13 aprile 2007
Aggiornamenti e focus
Intervenire solo un po'
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La protesi totale dell’anca è una metodica matura, di cui sono ben noti successi e limiti. Può essere senz’altro migliorata ma difficilmente sostituita: infatti, la possibilità di procedere al rimodellamento delle superfici articolari mediante tessuti ingegnerizzati, cioè mediante le biotecnologie, è al momento una possibilità remota. I miglioramenti possono venire, e in parte sono già venuti, da due direzioni: gli interventi conservativi e la chirurgia mininvasiva.
Gli interventi conservativi non sono una novità in senso stretto e consistono nell’applicare una protesi parziale, che cioè non va a sostituire completamente il collo del femore, ma a ricoprirne l’area compromessa, così da ristabilire condizioni di attrito e geometrie accettabili. Questa protesi è ovviamente accompagnata da una coppa acetabolare simile a quella impiegata nella sostituzione completa. Il sistema di fissaggio è misto: senza cemento per la coppa e con cemento per la testa del femore. Inizialmente, anni settanta, l’uso di teste di grandi dimensioni, e di uno strato sottile di polietilene per le superfici di contatto aveva condotto a esiti poco soddisfacenti, dovuti all’elevato attrito. Però il ricorso a superfici di contatto metalliche ha di molto migliorato la situazione e almeno una casistica importante riporta risultati a medio termine soddisfacenti. Il principale vantaggio di questa metodica è che ben si adatta all’impiego nelle persone più giovani , nella decade dei 50 anni. Infatti una delle conseguenze peggiori cui può andare incontro questo intervento, la rottura del femore, è meno facile nell’osso di un giovane, più denso. Inoltre, in caso di necessità, la protesi parziale può essere facilmente riconvertita in una protesi completa. In una persona che verosimilmente ha di fronte a sé un arco di vita più lungo, rimandare gli interventi più demolitivi è meglio. Uno studio, dedicato però a un particolare tipo di protesi, la Birmingham, ha mostrato che a 5 anni il 98% degli interventi non aveva richiesto una revisione.
E’ invece un progresso vero e proprio il ricorso alle tecniche endoscopiche per il posizionamento della protesi completa. Come sempre, il fine principale della chirurgia mini-invasiva è ridurre il trauma chirurgico, ovviamente quello sui tessuti molli, le perdite di sangue e, infine, ricovero e tempi di recupero. Attualmente due sono le tecniche impiegate. La prima prevede una sola incisione, nella stessa area in cui si procede con l’intervento classico, ma con un taglio di soli 10 centimetri; la seconda prevede due incisioni, più piccole quindi, teoricamente, è ancora meno traumatica, ma richiede una maggiore abilità ed esperienza dell’operatore e, soprattutto, il monitoraggio mediante il fluoroscopio. E’ chiaro che il chirurgo, con queste tecniche, ha una visibilità ridotta, tuttavia la tecnica a una sola incisione è già stata approvata dal NICE (National Institute for Clinical Excellence), l’ente britannico che valuta efficacia, sicurezza e costi delle terapie, sulla base di due studi clinici piuttosto esaurienti. Non così quella a due incisioni. Proprio il minor campo visuale tipico dell’endoscopia ha fatto sì che si sviluppassero i sistemi computerizzati per stabilire il posizionamento della protesi, la cui funzionalità dipende pur sempre dal rispetto della geometria naturale dell’articolazione. Computer o meno, per quanto riguarda l’approccio endoscopico, comunque, solo il tempo potrà dire se i risultati eguagliano quelli della chirurgia tradizionale. Gli esordi, però, fanno ben sperare.
Sveva Prati
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Risparmiare l’osso
Gli interventi conservativi non sono una novità in senso stretto e consistono nell’applicare una protesi parziale, che cioè non va a sostituire completamente il collo del femore, ma a ricoprirne l’area compromessa, così da ristabilire condizioni di attrito e geometrie accettabili. Questa protesi è ovviamente accompagnata da una coppa acetabolare simile a quella impiegata nella sostituzione completa. Il sistema di fissaggio è misto: senza cemento per la coppa e con cemento per la testa del femore. Inizialmente, anni settanta, l’uso di teste di grandi dimensioni, e di uno strato sottile di polietilene per le superfici di contatto aveva condotto a esiti poco soddisfacenti, dovuti all’elevato attrito. Però il ricorso a superfici di contatto metalliche ha di molto migliorato la situazione e almeno una casistica importante riporta risultati a medio termine soddisfacenti. Il principale vantaggio di questa metodica è che ben si adatta all’impiego nelle persone più giovani , nella decade dei 50 anni. Infatti una delle conseguenze peggiori cui può andare incontro questo intervento, la rottura del femore, è meno facile nell’osso di un giovane, più denso. Inoltre, in caso di necessità, la protesi parziale può essere facilmente riconvertita in una protesi completa. In una persona che verosimilmente ha di fronte a sé un arco di vita più lungo, rimandare gli interventi più demolitivi è meglio. Uno studio, dedicato però a un particolare tipo di protesi, la Birmingham, ha mostrato che a 5 anni il 98% degli interventi non aveva richiesto una revisione.
Nell’anca in punta di piedi
E’ invece un progresso vero e proprio il ricorso alle tecniche endoscopiche per il posizionamento della protesi completa. Come sempre, il fine principale della chirurgia mini-invasiva è ridurre il trauma chirurgico, ovviamente quello sui tessuti molli, le perdite di sangue e, infine, ricovero e tempi di recupero. Attualmente due sono le tecniche impiegate. La prima prevede una sola incisione, nella stessa area in cui si procede con l’intervento classico, ma con un taglio di soli 10 centimetri; la seconda prevede due incisioni, più piccole quindi, teoricamente, è ancora meno traumatica, ma richiede una maggiore abilità ed esperienza dell’operatore e, soprattutto, il monitoraggio mediante il fluoroscopio. E’ chiaro che il chirurgo, con queste tecniche, ha una visibilità ridotta, tuttavia la tecnica a una sola incisione è già stata approvata dal NICE (National Institute for Clinical Excellence), l’ente britannico che valuta efficacia, sicurezza e costi delle terapie, sulla base di due studi clinici piuttosto esaurienti. Non così quella a due incisioni. Proprio il minor campo visuale tipico dell’endoscopia ha fatto sì che si sviluppassero i sistemi computerizzati per stabilire il posizionamento della protesi, la cui funzionalità dipende pur sempre dal rispetto della geometria naturale dell’articolazione. Computer o meno, per quanto riguarda l’approccio endoscopico, comunque, solo il tempo potrà dire se i risultati eguagliano quelli della chirurgia tradizionale. Gli esordi, però, fanno ben sperare.
Sveva Prati
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