16 settembre 2003
Aggiornamenti e focus
Polmone: cancro visto in anticipo
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Non è ancora la soluzione, ma uno studio italiano fa compiere un passo avanti nella definizione di una strategia per la diagnosi precoce dei tumori polmonari. In altre parole la possibilità di effettuare screening almeno nella popolazione ad alto rischio. Si tratta di una ricerca ancora esplorativa che ha testato l'efficacia di uno schema che si avvale di due esami diversi da quelli standard: la TAC spirale, senza mezzo di contrasto e la PET (Tomografia a emissione di positroni). La prima è per così dire una versione "rapida" della TAC, nella quale il paziente è anche esposto a una minore dose di radiazioni. Inoltre, l'assenza del mezzo di contrasto rende l'esame più rapido, meno complesso e meno costoso. La PET è invece un esame nel quale si usa una sostanza in grado di legarsi a particolari tessuti e di emettere particelle rilevabili da uno strumento. La ricerca è stata condotta da tre istituzioni milanesi, l'Istituto dei Tumori, l'Istituto Europeo Oncologico e L'Ospedale San Raffaele. Nello studio sono stati coinvolti, tra giugno 2000 e giugno 2001, 1035 fumatori di 50 e più anni che in media consumavano o avevano consumato 26 sigarette al giorno per 37 anni (un 14% aveva infatti smesso di fumare prima dell'ingresso nello studio). Lo schema prevedeva l'esecuzione di una TAC spirale l'anno per 5 anni. Al momento della pubblicazione il follow-up era in media pari a 2,5 anni.
I ricercatori milanesi hanno provveduto a sottoporre il campione a una TAC iniziale, accompagnata dagli altri esami funzionali e chimico-clinici (citologia dell'escreato, ricerca dei marker). Le lesioni (noduli) eventualmente riscontrate a questo test venivano giudicate in base a questo schema. I noduli calcificati (di norma non cancerosi) o quelli non calcificati ma di diametro fino a 5 mm sono stati considerati non sospetti. Le lesioni non calcificate di 5 e più mm di diametro venivano sottoposte entro un mese a nuova TAC spirale limitata all'area. Le lesioni che superavano i 7 mm venivano avviate alla PET. Inoltre veniva valutata la densità della lesione, che è un'indicazione del probabile carattere maligno. Le lesioni che mostravano una densità superiore a un certo limite, quelle positive alla PET e quelle superiori a 20 mm, a meno che una TAC a elevata risoluzione non le indicasse come sicuramente benigne, venivano avviate alla biopsia. Esemplificando, i ricercatori si servivano dei due esami per decidere se procedere a indagini successive (tac tradizionale con mezzo di contrasto e/o biopsia), rinviando all'anno successivo il riesame delle lesioni non sospette perché piccole o calcificate.
Nello screening iniziale sono stati identificati 284 noduli non calcificati in 199 (19%) soggetti, in altre 15 persone sono state identificate lesioni non nodulari. In altre 44 sono state localizzate lesioni calcificate benigne. Le lesioni superiori a 5 mm, la soglia per esami successivi, sono state 61. Di queste, 31 sono poi state giudicate benigne, 11 maligne e 14 non definibili. La diagnosi definitiva di tumore è stata posta in 11 casi, pari all'1,1 % del campione totale e al 18% dei pazienti sottoposti a indagini supplementari. Allo screening dell'anno successivo, cui hanno partecipato 996 persone, sono stati rilevati 127 nuovi noduli in 99 persone. 34 di queste lesioni sono state oggetto di approfondimento diagnostico con successiva diagnosi di tumore in 11 persone, sei delle quali mostravano già la lesione al primo screening ma questa era stata giudicata benigna.
Il costo resta un ostacolo?
E' innegabile che il cancro del polmone sia una forma tumorale nella quale la sopravvivenza a cinque anni è ancora molto bassa: in Europa il 10% circa. E' però dimostrato che l'intervento precoce garantisce la sopravvivenza a lungo termine nell'80% dei casi. Quindi, l'effetto più importante di un programma di screening è la capacità di identificare lesioni trattabili con successo con il minor numero possibile di falsi positivi (cioè di persone sulle quali si interviene senza motivo). In effetti, per 10 degli undici tumori identificati nella prima fase dello studio era stato possibile intervenire in maniera radicale. Anche nella seconda fase, a maggior ragione, per tutti i tumori si è potuto procedere alla resezione completa. In effetti, il risultato è incoraggiante, come concede anche l'editoriale pubblicato a commento da Lancet e, soprattutto, i tempi con i quali si è giunti alla diagnosi sono decisamente più rapidi di quelli riscontrati in altri studi precedenti, grazie all'introduzione della PET: al massimo 314 giorni nella prima fase e al massimo 215 nella seconda, con una media però ben più bassa: rispettivamente 3,8 e 2,1 mesi. Nello studio milanese, inoltre, nell'arco dei 2 anni e mezzo di controlli non si è registrato alcun caso di malattia invasiva. Anche le lesioni individuate già la prima volta ma poi rinviate all'anno successivo perché ancora troppo piccole hanno potuto essere trattate adeguatamente, segno che i criteri adottati non mettono a rischio di trascurare il paziente.
Il sistema, quindi, funziona, almeno in questa fase sperimentale. L'unico inconveniente sembra essere legato ai costi: ogni anno di vita guadagnato costerebbe, secondo stime statunitensi, 100.000 dollari. Ma sembra una cifra eccessiva rispetto agli standard europei. C'è poi un altro aspetto che i critici avanzano, e cioè che spesso nei forti fumatori si verifica la morte per malattie differenti, per esempio quelle cardiovascolari, ma comunque legate al fumo. Come dire che lo sforzo di identificare e curare precocemente il tumore potrebbe essere reso inutile. Questa, però, non è una decisione facile da prendere...
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Un sistema di valutazione nuovo
I ricercatori milanesi hanno provveduto a sottoporre il campione a una TAC iniziale, accompagnata dagli altri esami funzionali e chimico-clinici (citologia dell'escreato, ricerca dei marker). Le lesioni (noduli) eventualmente riscontrate a questo test venivano giudicate in base a questo schema. I noduli calcificati (di norma non cancerosi) o quelli non calcificati ma di diametro fino a 5 mm sono stati considerati non sospetti. Le lesioni non calcificate di 5 e più mm di diametro venivano sottoposte entro un mese a nuova TAC spirale limitata all'area. Le lesioni che superavano i 7 mm venivano avviate alla PET. Inoltre veniva valutata la densità della lesione, che è un'indicazione del probabile carattere maligno. Le lesioni che mostravano una densità superiore a un certo limite, quelle positive alla PET e quelle superiori a 20 mm, a meno che una TAC a elevata risoluzione non le indicasse come sicuramente benigne, venivano avviate alla biopsia. Esemplificando, i ricercatori si servivano dei due esami per decidere se procedere a indagini successive (tac tradizionale con mezzo di contrasto e/o biopsia), rinviando all'anno successivo il riesame delle lesioni non sospette perché piccole o calcificate.
La diagnosi arriva prima
Nello screening iniziale sono stati identificati 284 noduli non calcificati in 199 (19%) soggetti, in altre 15 persone sono state identificate lesioni non nodulari. In altre 44 sono state localizzate lesioni calcificate benigne. Le lesioni superiori a 5 mm, la soglia per esami successivi, sono state 61. Di queste, 31 sono poi state giudicate benigne, 11 maligne e 14 non definibili. La diagnosi definitiva di tumore è stata posta in 11 casi, pari all'1,1 % del campione totale e al 18% dei pazienti sottoposti a indagini supplementari. Allo screening dell'anno successivo, cui hanno partecipato 996 persone, sono stati rilevati 127 nuovi noduli in 99 persone. 34 di queste lesioni sono state oggetto di approfondimento diagnostico con successiva diagnosi di tumore in 11 persone, sei delle quali mostravano già la lesione al primo screening ma questa era stata giudicata benigna.
Il costo resta un ostacolo?
E' innegabile che il cancro del polmone sia una forma tumorale nella quale la sopravvivenza a cinque anni è ancora molto bassa: in Europa il 10% circa. E' però dimostrato che l'intervento precoce garantisce la sopravvivenza a lungo termine nell'80% dei casi. Quindi, l'effetto più importante di un programma di screening è la capacità di identificare lesioni trattabili con successo con il minor numero possibile di falsi positivi (cioè di persone sulle quali si interviene senza motivo). In effetti, per 10 degli undici tumori identificati nella prima fase dello studio era stato possibile intervenire in maniera radicale. Anche nella seconda fase, a maggior ragione, per tutti i tumori si è potuto procedere alla resezione completa. In effetti, il risultato è incoraggiante, come concede anche l'editoriale pubblicato a commento da Lancet e, soprattutto, i tempi con i quali si è giunti alla diagnosi sono decisamente più rapidi di quelli riscontrati in altri studi precedenti, grazie all'introduzione della PET: al massimo 314 giorni nella prima fase e al massimo 215 nella seconda, con una media però ben più bassa: rispettivamente 3,8 e 2,1 mesi. Nello studio milanese, inoltre, nell'arco dei 2 anni e mezzo di controlli non si è registrato alcun caso di malattia invasiva. Anche le lesioni individuate già la prima volta ma poi rinviate all'anno successivo perché ancora troppo piccole hanno potuto essere trattate adeguatamente, segno che i criteri adottati non mettono a rischio di trascurare il paziente.
Il sistema, quindi, funziona, almeno in questa fase sperimentale. L'unico inconveniente sembra essere legato ai costi: ogni anno di vita guadagnato costerebbe, secondo stime statunitensi, 100.000 dollari. Ma sembra una cifra eccessiva rispetto agli standard europei. C'è poi un altro aspetto che i critici avanzano, e cioè che spesso nei forti fumatori si verifica la morte per malattie differenti, per esempio quelle cardiovascolari, ma comunque legate al fumo. Come dire che lo sforzo di identificare e curare precocemente il tumore potrebbe essere reso inutile. Questa, però, non è una decisione facile da prendere...
Maurizio Imperiali
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