13 aprile 2007
Aggiornamenti e focus
L'artrosi in ginocchio
Tags:
Le possibilità offerte dallo sviluppo della protesi d’anca, che ha rivoluzionato il trattamento delle patologie invalidanti e dolorose a questo livello così frequenti dopo la mezz’età, hanno dato impulso alle tecniche di sostituzione di un’altra articolazione fondamentale per la mobilità, il ginocchio. L’indicazione principale che è la gonartrosi cioè l’artrosi in questa sede (oltre ad artrite, traumi e alterazioni dovute a patologie) è ormai un problema clinico epidemiologicamente rilevante, anche più che per l’anca, e destinato a crescere con l’invecchiamento delle popolazioni: una recente stima statunitense riferisce per esempio il 5-10% degli ultra 60enni colpiti, mentre per una britannica il 2% degli ultra 55enni potrebbe beneficiare di protesi del ginocchio. Secondo una proiezione sempre del Regno Unito, con le attuali tendenze demografiche la domanda di questa sostituzione articolare potrebbe crescere tra trent’anni nella misura del 40%. Domanda già largamente insoddisfatta per i lunghi tempi d’attesa, lamenta un editoriale sul BMJ: ma questa come problematica è presente anche altrove, in Italia ben lo sappiamo.
Ancora negli anni settanta e inizio ottanta la protesi di ginocchio era considerato un intervento chirurgico con esiti scarsamente soddisfacenti, nonostante progressi nella progettazione dei modelli nell’intento di riprodurre condizioni anatomiche normali con un ridotto attrito articolare. Gli impianti e le tecniche si sono però notevolmente evoluti, oggi questa metodica di artroplastica è affidabile e sicura tanto da diventare una delle operazioni più comuni di chirurgia maggiore.
Le protesi hanno componenti metalliche che vengono ancorate all’osso (in genere per il fissaggio si usano cementi) e centrali in plastica (polietilene); sono parziali o totali, di tipo mono, bi o tricompartimentali a seconda che sia necessario sostituire la cartilagine a livello del femore, della tibia e anche della rotula; infine oggi ci sono anche tecniche minimamente invasive, con pro e contro da valutare. Scivolando e ruotando insieme le parti riproducono la funzione, cioè consentono il movimento, senza dolore: quest’ultimo, presente nella gonartrosi insieme all’immobilità, è appunto causato dall’attrito per il consumo del rivestimento cartilagineo, aggravato anche dallo sviluppo di escrescenze ossee (osteofiti). Rigidità e dolore che limitano e arrivano fino a impedire i movimenti, riducendo così le attività quotidiane, la socialità e la qualità di vita in generale, tanto più nell’anziano. Logico quindi che le domande più frequenti delle persone alle quali viene prospettata l’artroplastica siano quelle relative alle effettive prestazioni dell’articolazione dopo l’impianto della protesi, e alla durata di quest’ultima. Intanto va precisato che l’indicazione a questo intervento segue un’attenta valutazione clinico-strumentale del singolo caso e che non è generalmente di prima linea; c’è però un sostanziale accordo sul fatto di considerarlo di scelta, dai 55 anni in poi, quando la disabilità e il dolore sono marcati e il paziente non è più molto attivo.
Riguardo al risultato ottenibile, l’analisi stessa è cambiata dai primi studi in cui si considerava solo l’ottica del chirurgo ai più recenti che enfatizzano quella del paziente, misurata con questionari sullo stato di salute generale. Con la protesi totale i riscontri sono di miglioramenti significativi sotto tutti gli aspetti, da dolore e mobilità, a benessere e stato emotivo: benefici che oltretutto si evidenziano in tutti i gruppi d’età, compreso negli anziani di più di 80 anni. Questo comporta anche una riduzione dell’isolamento sociale, nonché miglioramenti su altri piani, per esempio la fitness cardiovascolare. Nel complesso, i movimenti articolari possibili sono di poco inferiori a quelli naturali, ovviamente con qualche limitazione. Per l’altra questione che può preoccupare i pazienti, la validità nel tempo della protesi, per l’artroplastica totale ci sono studi che riferiscono durate del 95% per 10 anni e dell’85-90% per 15 anni, altri dell’85% per 13 anni: una permanenza sul lungo periodo che sembra ancora più elevata di quella della protesi d’anca.
Elettra Vecchia
In evidenza:
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Ancora negli anni settanta e inizio ottanta la protesi di ginocchio era considerato un intervento chirurgico con esiti scarsamente soddisfacenti, nonostante progressi nella progettazione dei modelli nell’intento di riprodurre condizioni anatomiche normali con un ridotto attrito articolare. Gli impianti e le tecniche si sono però notevolmente evoluti, oggi questa metodica di artroplastica è affidabile e sicura tanto da diventare una delle operazioni più comuni di chirurgia maggiore.
Considerarla se disabilità marcata
Le protesi hanno componenti metalliche che vengono ancorate all’osso (in genere per il fissaggio si usano cementi) e centrali in plastica (polietilene); sono parziali o totali, di tipo mono, bi o tricompartimentali a seconda che sia necessario sostituire la cartilagine a livello del femore, della tibia e anche della rotula; infine oggi ci sono anche tecniche minimamente invasive, con pro e contro da valutare. Scivolando e ruotando insieme le parti riproducono la funzione, cioè consentono il movimento, senza dolore: quest’ultimo, presente nella gonartrosi insieme all’immobilità, è appunto causato dall’attrito per il consumo del rivestimento cartilagineo, aggravato anche dallo sviluppo di escrescenze ossee (osteofiti). Rigidità e dolore che limitano e arrivano fino a impedire i movimenti, riducendo così le attività quotidiane, la socialità e la qualità di vita in generale, tanto più nell’anziano. Logico quindi che le domande più frequenti delle persone alle quali viene prospettata l’artroplastica siano quelle relative alle effettive prestazioni dell’articolazione dopo l’impianto della protesi, e alla durata di quest’ultima. Intanto va precisato che l’indicazione a questo intervento segue un’attenta valutazione clinico-strumentale del singolo caso e che non è generalmente di prima linea; c’è però un sostanziale accordo sul fatto di considerarlo di scelta, dai 55 anni in poi, quando la disabilità e il dolore sono marcati e il paziente non è più molto attivo.
La quasi totalità dura 10-15 anni
Riguardo al risultato ottenibile, l’analisi stessa è cambiata dai primi studi in cui si considerava solo l’ottica del chirurgo ai più recenti che enfatizzano quella del paziente, misurata con questionari sullo stato di salute generale. Con la protesi totale i riscontri sono di miglioramenti significativi sotto tutti gli aspetti, da dolore e mobilità, a benessere e stato emotivo: benefici che oltretutto si evidenziano in tutti i gruppi d’età, compreso negli anziani di più di 80 anni. Questo comporta anche una riduzione dell’isolamento sociale, nonché miglioramenti su altri piani, per esempio la fitness cardiovascolare. Nel complesso, i movimenti articolari possibili sono di poco inferiori a quelli naturali, ovviamente con qualche limitazione. Per l’altra questione che può preoccupare i pazienti, la validità nel tempo della protesi, per l’artroplastica totale ci sono studi che riferiscono durate del 95% per 10 anni e dell’85-90% per 15 anni, altri dell’85% per 13 anni: una permanenza sul lungo periodo che sembra ancora più elevata di quella della protesi d’anca.
Elettra Vecchia
In evidenza:
Salute oggi:
- Notizie e aggiornamenti
- Libri e pubblicazioni
- Dalle aziende
- Appunti di salute
- Nutrire la salute
- Aperi-libri
- Allenati con noi
...e inoltre su Dica33: