02 dicembre 2005
Aggiornamenti e focus
I raggi indeboliscono le ossa
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E' provato da tempo che la radioterapia è uno strumento indispensabile per la cura di malattie maligne. Un esempio tra i più diffusi riguarda il cancro della cervice, dell'ano o del retto. Il più delle volte vi si fa ricorso in combinazione con altre terapie sistemiche, ormonali o chirurgiche. Ma si tratta di uno strumento terapeutico sempre sicuro? Se lo sono chiesti un gruppo di ricercatori statunitensi, partiti dal presupposto che la terapia radiante, e i suoi effetti indesiderati, ha ricevuto poca attenzione nel corso degli anni. Eppure, come conferma la loro indagine, gli inconvenienti non mancano. Ne esistono di precoci: nausea, reazioni epidermiche e diarrea, ma tendono a essere temporanei e a esaurirsi una volta completata la terapia, e ne esistono anche di tardivi. Un esempio è dato dalla fibrosi del tessuto connettivo e da altre forme maligne. Sul perché si verifichino questi episodi le idee non sono così chiare e le ipotesi spaziano dal danno alla matrice cellulare a quello vascolare. Si tratta comunque di un fenomeno complesso. La ricerca statunitense, pubblicata da JAMA, si è soffermata però su un aspetto meno esplorato eppure, a giudicare dai risultati, importante: il rischio di frattura pelvica.
Il fatto preso in esame e mai sufficientemente approfondito dagli oncologi, sostiene l'editoriale di supporto allo studio, riguarda la possibilità che la radioterapia pelvica aumenti il rischio di frattura ossea. Lo studio ha, così, preso in esame 6428 donne di età superiore ai 65 anni trattate per malignità pelviche nel periodo compreso tra il 1986 e il 1999. Di queste, 556 con cancro anale, 1605 con cancro cervicale e 4267 con cancro rettale. Il 44,4% ha ricevuto terapia radiante a fascio esterno e il rimanente 55,6% no. Le conclusioni? L'incidenza cumulativa di fratture pelviche entro i primi cinque anni dello studio è aumentata significativamente nelle donne del gruppo irradiato: 14% vs 7,5% nelle pazienti con cancro anale, 8,2% vs 5,9% per il cancro della cervice e 11,2% vs 8,7% per quello rettale. Quanto basta per portare i ricercatori a concludere che si tratta di una significativa questione di salute pubblica. Nonostante, aggiungono, esistano possibili fattori confondenti, come altre concomitanti terapie sistemiche, si può concludere che la principale responsabilità sia da attribuire alle radiazioni. Ecco perché urgono contromisure. Per cominciare, i ricercatori dell'University of Minnesota suggeriscono di localizzare le radiazioni il più possibile nelle aree interessate dalla lesione attraverso la cosiddetta terapia radioattiva a intensità modulata. In più invitano ad applicare alle pazienti strategie preventive come l'esame della densitometria ossea, un regime medico mirato a prevenire l'osteoporosi o, infine, la prevenzione delle cadute. Le contromisure non mancano, concludono i ricercatori, e non si tratta di accantonare la radioterapia, che ha fatto fare tanti passi avanti, quanto di spingere la ricerca verso la riduzione degli effetti sull'osso.
Marco Malagutti
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Lo studio
Il fatto preso in esame e mai sufficientemente approfondito dagli oncologi, sostiene l'editoriale di supporto allo studio, riguarda la possibilità che la radioterapia pelvica aumenti il rischio di frattura ossea. Lo studio ha, così, preso in esame 6428 donne di età superiore ai 65 anni trattate per malignità pelviche nel periodo compreso tra il 1986 e il 1999. Di queste, 556 con cancro anale, 1605 con cancro cervicale e 4267 con cancro rettale. Il 44,4% ha ricevuto terapia radiante a fascio esterno e il rimanente 55,6% no. Le conclusioni? L'incidenza cumulativa di fratture pelviche entro i primi cinque anni dello studio è aumentata significativamente nelle donne del gruppo irradiato: 14% vs 7,5% nelle pazienti con cancro anale, 8,2% vs 5,9% per il cancro della cervice e 11,2% vs 8,7% per quello rettale. Quanto basta per portare i ricercatori a concludere che si tratta di una significativa questione di salute pubblica. Nonostante, aggiungono, esistano possibili fattori confondenti, come altre concomitanti terapie sistemiche, si può concludere che la principale responsabilità sia da attribuire alle radiazioni. Ecco perché urgono contromisure. Per cominciare, i ricercatori dell'University of Minnesota suggeriscono di localizzare le radiazioni il più possibile nelle aree interessate dalla lesione attraverso la cosiddetta terapia radioattiva a intensità modulata. In più invitano ad applicare alle pazienti strategie preventive come l'esame della densitometria ossea, un regime medico mirato a prevenire l'osteoporosi o, infine, la prevenzione delle cadute. Le contromisure non mancano, concludono i ricercatori, e non si tratta di accantonare la radioterapia, che ha fatto fare tanti passi avanti, quanto di spingere la ricerca verso la riduzione degli effetti sull'osso.
Marco Malagutti
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