18 aprile 2008
Aggiornamenti e focus
Cervelli da stimolare
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Molto tempo è passato da quando negli anni Trenta i neurologi italiani Cerletti e Bini realizzarono e introdussero in clinica il capostipite delle tecniche di stimolazione cerebrale, quella terapia elettroconvulsiva (TEC) più nota come elettroshock diventata poi tristemente pratica d'abuso per sedare malati psichiatrici e "devianti" vari. In realtà oggi questo campo terapeutico sta vivendo una produttiva espansione, con varie nuove tecniche e indicazioni allo studio; la stessa TEC, pur controversa, si è evoluta. Con metodiche e modalità diverse le applicazioni possono infatti variare tra forme quali Parkinson, epilessia, gravi cefalee, schizofrenia, dolore, disturbo bipolare, depressione grave. Tecniche che vanno da meno a più invasive, come spiega una review che riassume lo stato dell'arte rispetto alle principali, secondo gli studi pubblicati.
La maggior parte dei lavori considerati riguarda il trattamento della depressione, basandosi su dati emersi da una serie di studi (Progetto STARD) e specificamente per i casi severi con scarsa risposta alle usuali opzioni farmacologiche. Di grande attualità una tecnica non invasiva, la stimolazione magnetica transcranica (TMS), in pratica una sonda collegata a un generatore che posta sul cranio produce un campo magnetico e quindi determina cambiamenti elettrici nella corteccia cerebrale, sembra insieme a una modulazione dei neurotrasmettitori. Il sistema, usato anche per gli studi neurofisiologici, risulta sicuro e senza effetti indesiderati cognitivi. Numerosi i trial condotti sulla TMS nella depressione farmaco resistente: in tre di essi risultano quote di remissione del 30-45% dopo una o più applicazioni giornaliere per alcuni giorni (cadenza e intensità ottimale delle frequenze sono in valutazione); un recente trial multicentrico sulla TMS prefrontale sinistra (può essere anche destra) in 300 malati di depressione maggiore ha mostrato la sua significativa efficacia e i risultati sono al vaglio della FDA per l'eventuale approvazione per quest'indicazione negli Stati Uniti. La tecnica è stata impiegata per la terapia acuta e resta da definire se sia valida per il mantenimento; alcuni studi indicano l'efficacia dell'uso intermittente per prevenire le ricadute. Un altro possibile utilizzo della TMS a bassa frequenza è nella schizofrenia, dove, applicata sulla regione temporale sinistra, ridurrebbe per alcuni le allucinazioni uditive; promettente poi l'uso nel dolore acuto o cronico, con applicazioni sulla corteccia prefrontale, e un trial riporta l'efficacia post-chirurgica nel ridurre l'uso di morfina.
Altro sistema è la stimolazione transcranica diretta in corrente costante (TDCS), con elettricità trasmessa alla corteccia per 20-30 minuti attraverso un anodo e un catodo posti sul cranio: ci sono studi sul suo possibile uso contro la depressione o il dolore centrale; è stata proposta anche per la perdita del linguaggio (afasia) in seguito a ictus. Una variante possibile è la terapia elettrica focale (FEAT) con corrente alternata, non ancora sperimentata in studi clinici, che dovrebbe costituire un tipo più focalizzato di terapia elettroconvulsiva. Quanto a quest'ultima, TEC o elettroshock, viene da alcuni riproposta da qualche anno, con modalità molto diverse dal passato e cioè con impulsi meni intensi e più brevi, sotto anestesia e con uso di miorilassanti, per forme gravi quali depressioni maggiori con tentativi di suicidio o associate a psicosi farmaco-resistenti. Sembra però, come visto in un recente studio, che non si riesca a evitare le ricadute, al di là delle altre valutazioni sull'aura di negatività di quest'approccio.
Tecniche invasive con impianti
Le due principali tecniche invasive sono la stimolazione del nervo vago (VNS) e la stimolazione cerebrale profonda (DBS). La prima è eseguita con una specie di pace-maker impiantato nella parte alta del torace da cui partono gli stimoli per il nervo che attraverso il collo raggiunge il cervello; è utilizzabile nella depressione maggiore resistente, in alcuni tipi di epilessia e forse per alcuni casi di modulazione del dolore. Negli studi sulla depressione sembra meno efficace nelle risposte acute e invece incoraggiante sul long-term di circa un anno, la FDA l'ha infatti approvata per le forme croniche ricorrenti; risultati preliminari di uno studio europeo indicano il 55% di risposte e il 27% di remissione a un anno. La stimolazione cerebrale profonda, infine, è un sistema più invasivo, ma non lesionale come altri precedenti interventi, che richiede l'inserimento mono o bilaterale a livello cerebrale di elettrodi collegati a uno stimolatore impiantato nel torace. E' una tecnica usata usualmente nel Parkinson in stadio avanzato o altri disordini del movimento, con risultati promettenti benché i dati siano ancora molto limitati, ma in sperimentazione anche per la depressione.
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Sonda magnetica transcranica
La maggior parte dei lavori considerati riguarda il trattamento della depressione, basandosi su dati emersi da una serie di studi (Progetto STARD) e specificamente per i casi severi con scarsa risposta alle usuali opzioni farmacologiche. Di grande attualità una tecnica non invasiva, la stimolazione magnetica transcranica (TMS), in pratica una sonda collegata a un generatore che posta sul cranio produce un campo magnetico e quindi determina cambiamenti elettrici nella corteccia cerebrale, sembra insieme a una modulazione dei neurotrasmettitori. Il sistema, usato anche per gli studi neurofisiologici, risulta sicuro e senza effetti indesiderati cognitivi. Numerosi i trial condotti sulla TMS nella depressione farmaco resistente: in tre di essi risultano quote di remissione del 30-45% dopo una o più applicazioni giornaliere per alcuni giorni (cadenza e intensità ottimale delle frequenze sono in valutazione); un recente trial multicentrico sulla TMS prefrontale sinistra (può essere anche destra) in 300 malati di depressione maggiore ha mostrato la sua significativa efficacia e i risultati sono al vaglio della FDA per l'eventuale approvazione per quest'indicazione negli Stati Uniti. La tecnica è stata impiegata per la terapia acuta e resta da definire se sia valida per il mantenimento; alcuni studi indicano l'efficacia dell'uso intermittente per prevenire le ricadute. Un altro possibile utilizzo della TMS a bassa frequenza è nella schizofrenia, dove, applicata sulla regione temporale sinistra, ridurrebbe per alcuni le allucinazioni uditive; promettente poi l'uso nel dolore acuto o cronico, con applicazioni sulla corteccia prefrontale, e un trial riporta l'efficacia post-chirurgica nel ridurre l'uso di morfina.
Le terapie elettriche dirette
Altro sistema è la stimolazione transcranica diretta in corrente costante (TDCS), con elettricità trasmessa alla corteccia per 20-30 minuti attraverso un anodo e un catodo posti sul cranio: ci sono studi sul suo possibile uso contro la depressione o il dolore centrale; è stata proposta anche per la perdita del linguaggio (afasia) in seguito a ictus. Una variante possibile è la terapia elettrica focale (FEAT) con corrente alternata, non ancora sperimentata in studi clinici, che dovrebbe costituire un tipo più focalizzato di terapia elettroconvulsiva. Quanto a quest'ultima, TEC o elettroshock, viene da alcuni riproposta da qualche anno, con modalità molto diverse dal passato e cioè con impulsi meni intensi e più brevi, sotto anestesia e con uso di miorilassanti, per forme gravi quali depressioni maggiori con tentativi di suicidio o associate a psicosi farmaco-resistenti. Sembra però, come visto in un recente studio, che non si riesca a evitare le ricadute, al di là delle altre valutazioni sull'aura di negatività di quest'approccio.
Tecniche invasive con impianti
Le due principali tecniche invasive sono la stimolazione del nervo vago (VNS) e la stimolazione cerebrale profonda (DBS). La prima è eseguita con una specie di pace-maker impiantato nella parte alta del torace da cui partono gli stimoli per il nervo che attraverso il collo raggiunge il cervello; è utilizzabile nella depressione maggiore resistente, in alcuni tipi di epilessia e forse per alcuni casi di modulazione del dolore. Negli studi sulla depressione sembra meno efficace nelle risposte acute e invece incoraggiante sul long-term di circa un anno, la FDA l'ha infatti approvata per le forme croniche ricorrenti; risultati preliminari di uno studio europeo indicano il 55% di risposte e il 27% di remissione a un anno. La stimolazione cerebrale profonda, infine, è un sistema più invasivo, ma non lesionale come altri precedenti interventi, che richiede l'inserimento mono o bilaterale a livello cerebrale di elettrodi collegati a uno stimolatore impiantato nel torace. E' una tecnica usata usualmente nel Parkinson in stadio avanzato o altri disordini del movimento, con risultati promettenti benché i dati siano ancora molto limitati, ma in sperimentazione anche per la depressione.
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