08 novembre 2006
Aggiornamenti e focus
Più luce sulla Sids
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Tra le tante iniziative del neoministro per la Salute Turco una, passata forse più inosservata di altre, è l'istituzione di una commissione con il compito di definire le linee guida per la prevenzione della morte in culla. "Ancora oggi - ha detto di recente la Turco - la sindrome della morte improvvisa del lattante (Sids) costituisce nei paesi industrializzati la prima causa di morte fra il primo mese e il primo anno di vita, con un'incidenza stimabile fra lo 0,5% e l'1% dei neonati". I numeri, in effetti, non sono da sottovalutare. La morte in culla colpisce in Italia, con un'incidenza simile agli altri paesi, un bebè ogni 750-1000 neonati. E le cause sono ancora sconosciute. Due i principali fattori identificati il fumo di sigaretta o il dormire a pancia in giù. E le campagne di informazione ed educazione sanitaria condotta in Europa per ridurre questi fattori hanno ridotto significativamente l'incidenza della Sids. Ancora però mancano le nozioni su che cosa succeda nell'organismo perché si determini la morte improvvisa del lattante. Le ipotesi più recenti riconducono ad alterazioni congenite del sistema nervoso vegetativo o del sistema circolatorio cardiaco. L'ipotesi che ha preso piede, poi, più di recente è quella di un ruolo della serotonina, ossia che all'origine della Sids vi sia un livello troppo basso di questa sostanza nelle cellule cerebrali. L'idea è, cioè, che esista una lieve alterazione nell'area del cervello che regola il respiro, la frequenza cardiaca e il ritmo sonno-veglia. Una conferma a questa ipotesi arriva da uno studio appena pubblicato da Jama, che fornisce ulteriori evidenze.
Il presupposto di partenza è che, nei neonati, la risposta normale alla mancanza di ossigeno è la comparsa dell'affanno, che assicura il risveglio e il riequilibrio del meccanismo respiratorio. Questo riflesso che viene messo in moto quando il bambino è in ipossia per un qualsiasi motivo, è governato da una serie di neuroni pacemaker. Ma se queste cellule non possono contare su livelli abbastanza alti di serotonina, la reazione di affanno viene meno. Un'ipotesi verificata sperimentalmente sui topi e che ha trovato ora ulteriore conferma nello studio di Jama. Si tratta, dice un editoriale che accompagna l'articolo, dello studio più sofisticato e più significativo condotto sul sistema serotoninergico e da qui prenderanno spunto studi genetici per capire quale meccanismo genetico si nasconda dietro questa alterazione. La ricerca ha preso in esame il tessuto cerebrale di 31 neonati morti per la sindrome tra il 1997 e il 2005 e li ha messi a confronto con quelli di 10 bambini morti di altre cause. I ricercatori si sono soffermati su un'area del tronco cerebrale chiamata midollo allungato (medulla in gergo), che regola respiro, ritmo sonno-veglia e altre funzioni vitali. E' stato, così, possibile riscontrare come le cellule in quell'area specifica del cervello dei bambini morti di Sids, fossero meno sensibili alla serotonina che quelle degli altri cervelli. Troverebbe così conferma l'ipotesi che i bambini con l'alterazione non si risvegliano con l'affanno se hanno poco ossigeno per carenza di serotonina. Un difetto particolarmente spiccato nei cervelli maschili, fatto che spiegherebbe la maggiore mortalità dei bambini. Un passo avanti importante perché ora, a differenza degli altri studi, è stata identificata la regione del cervello dove tutto succede. L'ipotesi, spiegano i ricercatori, è che l'anormalità inizi durante la gestazione, nell'utero quando il tronco cerebrale si sta sviluppando. Lo studio richiede ulteriori approfondimenti e gli stessi autori ne identificano i limiti ma, intanto, fornisce preziose risposte biologiche a quei genitori che si colpevolizzano per la morte del neonato e in più apre alla speranza di interventi potenziali, come lo sviluppo di un test diagnostico per monitorare il rischio.
Marco Malagutti
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Lo studio di Jama
Il presupposto di partenza è che, nei neonati, la risposta normale alla mancanza di ossigeno è la comparsa dell'affanno, che assicura il risveglio e il riequilibrio del meccanismo respiratorio. Questo riflesso che viene messo in moto quando il bambino è in ipossia per un qualsiasi motivo, è governato da una serie di neuroni pacemaker. Ma se queste cellule non possono contare su livelli abbastanza alti di serotonina, la reazione di affanno viene meno. Un'ipotesi verificata sperimentalmente sui topi e che ha trovato ora ulteriore conferma nello studio di Jama. Si tratta, dice un editoriale che accompagna l'articolo, dello studio più sofisticato e più significativo condotto sul sistema serotoninergico e da qui prenderanno spunto studi genetici per capire quale meccanismo genetico si nasconda dietro questa alterazione. La ricerca ha preso in esame il tessuto cerebrale di 31 neonati morti per la sindrome tra il 1997 e il 2005 e li ha messi a confronto con quelli di 10 bambini morti di altre cause. I ricercatori si sono soffermati su un'area del tronco cerebrale chiamata midollo allungato (medulla in gergo), che regola respiro, ritmo sonno-veglia e altre funzioni vitali. E' stato, così, possibile riscontrare come le cellule in quell'area specifica del cervello dei bambini morti di Sids, fossero meno sensibili alla serotonina che quelle degli altri cervelli. Troverebbe così conferma l'ipotesi che i bambini con l'alterazione non si risvegliano con l'affanno se hanno poco ossigeno per carenza di serotonina. Un difetto particolarmente spiccato nei cervelli maschili, fatto che spiegherebbe la maggiore mortalità dei bambini. Un passo avanti importante perché ora, a differenza degli altri studi, è stata identificata la regione del cervello dove tutto succede. L'ipotesi, spiegano i ricercatori, è che l'anormalità inizi durante la gestazione, nell'utero quando il tronco cerebrale si sta sviluppando. Lo studio richiede ulteriori approfondimenti e gli stessi autori ne identificano i limiti ma, intanto, fornisce preziose risposte biologiche a quei genitori che si colpevolizzano per la morte del neonato e in più apre alla speranza di interventi potenziali, come lo sviluppo di un test diagnostico per monitorare il rischio.
Marco Malagutti
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