10 novembre 2006
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Chemio d'annata sempre valida
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Correva l'anno 1976 quando un'equipe di oncologi milanesi ottenne risultati significativi con una combinazione di molecole che abbassava il rischio di recidiva del tumore al seno. Riuscirono a dimostrare che 12 mesi di chemioterapia con ciclofosfamide, metotrexate e fluorouracile (CMF), somministrata dopo la chirurgia (cioè adiuvante), proteggeva le donne con linfonodi ascellari dal rischio di ricomparsa della neoplasia. In 30 anni di lotta al tumore, la triade non ha perso il suo smalto ed è stata oggetto di numerosi studi che hanno cercato di capire quale fosse il numero e la dose ottimale di farmaci per una chemioterapia adiuvante.
Nel 2000 una conferenza di consensus del National Institute of Health raccomandava che nella terapia adiuvante per il tumore al seno, fosse presente anche un'antraciclina (epirubicina e doxorubicina), che a volte si aggiunge, prima o dopo il trattamento CMF oppure si sostituisce al metotrexate nella combinazione CMF. Si tratta di molecole di natura antibiotica particolarmente tossiche a fronte di un elevata efficacia, e quindi difficili da impiegare a causa degli effetti collaterali. Ma erano diversi gli studi che riportavano un vantaggio della chemioterapia in cui con introduzione dell'uno o dell'altro principio si potevano ottenere benefici di sopravvivenza generale e senza malattia. La conferma della validità dell'approccio, orientato, però, sull'epirubicina, arriva anche da uno studio recente che ha combinato i dati di due grandi studi, il NEAT (National Epirubicin Adjuvant Trial) e il BR9601, che hanno incluso quasi 2400 donne con tumore del seno in fase precoce. Nel primo sono stati somministrati quattro cicli di epirubicina seguiti da quattro cicli di CMF, confrontati con sei cicli di CMF somministrati da soli. Nell'altro lo schema è stato confrontato con otto cicli di CMF somministrati ogni tre settimane. Lo schema adottato è lo stesso che venne usato negli anni '90 dal gruppo di studio dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, che però aveva testato la doxorubicina.
I risultati odierni continuano a sostenere la superiorità dell'aggiunta dell'antraciclina al regime chemioterapico rispetto alla combinazione CMF somministrata da sola: a distanza di quattro anni (considerato monitoraggio a medio termine) il rischio di ricaduta o di decesso senza recidiva e la morte per tutte le cause diminuiva circa del 30%. Risultati per altro estendibili anche al gruppo più ristretto di donne con tumore al seno positivo per i recettori degli estrogeni. Sul profilo di tolleranza, come atteso, l'aggiunta dell'epirubicina peggiorava il quadro: comparivano alopecia, vomito, nausea più frequentemente di quanto accadesse solo con CMF, ma con un margine di tollerabilità più ampio rispetto alla doxorubicina. La differenza tra i profili di sicurezza, tra due molecole della stessa classe, potrebbe essere dovuta alla diversa struttura molecolare, in ogni caso il grado più basso di tossicità dell'epirubicina è un vantaggio terapeutico perché permette di aumentare le dosi.
Tuttavia, per quanto i vantaggi dell'approccio testato siano stati verificati, resta comunque modesta l'ampiezza dei benefici a fronte di un effetto tossico. Questi aspetti devono essere spiegati alle pazienti e compresi, e la decisione a procedere deve tenere conto del livello di rischio. Pazienti ad alto rischio di recidiva possono sottoporsi a un regime che include un'antraciclina anche a dosaggi intensivi. Ma quando il rischio è più contenuto la terapia può essere meno aggressiva con effetti collaterali minori, quindi senza l'antraciclina, oppure con ciclofosfamide e doxorubicina, se non addirittura prendere in considerazione la terapia endocrina.
Simona Zazzetta
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Cicli a confronto
Nel 2000 una conferenza di consensus del National Institute of Health raccomandava che nella terapia adiuvante per il tumore al seno, fosse presente anche un'antraciclina (epirubicina e doxorubicina), che a volte si aggiunge, prima o dopo il trattamento CMF oppure si sostituisce al metotrexate nella combinazione CMF. Si tratta di molecole di natura antibiotica particolarmente tossiche a fronte di un elevata efficacia, e quindi difficili da impiegare a causa degli effetti collaterali. Ma erano diversi gli studi che riportavano un vantaggio della chemioterapia in cui con introduzione dell'uno o dell'altro principio si potevano ottenere benefici di sopravvivenza generale e senza malattia. La conferma della validità dell'approccio, orientato, però, sull'epirubicina, arriva anche da uno studio recente che ha combinato i dati di due grandi studi, il NEAT (National Epirubicin Adjuvant Trial) e il BR9601, che hanno incluso quasi 2400 donne con tumore del seno in fase precoce. Nel primo sono stati somministrati quattro cicli di epirubicina seguiti da quattro cicli di CMF, confrontati con sei cicli di CMF somministrati da soli. Nell'altro lo schema è stato confrontato con otto cicli di CMF somministrati ogni tre settimane. Lo schema adottato è lo stesso che venne usato negli anni '90 dal gruppo di studio dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, che però aveva testato la doxorubicina.
Il peso degli effetti collaterali
I risultati odierni continuano a sostenere la superiorità dell'aggiunta dell'antraciclina al regime chemioterapico rispetto alla combinazione CMF somministrata da sola: a distanza di quattro anni (considerato monitoraggio a medio termine) il rischio di ricaduta o di decesso senza recidiva e la morte per tutte le cause diminuiva circa del 30%. Risultati per altro estendibili anche al gruppo più ristretto di donne con tumore al seno positivo per i recettori degli estrogeni. Sul profilo di tolleranza, come atteso, l'aggiunta dell'epirubicina peggiorava il quadro: comparivano alopecia, vomito, nausea più frequentemente di quanto accadesse solo con CMF, ma con un margine di tollerabilità più ampio rispetto alla doxorubicina. La differenza tra i profili di sicurezza, tra due molecole della stessa classe, potrebbe essere dovuta alla diversa struttura molecolare, in ogni caso il grado più basso di tossicità dell'epirubicina è un vantaggio terapeutico perché permette di aumentare le dosi.
Tuttavia, per quanto i vantaggi dell'approccio testato siano stati verificati, resta comunque modesta l'ampiezza dei benefici a fronte di un effetto tossico. Questi aspetti devono essere spiegati alle pazienti e compresi, e la decisione a procedere deve tenere conto del livello di rischio. Pazienti ad alto rischio di recidiva possono sottoporsi a un regime che include un'antraciclina anche a dosaggi intensivi. Ma quando il rischio è più contenuto la terapia può essere meno aggressiva con effetti collaterali minori, quindi senza l'antraciclina, oppure con ciclofosfamide e doxorubicina, se non addirittura prendere in considerazione la terapia endocrina.
Simona Zazzetta
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