12 marzo 2008
Aggiornamenti e focus
Cuori artritici a rischio
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L'artrite reumatoide si manifesta a livello articolare, con un quadro progressivamente disabilitante, ma arrivando alla fase avanzata possono insorgere coinvolgimenti anche extra-articolari, a carico di nervi, di vasi e di organi come polmoni e cuore. Il fatto che sia una malattia infiammatoria autoimmune fa pensare a diverse possibili implicazioni patologiche. E' il caso dell'aterosclerosi coronarica e cerebrovascolare che sarebbero accelerate e in causa nell'incremento di mortalità riscontrabile nella malattia stabile e a insorgenza precoce: eventi cardiovascolari si verificano mediamente una decina d'anni prima tra chi soffre della patologia rispetto alla popolazione generale. Tanto che l'artrite reumatoide potrebbe identificarsi come un fattore di rischio indipendente per la cardiopatia ischemica, come nel caso per esempio del diabete mellito. L'associazione tra la malattia e la cardiovasculopatia è stata analizzata in una ricerca su pazienti di 15 paesi (undici europei più Turchia, Argentina, Pennsylvania e Stato di New York), nella quale si è valutato anche l'eventuale effetto protettivo in senso cardiovascolare dei farmaci modificanti il corso della malattia (DMARD), cioè di fondo, come suggerito da precedenti studi.
Si tratta dello studio QUEST-RA, nel quale 4.363 malati di artrite reumatoide di 48 centri dei 15 paesi, al 90% caucasici, di età media 75 anni e in maggioranza di sesso femminile, hanno compilato questionari standard per il monitoraggio e sono stati valutati clinicamente per la malattia e in relazione alla terapia. I farmaci consistevano in metotrexate, leflunomide, sulfasalazina, glucocorticoidi, sali d'oro, antimalarici, anti-TNF alfa. Si sono considerate co-patologie, morbilità cardio e cerebrovascolare, fattori di rischio costituiti da ipertensione, iperlipidemia, diabete, fumo, sedentarietà e obesità. Riguardo alla malattia nel progetto QUEST-RA la durata media era di undici anni, il 74% dei pazienti era positivo per il fattore reumatoide e c'era un coinvolgimento extra-articolare nel 24% dei casi, con un range da meno del 15% per l'Italia e l'Olanda al 34% della Danimarca. La prevalenza di eventi cardiovascolari nell'intero campione è risultata il 3,2% per l'infarto miocardico, l'1,9% per l'ictus e il 9,3% per qualsiasi evento (infarto, angina, coronaropatia, ictus) con notevoli variazioni tra i vari paesi; la prevalenza degli eventi era maggiore tra gli uomini. I fattori di rischio, tranne obesità e sedentarietà, erano significativamente associati alla morbilità cardiovascolare; c'era un'associazione tra qualsiasi evento ed età e genere maschile, e tra malattia extra-articolare e infarto miocardico. Quanto al trattamento, l'utilizzo protratto dei DMARDS è risultato associato a una riduzione del rischio di morbilità cardiovascolare e, dopo gli aggiustamenti per severità della patologia e fattori predisponenti le cardiopatie, è rimasta la significatività per il metotrexate e la sulfasalazina con il minor rischio d'infarto miocardico.
Altri studi avevano per esempio evidenziato una relazione inversa tra frequenza d'infarto e uso abituale di DMARD, o un minor rischio di eventi cardiaci in malati di artrite reumatoide trattati con anti-TNF alfa. Ora il QUEST-RA rafforza il concetto che l'uso prolungato dei farmaci DMARD nella patologia reumatica possa essere protettivo rispetto alla probabilità di eventi cardiovascolari. E conferma che il coinvolgimento extra-articolare della malattia si lega a un rischio d'infarto miocardico. Ci sono infatti processi intrinseci nella patogenesi dell'artrite reumatoide che possono essere lesivi a livello cardiovascolare, come l'anomala funzione endoteliale o la presenza di autoanticorpi contro le LDL ossidate. La prevalenza dell'ictus nei malati di artrite reumatoide invece è stata in genere riferita come simile a quella della popolazione generale e nel QUEST-RA è apparsa anche minore che in altri studi. Attraverso lo studio si è avuta conferma anche del ruolo dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari, con evidenze simili a quelle del noto e ampio progetto MONICA (con partecipanti però sotto i 65 anni) che ha mostrato una minore frequenza d'infarto nell'Europa mediterranea rispetto a quella Settentrionale, legata con ogni probabilità alle abitudini alimentari: in aggiunta ai fattori noti, nell'elenco potrebbe aggiungersi l'artrite reumatoide con coinvolgimento extra-articolare.
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Si tratta dello studio QUEST-RA, nel quale 4.363 malati di artrite reumatoide di 48 centri dei 15 paesi, al 90% caucasici, di età media 75 anni e in maggioranza di sesso femminile, hanno compilato questionari standard per il monitoraggio e sono stati valutati clinicamente per la malattia e in relazione alla terapia. I farmaci consistevano in metotrexate, leflunomide, sulfasalazina, glucocorticoidi, sali d'oro, antimalarici, anti-TNF alfa. Si sono considerate co-patologie, morbilità cardio e cerebrovascolare, fattori di rischio costituiti da ipertensione, iperlipidemia, diabete, fumo, sedentarietà e obesità. Riguardo alla malattia nel progetto QUEST-RA la durata media era di undici anni, il 74% dei pazienti era positivo per il fattore reumatoide e c'era un coinvolgimento extra-articolare nel 24% dei casi, con un range da meno del 15% per l'Italia e l'Olanda al 34% della Danimarca. La prevalenza di eventi cardiovascolari nell'intero campione è risultata il 3,2% per l'infarto miocardico, l'1,9% per l'ictus e il 9,3% per qualsiasi evento (infarto, angina, coronaropatia, ictus) con notevoli variazioni tra i vari paesi; la prevalenza degli eventi era maggiore tra gli uomini. I fattori di rischio, tranne obesità e sedentarietà, erano significativamente associati alla morbilità cardiovascolare; c'era un'associazione tra qualsiasi evento ed età e genere maschile, e tra malattia extra-articolare e infarto miocardico. Quanto al trattamento, l'utilizzo protratto dei DMARDS è risultato associato a una riduzione del rischio di morbilità cardiovascolare e, dopo gli aggiustamenti per severità della patologia e fattori predisponenti le cardiopatie, è rimasta la significatività per il metotrexate e la sulfasalazina con il minor rischio d'infarto miocardico.
Elementi intrinseci cardiolesivi
Altri studi avevano per esempio evidenziato una relazione inversa tra frequenza d'infarto e uso abituale di DMARD, o un minor rischio di eventi cardiaci in malati di artrite reumatoide trattati con anti-TNF alfa. Ora il QUEST-RA rafforza il concetto che l'uso prolungato dei farmaci DMARD nella patologia reumatica possa essere protettivo rispetto alla probabilità di eventi cardiovascolari. E conferma che il coinvolgimento extra-articolare della malattia si lega a un rischio d'infarto miocardico. Ci sono infatti processi intrinseci nella patogenesi dell'artrite reumatoide che possono essere lesivi a livello cardiovascolare, come l'anomala funzione endoteliale o la presenza di autoanticorpi contro le LDL ossidate. La prevalenza dell'ictus nei malati di artrite reumatoide invece è stata in genere riferita come simile a quella della popolazione generale e nel QUEST-RA è apparsa anche minore che in altri studi. Attraverso lo studio si è avuta conferma anche del ruolo dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari, con evidenze simili a quelle del noto e ampio progetto MONICA (con partecipanti però sotto i 65 anni) che ha mostrato una minore frequenza d'infarto nell'Europa mediterranea rispetto a quella Settentrionale, legata con ogni probabilità alle abitudini alimentari: in aggiunta ai fattori noti, nell'elenco potrebbe aggiungersi l'artrite reumatoide con coinvolgimento extra-articolare.
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