Se il tumore inizia con la C

05 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus

Se il tumore inizia con la C



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E' stato identificato solo nel 1989 ma ha già rivelato appieno la sua pericolosità, perché il virus dell'epatite C (HCV) dà un'infezione acuta che tende nella maggior parte dei casi a cronicizzare e da qui si può arrivare, attraverso la cirrosi, che insorge nel 10-20% dei casi, all'evoluzione peggiore, cioè all'epatocarcinoma. Una neoplasia che ha nei virus B e C le cause principali e che colpisce per l'80% nei paesi in via di sviluppo (l'HBV è endemico in ampie zone, in Asia e Africa), anche se in paesi sviluppati a basso tasso d'incidenza, come Usa e Australia, in anni recenti si sono registrati aumenti, per i quali si è ipotizzato appunto un legame con la maggiore prevalenza di HCV. L'andamento epidemiologico ha forti variazioni regionali e i fattori di cui tenere conto nell'incidenza del cancro sono diversi. In ogni caso l'epatocarcinoma (HCC) è di gran lunga la più frequente forma tumorale del fegato e una delle maggiori cause di morte per tumore nel mondo, negli Stati Uniti è una della cause a crescita più rapida. In Italia sarebbero circa 12mila i nuovi casi annui di HCC, con quasi 6000 morti all'anno, la mortalità è comunque in parte diminuita negli ultimi anni.

Alcol, diabete, obesità e altri virus


L'infezione cronica da virus C è oggi il principale fattore di rischio per l'epatocarcinoma, suoi marker si sono ritrovati in proporzioni che variano dal 44-66% dei casi di HCC in Italia, al 27-58% in Francia, all'80-90% in Giappone. Da una meta-analisi di 21 studi il rischio della neoplasia è apparso aumentato di 17 volte negli infetti rispetto ai non infetti e in altri studi incrementato di 20-40 volte, d'altra parte per il virus B è aumentato di 10-20 volte e valori ancora più alti si hanno per la co-infezione tra HBV e HCV; si stima che per il virus C il tasso di sviluppo del tumore sia dell'1-3% dopo trent'anni. La presenza cronica del virus comporta alterazioni, tipicamente una degenerazione fibrotica, che può esitare in cirrosi e da questa in cancro. Ma diversi fattori accelerano la progressione verso la cirrosi e la neoplasia: soprattutto l'età avanzata, il genere maschile, un forte consumo di alcol, il diabete, l'obesità, la coinfezione con HIV oppure HBV. Altri fattori, legati al virus e non all'ospite, come il genotipo o la carica virale sembrano meno importanti nell'indurre tali trasformazioni. Se sono compresenti il virus B e il virus C, situazione piuttosto frequente, la probabilità di sviluppare l'epatocarcinoma si moltiplica, suggerendo un sinergismo tra i due. Il diabete di tipo 2 predispone alla steatoepatite non alcolica, che può progredire a cirrosi, anche l'obesità spesso associata al diabete si lega a steatosi epatica e fibrosi; ci sono anche elementi genetici predisponenti la progressione patologica, mentre gli uomini presentano maggiori tassi di tumore rispetto alle donne per la maggiore probabilità di essere co-infetti da virus B e C, di bere alcol, di fumare e di avere accumulo di ferro (cause meno comuni di cirrosi nell'HCC risultano emocromatosi ereditaria, epatiti autoimmuni, porfiriasi, deficit di alfa-1 antitripsina).

Calo italiano per trasfusioni sicure


Ma come detto ci sono forti differenze regionali nell'incidenza dell'epatocarcinoma, anche in presenza di livelli simili d'infezione da HCV, come nel caso, per esempio, di Giappone, Stati Uniti, Italia. In Giappone i casi di HCC si sono più che triplicati negli ultimi quarant'anni, negli Usa hanno cominciato a crescere dagli anni Ottanta accelerando dai Novanta, in Italia c'è stata una crescita nel sesso maschile da 3,3 casi per 100mila persone nel 1970 a 9,2 nel 1994 e poi un calo a 6 nel 1998, con un andamento analogo nel sesso femminile. La ragione di queste differenze va ricollegata alla modalità di trasmissione del virus C che, come il B, è prevalentemente per via ematica (la via sessuale è poco efficiente). In Giappone, la predominanza di epatiti virali C invece che B come nel resto dell'Asia è la coda delle trasfusioni e dell'uso di aghi infetti dalla seconda guerra mondiale in poi. In Italia la maggior parte delle infezioni C è stata acquisita fino agli anni Ottanta con le trasfusioni e le siringhe riutilizzabili impiegate nella pratica clinica e dai tossicodipendenti, mentre dalla diffusione degli screening il rischio di epatiti trasfusionali si è praticamente annullato, resta un certo rischio per chi si droga per via venosa e per chi si sottopone in condizioni di non sicurezza a tatuaggi, piercing o altre situazioni di possibile contagio. Gli Stati Uniti potrebbero collocarsi riguardo all'incremento di HCC legato all'HCV venti-trent'anni indietro rispetto al Giappone e dieci-quindici rispetto all'Italia.

Elettra Vecchia



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