09 novembre 2004
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Virus trasformista
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L'influenza è un'infezione respiratoria acuta, di origine virale, altamente contagiosa e trasmissibile per via aerea. Si distingue dalle altre infezioni respiratorie acute per il suo andamento tipicamente stagionale (in Italia da dicembre a marzo) più che per il quadro clinico che la caratterizza.
L'influenza compare dopo un breve periodo d'incubazione (1-2 giorni), durante il quale il virus può già essere eliminato nell'ambiente dal soggetto infetto. I sintomi consistono prevalentemente in febbre a carattere remittente-intermittente (con puntate sino a 39,5°C), accompagnata da dolori ossei e muscolari, astenia, cefalea e sintomi respiratori, come tosse, mal di gola, congestione nasale. In generale, la malattia evolve in modo benigno e si risolve nell'arco di 3-6 giorni. Tuttavia, nei bambini più piccoli, nelle persone con più di 65 anni, negli individui affetti da alcune patologie croniche, nei soggetti immunocompromessi e in gravidanza, possono insorgere complicanze anche severe.
I virus influenzali appartengono al genere Orthomyxovirus della famiglia Orthomyxoviridae. Vengono differenziati in tipo A, tipo B e tipo C in base alle loro caratteristiche antigeniche. Il virus influenzale A infetta un'ampia varietà di mammiferi, inclusi l'uomo, il cavallo e il maiale, e anche gli uccelli. Il virus di tipo A è il principale patogeno umano, associato a epidemie e pandemie. Il virus B causa generalmente malattia meno grave del virus di tipo A. Il virus dell'influenza C infetta solo l'uomo, è geneticamente stabile e poco patogeno. La particella virale ha forma sferica-ovoidale ed è rivestita da un involucro, caratterizzato da due tipi di glicoproteine: l'emoagglutinina (H) e la neuraminidasi (N). Il genoma del virus consiste in un singolo filamento di RNA segmentato in 8 frammenti (7 nel tipo C) che codificano per 10 proteine strutturali e non strutturali. La particolarità dei virus influenzali è la variabilità antigenica, cioè la loro capacità, in un certo senso, di cambiare più o meno radicalmente il loro "identikit" rendendo più difficile il compito del sistema immunitario. Questo fenomeno è più frequente nei virus di tipo A rispetto a quelli di tipo B e mai registrato nel tipo C. Le continue modificazioni producono varianti virali verso le quali, nella popolazione a rischio, la resistenza è scarsa o assente. E' per questo che l'influenza continua a essere la maggiore patologia a carattere epidemico nell'uomo, e che ogni anno cambiano i vaccini.
Mutazioni grandi e piccole
A questa continua evoluzione sono soprattutto interessati gli antigeni di superficie, in modo particolare l'emoagglutinina. I cambiamenti possono essere di due tipi: le variazioni antigeniche maggiori (antigenic shifts) e le variazioni antigeniche minori (antigenic drifts). Le prime si verificano ogni 10-30 anni e soltanto nei virus di tipo A, le seconde quasi annualmente sia nel virus di tipo B sia in quelli di tipo A. Gli antigenic shift determinano la comparsa di nuovi virus, aventi caratteristiche antigeniche dell'emoagglutinina e/o della neuraminidasi del tutto diverse, verso i quali la popolazione è priva di immunità. Per l'uomo sono attualmente d'interesse i virus A caratterizzati da diversi sottotipi di emoagglutinina (H1, H2, H3) e da due sottotipi di neuraminidasi (N1, N2). Quando si verifica il cambiamento simultaneo dei due antigeni di superficie la pandemia è particolarmente diffusa. Se invece lo shift coinvolge solo l'emoagglutinina il virus si diffonde ma, per la presenza nelle popolazioni di anticorpi anti-neuroaminidasi efficaci, la malattia risulta meno grave. Le variazioni antigeniche minori, antigenic drifts, si verificano, invece, ogni 1-3 anni all'interno di uno stesso sottotipo influenzale (A o B). Tale fenomeno è determinato dalle successive mutazioni dei geni, che codificano per emoagglutinina e/o neuroaminidasi: ciò comporta cambiamenti nella sequenza aminoacidica dei siti antigenici delle proteine, di conseguenza gli anticorpi diffusi nella popolazione non riescono più a riconoscere il virus.
Più che l'inluenza, la complicanza
Se normalmente l'influenza è una malattia a evoluzione benigna, in alcuni soggetti, soprattutto i più deboli come gli anziani, si possono sovrapporre altri disturbi, definiti complicanze. Le complicanze respiratorie sono le più frequenti, soprattutto le polmoniti a sovrapposizione batterica. Nella polmonite batterica, dopo che il paziente con influenza è migliorato, si assiste alla ricomparsa della febbre preceduta da brivido e le condizioni generali vanno rapidamente peggiorando. Insorge dispnea, tachicardia, cianosi e ipotensione arteriosa. Oltre alle polmoniti batteriche, complicanze possono essere anche le polmoniti virali, di solito ad elevata mortalità. La letteratura conferma l'importanza della vaccinazione antinfluenzale nel diminuire sia l'ospedalizzazione che la mortalità per polmonite nei soggetti vaccinati. Vi sono poi le complicanze cardiache. Infatti, a seguito dell'influenza, possono comparire alterazioni del ritmo cardiaco, dei toni cardiaci, segni di insufficienza cardiaca congestizia. Soprattutto nel soggetto anziano, si può avere improvvisamente arresto cardiaco e morte. E' difficile dire se tutto ciò sia dovuto ad una vera e propria miocardite, cioè un'infezione del cuore; è certo che in alcuni casi di miocardite, ad esempio durante l'epidemia di Asiatica, è stato isolato il virus influenzale dal miocardio.
Altre complicanze
Una complicanza particolarmente grave può essere l'encefalite, affezione neurologica più frequente nei bambini. Un'altra complicanza dell'influenza, che si manifesta quasi esclusivamente nel bambino, è la sindrome di Reye. Essa può comparire nei bambini o ragazzi da 6 mesi a 18 anni, in terapia prolungata con aspirina, ed è caratterizzata da encefalopatia acuta con alterazione dello stato di coscienza, degenerazione grassa del fegato, in assenza di qualsiasi altra spiegazione ragionevole per queste alterazioni epatiche e cerebrali. I soggetti diabetici, invece, possono andare incontro ad un aggravamento della malattia, con sviluppo di chetoacidosi. Questa complicazione può associarsi ad ipopotassiemia e portare a morte il paziente. Una particolare attenzione ancheva rivolta alle donne in gravidanza, che possono andare incontro a complicazioni a carico del sistema cardio-respiratorio, con conseguenti danni al feto da ipossia (carenza di ossigeno).
Elisa Lucchesini
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Come si presenta
L'influenza compare dopo un breve periodo d'incubazione (1-2 giorni), durante il quale il virus può già essere eliminato nell'ambiente dal soggetto infetto. I sintomi consistono prevalentemente in febbre a carattere remittente-intermittente (con puntate sino a 39,5°C), accompagnata da dolori ossei e muscolari, astenia, cefalea e sintomi respiratori, come tosse, mal di gola, congestione nasale. In generale, la malattia evolve in modo benigno e si risolve nell'arco di 3-6 giorni. Tuttavia, nei bambini più piccoli, nelle persone con più di 65 anni, negli individui affetti da alcune patologie croniche, nei soggetti immunocompromessi e in gravidanza, possono insorgere complicanze anche severe.
I virus responsabili e la loro variabilità genetica
I virus influenzali appartengono al genere Orthomyxovirus della famiglia Orthomyxoviridae. Vengono differenziati in tipo A, tipo B e tipo C in base alle loro caratteristiche antigeniche. Il virus influenzale A infetta un'ampia varietà di mammiferi, inclusi l'uomo, il cavallo e il maiale, e anche gli uccelli. Il virus di tipo A è il principale patogeno umano, associato a epidemie e pandemie. Il virus B causa generalmente malattia meno grave del virus di tipo A. Il virus dell'influenza C infetta solo l'uomo, è geneticamente stabile e poco patogeno. La particella virale ha forma sferica-ovoidale ed è rivestita da un involucro, caratterizzato da due tipi di glicoproteine: l'emoagglutinina (H) e la neuraminidasi (N). Il genoma del virus consiste in un singolo filamento di RNA segmentato in 8 frammenti (7 nel tipo C) che codificano per 10 proteine strutturali e non strutturali. La particolarità dei virus influenzali è la variabilità antigenica, cioè la loro capacità, in un certo senso, di cambiare più o meno radicalmente il loro "identikit" rendendo più difficile il compito del sistema immunitario. Questo fenomeno è più frequente nei virus di tipo A rispetto a quelli di tipo B e mai registrato nel tipo C. Le continue modificazioni producono varianti virali verso le quali, nella popolazione a rischio, la resistenza è scarsa o assente. E' per questo che l'influenza continua a essere la maggiore patologia a carattere epidemico nell'uomo, e che ogni anno cambiano i vaccini.
Mutazioni grandi e piccole
A questa continua evoluzione sono soprattutto interessati gli antigeni di superficie, in modo particolare l'emoagglutinina. I cambiamenti possono essere di due tipi: le variazioni antigeniche maggiori (antigenic shifts) e le variazioni antigeniche minori (antigenic drifts). Le prime si verificano ogni 10-30 anni e soltanto nei virus di tipo A, le seconde quasi annualmente sia nel virus di tipo B sia in quelli di tipo A. Gli antigenic shift determinano la comparsa di nuovi virus, aventi caratteristiche antigeniche dell'emoagglutinina e/o della neuraminidasi del tutto diverse, verso i quali la popolazione è priva di immunità. Per l'uomo sono attualmente d'interesse i virus A caratterizzati da diversi sottotipi di emoagglutinina (H1, H2, H3) e da due sottotipi di neuraminidasi (N1, N2). Quando si verifica il cambiamento simultaneo dei due antigeni di superficie la pandemia è particolarmente diffusa. Se invece lo shift coinvolge solo l'emoagglutinina il virus si diffonde ma, per la presenza nelle popolazioni di anticorpi anti-neuroaminidasi efficaci, la malattia risulta meno grave. Le variazioni antigeniche minori, antigenic drifts, si verificano, invece, ogni 1-3 anni all'interno di uno stesso sottotipo influenzale (A o B). Tale fenomeno è determinato dalle successive mutazioni dei geni, che codificano per emoagglutinina e/o neuroaminidasi: ciò comporta cambiamenti nella sequenza aminoacidica dei siti antigenici delle proteine, di conseguenza gli anticorpi diffusi nella popolazione non riescono più a riconoscere il virus.
Più che l'inluenza, la complicanza
Se normalmente l'influenza è una malattia a evoluzione benigna, in alcuni soggetti, soprattutto i più deboli come gli anziani, si possono sovrapporre altri disturbi, definiti complicanze. Le complicanze respiratorie sono le più frequenti, soprattutto le polmoniti a sovrapposizione batterica. Nella polmonite batterica, dopo che il paziente con influenza è migliorato, si assiste alla ricomparsa della febbre preceduta da brivido e le condizioni generali vanno rapidamente peggiorando. Insorge dispnea, tachicardia, cianosi e ipotensione arteriosa. Oltre alle polmoniti batteriche, complicanze possono essere anche le polmoniti virali, di solito ad elevata mortalità. La letteratura conferma l'importanza della vaccinazione antinfluenzale nel diminuire sia l'ospedalizzazione che la mortalità per polmonite nei soggetti vaccinati. Vi sono poi le complicanze cardiache. Infatti, a seguito dell'influenza, possono comparire alterazioni del ritmo cardiaco, dei toni cardiaci, segni di insufficienza cardiaca congestizia. Soprattutto nel soggetto anziano, si può avere improvvisamente arresto cardiaco e morte. E' difficile dire se tutto ciò sia dovuto ad una vera e propria miocardite, cioè un'infezione del cuore; è certo che in alcuni casi di miocardite, ad esempio durante l'epidemia di Asiatica, è stato isolato il virus influenzale dal miocardio.
Altre complicanze
Una complicanza particolarmente grave può essere l'encefalite, affezione neurologica più frequente nei bambini. Un'altra complicanza dell'influenza, che si manifesta quasi esclusivamente nel bambino, è la sindrome di Reye. Essa può comparire nei bambini o ragazzi da 6 mesi a 18 anni, in terapia prolungata con aspirina, ed è caratterizzata da encefalopatia acuta con alterazione dello stato di coscienza, degenerazione grassa del fegato, in assenza di qualsiasi altra spiegazione ragionevole per queste alterazioni epatiche e cerebrali. I soggetti diabetici, invece, possono andare incontro ad un aggravamento della malattia, con sviluppo di chetoacidosi. Questa complicazione può associarsi ad ipopotassiemia e portare a morte il paziente. Una particolare attenzione ancheva rivolta alle donne in gravidanza, che possono andare incontro a complicazioni a carico del sistema cardio-respiratorio, con conseguenti danni al feto da ipossia (carenza di ossigeno).
Elisa Lucchesini
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