Occhi pigri: non è mai troppo tardi

20 aprile 2005
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Occhi pigri: non è mai troppo tardi



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Gli occhi inviano separatamente immagini, attraverso i nervi ottici, alla corteccia cerebrale dove le singole immagini vengono sovrapposte. Se l'immagine proveniente da un occhio è sfuocata il cervello dovrà scartarla in quanto creerà confusione nella visione binoculare, ossia dei due occhi. Questo fenomeno di esclusione di un occhio determina il fenomeno dell'ambliopia, nota anche come occhio pigro. Una patologia più diffusa di quanto si potrebbe credere visto che circa il 3% della popolazione delle aree industrializzate ne risulta affetto. Le cause più comuni, dallo strabismo ai vizi di refrazione, agiscono in genere nei primi anni di vita e un ruolo centrale perciò è svolto dal pediatra, il primo ad avere l'opportunità di valutare la funzionalità visiva in un periodo dello sviluppo in cui questa può essere ancora migliorata. Uno studio statunitense, pubblicato sugli Archives of Ophthalmology, smentisce, però, l'idea diffusa che passati i sei anni i bambini possano difficilmente beneficiare dei trattamenti dell'occhio pigro o ambliopia.

Lo studio


Lo studio ha preso in considerazione 507 bambini dai sette anni in su, affetti dal disturbo e in cura presso 49 differenti centri. I bambini sono stati divisi in tre gruppi per i quali è stata prevista o soltanto una correzione visiva o una terapia per l'ambliopia. Al gruppo di bambini tra i sette e i 12 anni, oltre a fargli indossare gli occhiali normali, è stato coperto l'occhio sano con un cerotto per un periodo da due a sei ore al giorno. Inoltre i bambini hanno effettuato attività ravvicinate come leggere o giocare al Gameboy, per misurare la visione da vicino. Non solo. Al primo gruppo è stata somministrata una goccia quotidiana di atropina sempre per limitare l'utilizzazione dell'occhio sano. L'altro gruppo, quello formato dai più grandi, tra i 13 e i 17 anni, è stato trattato solo con il bendaggio e lo svolgimento di attività da vicino. Le visite successive, effettuate tra le sei e le 24 settimane a seguire, hanno portato a "catalogare" i piccoli pazienti come responder, cioè coloro che hanno risposto alla terapia, o non responder. Per essere catalogati nella prima categoria era necessario evidenziare una acuità visiva di 10 o più lettere, due linee nella comune carta test utilizzata nell'esame optometrico, in più che all'inizio della ricerca. Mentre se alla 24esima settimana il bambino non è stato in grado di leggere dieci lettere in più né ha manifestato alcun miglioramento è evidentemente refrattario ai trattamenti. I risultati sono stati sorprendenti. Nel gruppo dei più piccoli sono stati classificati come responder il 53% di quelli trattati contro il 25% di quelli con sola correzione ottica. Mentre nel gruppo dei più grandi, ed è questa la vera sorpresa per i ricercatori, i responder sono il 25% di quelli in terapia contro il 23% dell'altro gruppo. Un risultato ancor più significativo per quelli mai trattati in precedenza. I risultati - concludono i ricercatori - indicano chiaramente che l'acuita visiva può essere migliorata anche dopo l'età prescolare, ancora non si sa peraltro cosa succeda se il trattamento viene interrotto né quali siano gli effetti della terapia a lungo termine. Quello che è certo è che lo screening per individuare il fenomeno dell'occhio pigro nei bambini è quanto mai importante.

Marco Malagutti



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