21 aprile 2006
Aggiornamenti e focus, Speciale Mal di testa
Mal di testa da cellulare?
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Il capitolo dei rapporti tra onde elettromagnetiche e salute trova sempre nuove declinazioni e sempre meno certezze. Un esempio è dato dall’uso dei telefoni cellulari, di volta in volta accusati di provocare disturbi di varia natura, quando non tumori o, più semplicemente, di “lessare il cerebro” come un forno a microonde. Tralasciando gli effetti (presunti) più gravi, c’è una certa parte della popolazione che lamenta una serie di disturbi aspecifici, come mal di testa, bruciore, confusione, spossatezza e acufeni (il fischio nell’orecchio). Si è anche ipotizzato che, al di là del caso dei telefoni cellulari, possa esistere una vera e propria sensibilità alle onde elettromagnetiche in genere, generate dai dispositivi più diversi, compresi quindi anche elettrodomestici, monitor, linee elettriche e altro ancora. Secondo alcune indagini, a lamentare questa sensibilità è una fascia della popolazione variabile dall’1,5 al 3%. Una condizione che, però, a oggi non trova spiegazioni medico-biologiche.
Uno studio britannico ha voluto indagare questo aspetto reclutando un certo numero di persone che riferivano questa sensibilità alle onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari e sottoponendole a quello che tecnicamente viene chiamato un test di provocazione. Le persone, in totale 60, dicevano di accusare invariabilmente cefalea e sintomi simili dopo aver usato l’apparecchi, e sono state confrontate con altre 60 che invece non accusavano questi disturbi. I due gruppi sono stati sottoposti a tre esperienze diverse: l’esposizione alle onde elettromagnetiche generate effettivamente da un cellulare in conversazione, l’esposizione alla sola onda portante dei GSM (i famosi 900 megaHertz), e infine una finta esposizione, cioè l’esposizione a un apparecchio che in realtà non emetteva onde di nessun tipo. Dopo l’esposizione i disturbi eventualmente accusati venivano misurati con le stesse scale analogiche impiegate per valutare l’intensità della cefalea. Ovviamente gli esaminati non sapevano quale fosse la vera esposizione alle onde elettromagnetiche e nemmeno i medici esaminatori: si è trattato, quindi, di uno studio in doppio cieco. Teoricamente, le persone sensibili alle onde elettromagnetiche avrebbero dovuto presentare i sintomi soltanto quando le onde in questione c’erano, magari con qualche differenza tra il campo pulsante generato dalla conversazione e quello sinusoidale generato dalla portante semplice. Invece, non è andata così. Le reazioni gravi all’esposizione, quelle che hanno portato alla richiesta di sospendere il test da parte della persona esaminata, si sono avute soltanto nel gruppo dei sensibili, ma indipendentemente dal fatto che si trattasse del test con le radiazioni vere o della finta esposizione, e lo stesso vale per i disturbi in genere, più o meno intensi.
Anche chiedendo alla “cavia” se si accorgeva della presenza di una radiazione, le riposte non differivano tra una situazione e l’altra: più del 60% rispondeva sempre di sì, e questo valeva anche nel gruppo di controllo, come dire che è impossibile accorgersi coi sensi (compreso il sesto, se c’è) della presenza di onde elettromagnetiche dell’intensità di quelle emesse da un telefono cellulare.
Insomma, l’unica variabile che determinava la presenza dei disturbi era il fatto che il paziente si credesse o meno “sensibile all’elettromagnetismo”. E’ quello che è chiamato effetto nocebo, cioè il contrario del placebo: se uno è convinto che qualcosa gli fa male, gliene farà. Questione psicologica, quindi e non organica (e nemmeno fisica nel senso della fisica della materia). Questo non vuol dire che la faccenda posa essere liquidata con un’alzata di spalle: il mal di testa e le vertigini sono reali, e per come si vive oggi evitare il contatto con telefonini, computer, forni a microonde e compagnia elettronica è assai difficile. E forse non sarebbe nemmeno una soluzione, scrivono gli autori dello studio, in quanto questi comportamenti di evitamento rinforzano la convinzione. La soluzione, prospettano nelle conclusioni dello studio, potrebbe essere indagare le cause del malessere in alternativa ai campi elettromagnetici, magari ricorrendo alla psicoterapia.
Maurizio Imperiali
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Prove alla cieca
Uno studio britannico ha voluto indagare questo aspetto reclutando un certo numero di persone che riferivano questa sensibilità alle onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari e sottoponendole a quello che tecnicamente viene chiamato un test di provocazione. Le persone, in totale 60, dicevano di accusare invariabilmente cefalea e sintomi simili dopo aver usato l’apparecchi, e sono state confrontate con altre 60 che invece non accusavano questi disturbi. I due gruppi sono stati sottoposti a tre esperienze diverse: l’esposizione alle onde elettromagnetiche generate effettivamente da un cellulare in conversazione, l’esposizione alla sola onda portante dei GSM (i famosi 900 megaHertz), e infine una finta esposizione, cioè l’esposizione a un apparecchio che in realtà non emetteva onde di nessun tipo. Dopo l’esposizione i disturbi eventualmente accusati venivano misurati con le stesse scale analogiche impiegate per valutare l’intensità della cefalea. Ovviamente gli esaminati non sapevano quale fosse la vera esposizione alle onde elettromagnetiche e nemmeno i medici esaminatori: si è trattato, quindi, di uno studio in doppio cieco. Teoricamente, le persone sensibili alle onde elettromagnetiche avrebbero dovuto presentare i sintomi soltanto quando le onde in questione c’erano, magari con qualche differenza tra il campo pulsante generato dalla conversazione e quello sinusoidale generato dalla portante semplice. Invece, non è andata così. Le reazioni gravi all’esposizione, quelle che hanno portato alla richiesta di sospendere il test da parte della persona esaminata, si sono avute soltanto nel gruppo dei sensibili, ma indipendentemente dal fatto che si trattasse del test con le radiazioni vere o della finta esposizione, e lo stesso vale per i disturbi in genere, più o meno intensi.
Causa fittizia, vero mal di testa
Anche chiedendo alla “cavia” se si accorgeva della presenza di una radiazione, le riposte non differivano tra una situazione e l’altra: più del 60% rispondeva sempre di sì, e questo valeva anche nel gruppo di controllo, come dire che è impossibile accorgersi coi sensi (compreso il sesto, se c’è) della presenza di onde elettromagnetiche dell’intensità di quelle emesse da un telefono cellulare.
Insomma, l’unica variabile che determinava la presenza dei disturbi era il fatto che il paziente si credesse o meno “sensibile all’elettromagnetismo”. E’ quello che è chiamato effetto nocebo, cioè il contrario del placebo: se uno è convinto che qualcosa gli fa male, gliene farà. Questione psicologica, quindi e non organica (e nemmeno fisica nel senso della fisica della materia). Questo non vuol dire che la faccenda posa essere liquidata con un’alzata di spalle: il mal di testa e le vertigini sono reali, e per come si vive oggi evitare il contatto con telefonini, computer, forni a microonde e compagnia elettronica è assai difficile. E forse non sarebbe nemmeno una soluzione, scrivono gli autori dello studio, in quanto questi comportamenti di evitamento rinforzano la convinzione. La soluzione, prospettano nelle conclusioni dello studio, potrebbe essere indagare le cause del malessere in alternativa ai campi elettromagnetici, magari ricorrendo alla psicoterapia.
Maurizio Imperiali
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