglio l'evoluzione del morbo di Creutzfeld-Jakob, la malattia prionica umana. I ricercatori britannici si sono così recati sul posto, dove avvalendosi di reporter locali sono stati in grado di documentare l'evolversi della malattia, un tempo la principale causa di mortalità delle donne della Nuova Guinea. E si sono soffermati in particolare sul tempo di incubazione della sindrome, tenuto conto che il governo australiano ha vietato i riti cannibali a partire dagli anni'50. Dal 1996 al 2004 sono stati identificati 11 pazienti tutti nati prima che terminassero i riti cannibali. In tutto il periodo preso in esame, dal 1957 al 2004, il numero di casi ha superato i 2700, con un limite di incubazione minimo di cinque anni e una media di 12 anni. Ma, e qui sta l'aspetto più rilevante dello studio di Lancet, i ricercatori hanno verificato anche tempi di incubazione fino a 50 anni. Concludendo che le stime e i modelli esistenti sull'epidemia di vCJD possano essere sottostimate. Lo studio, commenta l'editoriale di supporto, offre una prospettiva unica sulla storia della malattia prionica umana. Combinando evidenze culturali, cliniche, genetiche e patologiche disegna un'immagine di grande valore contemporaneo. Nell'infezione umana per di più pssono entrare in gioco ulteriori fattori a condizionare la media del periodo di incubazione. Ecco perché, conclude l'editoriale, ogni convinzione che la malattia abbia raggiunto il suo picco e che abbia passato ormai la fase peggiore deve essere trattata con scetticismo.

Marco Malagutti



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