03 febbraio 2006
Aggiornamenti e focus
In ascolto del paziente
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L'epatite C è una malattia infettiva molto diffusa, che colpisce più di 200 milioni di persone nel mondo mentre, solo in Italia, i portatori di virus sono circa 2 milioni. Da anni la FADE (Fondazione Epatologia) svolge a livello nazionale e internazionale un'attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, e del personale medico e paramedico, nei confronti di tutte le problematiche legate alle patologie epatiche. Ed è proprio all'interno di queste attività che si inserisce il convegno, organizzato dalla Fondazione e svoltosi a Milano giovedì 2 febbraio 2006, sul tema "In ascolto dei bisogni del paziente". A far luce sul perché della scelta dell'argomento è stato Nicola Lo Torto, presidente della FADE, nel corso della conferenza stampa di presentazione della seconda edizione delle "Giornate epatologiche". "La giornata - dice Lo Torto - si propone come obiettivo l'osservazione dell'epatite a partire dai bisogni del paziente, mettendo al primo posto i suoi vissuti, le sue difficoltà e tutto ciò che può ostacolare un'efficace terapia".
Il trattamento antivirale rappresenta la base per la cura dell'epatite C, ma c'è il pericolo che i pazienti non aderiscano alla terapia e che, quindi, la interrompano. In questi casi c'è il rischio di un peggioramento delle condizioni cliniche che può portare, nelle situazioni più gravi, a cirrosi e carcinoma epatico. Da un'indagine condotta dalla FADE su circa 1000 pazienti è, infatti, emerso che la percentuale di malati che sospendono la terapia può raggiungere in alcuni ambiti anche il 40-50% e in questi casi è il rapporto medico-paziente che può fare la differenza. "Negli ultimi 30 anni - spiega Gaetano Ideo, epatologo dell'ospedale San Giuseppe di Milano - quanto più la tecnologia in medicina è progredita, tanto più si sono ridotte le capacità diagnostiche personali del medico e, soprattutto, si è affievolito e disumanizzato il rapporto medico-paziente". Cosa bisogna fare allora? "È necessario considerare la patologia da un punto di vista più ampio - afferma Lo Torto - che non si limiti ai protocolli di intervento, ma che si cali nella cura del singolo malato, visto come elemento centrale all'interno di un complesso di fattori". "In questo modo - aggiunge il presidente della FADE - il medico non cura l'epatite, ma la persona malata di epatite, che vive in un preciso contesto culturale". "L'utilità di questa impostazione - conclude Lo Torto - si esprime attraverso un miglioramento dell'approccio terapeutico e dell'efficacia delle cure, accanto a un incremento dell'adesione al trattamento e alla conseguente riduzione dell'abbandono della terapia". “Spesso un malato abbandona le cure se non è in grado di sopportare e gestire gli effetti collaterali indesiderati che gli procurano sofferenza” ha ricordato Michele G. Sforza, psichiatra e psicanalista presso la casa di cura “Le Betulle”. Nel caso dell’epatite C, la terapia antivirale prevede la somministrazione di interferone peghilato e ribavirina, farmaci molto efficaci, in grado di eliminare completamente il virus nel 50-80% dei casi; purtroppo, però spesso si verificano effetti collaterali particolarmente fastidiosi che comprendono anche sindromi neuropsichiatriche. “In questi casi – conclude Ideo – solo se il medico è stato in grado di stabilire un ottimo rapporto con il paziente si potrà avere una fattiva collaborazione del soggetto con un’ottimale adesione alla terapia”.
L'agente scatenante l'epatite C è chiaramente un agente infettivo esterno, tuttavia l'andamento della patologia non dipende esclusivamente dal virus. "La manifestazione della malattia, il suo decorso, le complicazioni e la suscettibilità alle cure sono significativamente influenzate da diversi fattori di rischio", ha ricordato lo psichiatra, che aggiunge: "È noto che determinati stili di vita e atteggiamenti del paziente possono influenzare pesantemente il rischio di contrarre la malattia, di far comparire complicazioni o patologie concomitanti e possono rendere difficoltoso il trattamento". Uno dei fattori che più influisce sulla gestione della malattia è rappresentato dai vissuti del paziente, cioè dai modi con cui il malato sente la propria condizione, infatti "il soggetto ammalato cambia, oltre che nel corpo e nelle percezioni del suo corpo, anche nel modo di sentire e addirittura di pensare" aggiunge Sforza. E nel caso dell'epatite C, come viene affrontata la malattia? " I vissuti più frequenti - spiega lo psichiatra - sono il senso di isolamento che il paziente prova quando si sente "infetto" e a rischio di contagiare gli altri. Per esempio, la paura di contagiare il partner attraverso i rapporti sessuali e, magari la paura dello stesso partner al riguardo, possono compromettere la serenità del rapporto e incidere negativamente sulla vita del malato e di coloro che gli vivono accanto". È quindi evidente che i fattori psichici sono particolarmente importanti ai fini della gestione della patologia. "Ignorando i bisogni, le paure, le risposte emozionali e comportamentali del paziente - conclude Sforza - si rischia di lasciare non gestito un importantissimo fattore di rischio che può incidere negativamente sull'esito della terapia".
Ombretta Bandi
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1 su 2 abbandona le cure
Il trattamento antivirale rappresenta la base per la cura dell'epatite C, ma c'è il pericolo che i pazienti non aderiscano alla terapia e che, quindi, la interrompano. In questi casi c'è il rischio di un peggioramento delle condizioni cliniche che può portare, nelle situazioni più gravi, a cirrosi e carcinoma epatico. Da un'indagine condotta dalla FADE su circa 1000 pazienti è, infatti, emerso che la percentuale di malati che sospendono la terapia può raggiungere in alcuni ambiti anche il 40-50% e in questi casi è il rapporto medico-paziente che può fare la differenza. "Negli ultimi 30 anni - spiega Gaetano Ideo, epatologo dell'ospedale San Giuseppe di Milano - quanto più la tecnologia in medicina è progredita, tanto più si sono ridotte le capacità diagnostiche personali del medico e, soprattutto, si è affievolito e disumanizzato il rapporto medico-paziente". Cosa bisogna fare allora? "È necessario considerare la patologia da un punto di vista più ampio - afferma Lo Torto - che non si limiti ai protocolli di intervento, ma che si cali nella cura del singolo malato, visto come elemento centrale all'interno di un complesso di fattori". "In questo modo - aggiunge il presidente della FADE - il medico non cura l'epatite, ma la persona malata di epatite, che vive in un preciso contesto culturale". "L'utilità di questa impostazione - conclude Lo Torto - si esprime attraverso un miglioramento dell'approccio terapeutico e dell'efficacia delle cure, accanto a un incremento dell'adesione al trattamento e alla conseguente riduzione dell'abbandono della terapia". “Spesso un malato abbandona le cure se non è in grado di sopportare e gestire gli effetti collaterali indesiderati che gli procurano sofferenza” ha ricordato Michele G. Sforza, psichiatra e psicanalista presso la casa di cura “Le Betulle”. Nel caso dell’epatite C, la terapia antivirale prevede la somministrazione di interferone peghilato e ribavirina, farmaci molto efficaci, in grado di eliminare completamente il virus nel 50-80% dei casi; purtroppo, però spesso si verificano effetti collaterali particolarmente fastidiosi che comprendono anche sindromi neuropsichiatriche. “In questi casi – conclude Ideo – solo se il medico è stato in grado di stabilire un ottimo rapporto con il paziente si potrà avere una fattiva collaborazione del soggetto con un’ottimale adesione alla terapia”.
Virus, ma non solo
L'agente scatenante l'epatite C è chiaramente un agente infettivo esterno, tuttavia l'andamento della patologia non dipende esclusivamente dal virus. "La manifestazione della malattia, il suo decorso, le complicazioni e la suscettibilità alle cure sono significativamente influenzate da diversi fattori di rischio", ha ricordato lo psichiatra, che aggiunge: "È noto che determinati stili di vita e atteggiamenti del paziente possono influenzare pesantemente il rischio di contrarre la malattia, di far comparire complicazioni o patologie concomitanti e possono rendere difficoltoso il trattamento". Uno dei fattori che più influisce sulla gestione della malattia è rappresentato dai vissuti del paziente, cioè dai modi con cui il malato sente la propria condizione, infatti "il soggetto ammalato cambia, oltre che nel corpo e nelle percezioni del suo corpo, anche nel modo di sentire e addirittura di pensare" aggiunge Sforza. E nel caso dell'epatite C, come viene affrontata la malattia? " I vissuti più frequenti - spiega lo psichiatra - sono il senso di isolamento che il paziente prova quando si sente "infetto" e a rischio di contagiare gli altri. Per esempio, la paura di contagiare il partner attraverso i rapporti sessuali e, magari la paura dello stesso partner al riguardo, possono compromettere la serenità del rapporto e incidere negativamente sulla vita del malato e di coloro che gli vivono accanto". È quindi evidente che i fattori psichici sono particolarmente importanti ai fini della gestione della patologia. "Ignorando i bisogni, le paure, le risposte emozionali e comportamentali del paziente - conclude Sforza - si rischia di lasciare non gestito un importantissimo fattore di rischio che può incidere negativamente sull'esito della terapia".
Ombretta Bandi
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