02 settembre 2005
Aggiornamenti e focus
E l'antidepressivo cala
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L'uso degli antidepressivi nei bambini e nei giovanisssimi ha subito una battuta d'arresto. Quanto, meno negli Stati Uniti, dove ha fatto giustamente scalpore la pubblicazione degli studi che legavano l'aumento di gesti autolesionistici, ideazioni suicidarie e tentati suicidi alla somministrazione di queste sostanze. E dove, per inciso, il ricorso alla cura farmacologica della depressione in età pediatrica era, e in parte resta, molto diffuso. Secondo i dati disponibili, nel primo trimestre 2004 il numero di prescrizioni è sceso del 18% rispetto all'ultimo trimestre del 2003. A causare questo crollo, secondo gli esperti, è stato l'obbligo di segnalare nelle confezioni, con grande evidenza (il cosiddetto black box warning) il possibile aumento del rischio di suicidio nei giovanissimi. L'avvertenza aveva dapprima riguardato solo i farmaci più recenti, i cosiddetti SSRI e SNRI ma poi è stato esteso a tutti gli antidepressivi, visto che per nessun farmaco, secondo l'ente regolatore statunitense, si poteva escludere la possibilità di questo effetto. L'estensione dell'avvertenza ha causato un altro calo del 5%. Sono cifre significative, se si pensa che a partire dal 2000 si era avuto un aumento del 77%. Gli studi finora condotti, infatti avevano riguardato solo gli antidepressivi di ultima generazione e questi, per la verità, erano stati largamente impiegati nei bambini perché, ed è un dato di fatto, intrinsecamente più maneggevoli e tollerati degli altri nell'adulto.
Un recente commento del fenomeno sosteneva che non si poteva dire in assoluto se il calo delle prescrizioni fosse un bene o meno. In effetti tutto dipende da quali prescrizioni sono state interrotte: se erano quelle improprie, magari destinate a bambini che presentavano una sintomatologia vaga, è stato senz'altro positivo, altrimenti c'è il rischio che qualche piccolo paziente sia stato lasciato a se stesso. E' senz'altro un modo corretto di impostare la questione, anche se poi non è correttissimo ricordare che, in termini relativi, il suicidio è la terza causa di morte tra gli adolescenti statunitensi. Visto che più difficilmente bambini e ragazzi hanno malattie coronariche, oppure renali, oppure tumori (e per fortuna) è evidente che il suicidio, così come le morti violente per incidenti, infortuni o altro, salgono nella classifica. Insomma, forse si potrebbe argomentare che potrebbe non esserci un'emergenza depressione tra i giovani americani.
E' vero poi che si può creare un collegamento tra la depressione, o i disturbi psichiatrici, e altri comportamenti distruttivi come l'abuso di alcol o l'uso di stupefacenti. Anche qui, però, si potrebbe obiettare che non mancano studi che testimonino la causalità inversa, cioè il presentarsi di turbe psichiatriche di varia natura a seguito dell'uso di queste sostanze. Se poi si vanno a indagare i fattori di rischio per depressione e suicidio in età pediatrica si ritrovano fattori come il livello socioeconomico basso, situazioni famigliari contrastate eccetera, tutti elementi che in effetti richiederebbero più l'intervento dei servizi assistenziali in fase di prevenzione, piuttosto che agire, dopo, sui neurotrasmettitori. E' chiaro che non è cosa facile, e che certamente non tutto si può prevenire a questo modo e che poi, comunque, resterà una quota di piccoli depressi da curare. Ma il massiccio ricorso agli antidepressivi non sembra avere ottenuto, nel recente passato, risultati spettacolari se non quello, appunto, di mettere in luce una possibile controindicazione.
Maurizio Imperiali
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Gioventù depressa
Un recente commento del fenomeno sosteneva che non si poteva dire in assoluto se il calo delle prescrizioni fosse un bene o meno. In effetti tutto dipende da quali prescrizioni sono state interrotte: se erano quelle improprie, magari destinate a bambini che presentavano una sintomatologia vaga, è stato senz'altro positivo, altrimenti c'è il rischio che qualche piccolo paziente sia stato lasciato a se stesso. E' senz'altro un modo corretto di impostare la questione, anche se poi non è correttissimo ricordare che, in termini relativi, il suicidio è la terza causa di morte tra gli adolescenti statunitensi. Visto che più difficilmente bambini e ragazzi hanno malattie coronariche, oppure renali, oppure tumori (e per fortuna) è evidente che il suicidio, così come le morti violente per incidenti, infortuni o altro, salgono nella classifica. Insomma, forse si potrebbe argomentare che potrebbe non esserci un'emergenza depressione tra i giovani americani.
Alcol? Droga?
E' vero poi che si può creare un collegamento tra la depressione, o i disturbi psichiatrici, e altri comportamenti distruttivi come l'abuso di alcol o l'uso di stupefacenti. Anche qui, però, si potrebbe obiettare che non mancano studi che testimonino la causalità inversa, cioè il presentarsi di turbe psichiatriche di varia natura a seguito dell'uso di queste sostanze. Se poi si vanno a indagare i fattori di rischio per depressione e suicidio in età pediatrica si ritrovano fattori come il livello socioeconomico basso, situazioni famigliari contrastate eccetera, tutti elementi che in effetti richiederebbero più l'intervento dei servizi assistenziali in fase di prevenzione, piuttosto che agire, dopo, sui neurotrasmettitori. E' chiaro che non è cosa facile, e che certamente non tutto si può prevenire a questo modo e che poi, comunque, resterà una quota di piccoli depressi da curare. Ma il massiccio ricorso agli antidepressivi non sembra avere ottenuto, nel recente passato, risultati spettacolari se non quello, appunto, di mettere in luce una possibile controindicazione.
Maurizio Imperiali
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