02 agosto 2020
Aggiornamenti e focus
Fegato sotto attacco virale
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A porre l'accento sull'epatite, una malattia del fegato che fa poca notizia e poca paura, è servito istituire la Giornata mondiale delle epatiti che si celebra ogni anno il 19 maggio. Un'occasione per sensibilizzare i cittadini e il mondo politico a una patologia virale, che colpisce in modo silente e subdolo e che si manifesta a distanza di tempo, quando il danno d'organo è già avanzato e difficilmente reversibile.
Gli esperti in materia, che si sono incontrati per il convegno "Epatiti Summit 2010" (18 maggio), convengono sul fatto che queste patologie, nella forma B e nella forma C, rispettivamente provocate dai virus dell'epatite B (Hbv) e dell'epatite C (Hcv), rappresentino un problema di salute pubblica e come tale devono essere inserite nei progetti previsti dal Piano nazionale della prevenzione del Centro di controllo delle malattie del ministero della Salute. E parlano di un'emergenza sommersa, vale a dire di una malattia apparentemente scomparsa ma che, invece, tuttora esiste. Grazie alle campagne condotte negli anni '90 e l'introduzione della vaccinazione obbligatoria nel 1991 contro l'Hbv per i neonati e gli adolescenti di 12 anni, è stato possibile controllare e contenere l'infezione. «C'è stato un calo delle nuove infezioni da Hbv» spiega Ivan Gardini, presidente dell'Associazione dei pazienti epatopatici EpaC, «ma c'è una ri-emersione, dovuta all'immigrazione da paesi ad alta endemia (Est Europa, Russia, Cina, bacino Sud Mediterraneo) e a un gruppo di persone non vaccinate, infettate quando il virus si diffondeva in modo incontrollato». Secondo le stime dell'Istituto superiore di sanità sono circa 600mila i portatori di Hbv e un milione e 600mila i portatori di Hcv, virus per il quale, per altro, non esiste un vaccino, e solo il miglioramento degli standard igienici ha permesso negli anni di ridurre i nuovi casi di infezione. Anche l'epatite C, quindi, resta un problema, soprattutto dal punto di vista clinico, in quanto il 60-70% di cirrosi epatiche, tumori del fegato e richieste di trapianto sono attribuibili all'Hcv e le terapie disponibili non sono efficaci nelle fasi avanzate dell'infezione.
Uno degli aspetti più problematici dell'epatite è non sapere di aver contratto l'infezione: le epatiti virali in fase iniziale sono curabili con farmaci fino all'eradicazione del virus, ma se non diagnosticate diventano croniche e possono restare silenti anche per più di 20 anni per poi manifestarsi con complicazioni molto gravi che si traducono in 10mila decessi ogni anno. «In Italia purtroppo non viene fatta una prevenzione mirata, con uno screening quanto meno nelle categorie a rischio» sottolinea Gardini «e con un primo test di accesso per tutti basato sull'analisi dei livelli delle transaminasi, indice di un'infezione in corso». Secondo gli esperti, infatti, la strategia per l'identificazione dei portatori consiste nel sottoporre a test sierologico per l'epatite B e C i familiari e i partner sessuali di persone infette, i tossicodipendenti, i detenuti nelle carceri, gli immigrati da aree ad alta prevalenza di HBV e HCV, le persone sessualmente promiscue, quelle con infezione da HIV, i figli di madri portatrici, gli operatori sanitari, gli emodializzati, coloro che si sono sottoposti a tatuaggi o piercing in ambienti a basso standard di sterilizzazione. Infine non va dimenticato che le epatiti B e C hanno un impatto serio sulla quotidianità della persona che scopre di aver contratto il virus: «Il solo fatto di sapere di avere una malattia trasmissibile ha un impatto emotivo» afferma Gardini «c'è il timore di infettare i figli e i propri cari, e a volte non si segue la terapia per paura di doverlo comunicare sul lavoro, dal momento che la terapia ha effetti collaterali visibili (influenza, stanchezza, febbre debilitazione fisica) e dura 6-12 mesi. La qualità della vita ne risente, se poi si aggiunge il danno al fegato, dalla cirrosi epatica fino allo scompenso e al tumore, i problemi che sopraggiungono sono davvero insostenibili».
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Gli esperti in materia, che si sono incontrati per il convegno "Epatiti Summit 2010" (18 maggio), convengono sul fatto che queste patologie, nella forma B e nella forma C, rispettivamente provocate dai virus dell'epatite B (Hbv) e dell'epatite C (Hcv), rappresentino un problema di salute pubblica e come tale devono essere inserite nei progetti previsti dal Piano nazionale della prevenzione del Centro di controllo delle malattie del ministero della Salute. E parlano di un'emergenza sommersa, vale a dire di una malattia apparentemente scomparsa ma che, invece, tuttora esiste. Grazie alle campagne condotte negli anni '90 e l'introduzione della vaccinazione obbligatoria nel 1991 contro l'Hbv per i neonati e gli adolescenti di 12 anni, è stato possibile controllare e contenere l'infezione. «C'è stato un calo delle nuove infezioni da Hbv» spiega Ivan Gardini, presidente dell'Associazione dei pazienti epatopatici EpaC, «ma c'è una ri-emersione, dovuta all'immigrazione da paesi ad alta endemia (Est Europa, Russia, Cina, bacino Sud Mediterraneo) e a un gruppo di persone non vaccinate, infettate quando il virus si diffondeva in modo incontrollato». Secondo le stime dell'Istituto superiore di sanità sono circa 600mila i portatori di Hbv e un milione e 600mila i portatori di Hcv, virus per il quale, per altro, non esiste un vaccino, e solo il miglioramento degli standard igienici ha permesso negli anni di ridurre i nuovi casi di infezione. Anche l'epatite C, quindi, resta un problema, soprattutto dal punto di vista clinico, in quanto il 60-70% di cirrosi epatiche, tumori del fegato e richieste di trapianto sono attribuibili all'Hcv e le terapie disponibili non sono efficaci nelle fasi avanzate dell'infezione.
Uno degli aspetti più problematici dell'epatite è non sapere di aver contratto l'infezione: le epatiti virali in fase iniziale sono curabili con farmaci fino all'eradicazione del virus, ma se non diagnosticate diventano croniche e possono restare silenti anche per più di 20 anni per poi manifestarsi con complicazioni molto gravi che si traducono in 10mila decessi ogni anno. «In Italia purtroppo non viene fatta una prevenzione mirata, con uno screening quanto meno nelle categorie a rischio» sottolinea Gardini «e con un primo test di accesso per tutti basato sull'analisi dei livelli delle transaminasi, indice di un'infezione in corso». Secondo gli esperti, infatti, la strategia per l'identificazione dei portatori consiste nel sottoporre a test sierologico per l'epatite B e C i familiari e i partner sessuali di persone infette, i tossicodipendenti, i detenuti nelle carceri, gli immigrati da aree ad alta prevalenza di HBV e HCV, le persone sessualmente promiscue, quelle con infezione da HIV, i figli di madri portatrici, gli operatori sanitari, gli emodializzati, coloro che si sono sottoposti a tatuaggi o piercing in ambienti a basso standard di sterilizzazione. Infine non va dimenticato che le epatiti B e C hanno un impatto serio sulla quotidianità della persona che scopre di aver contratto il virus: «Il solo fatto di sapere di avere una malattia trasmissibile ha un impatto emotivo» afferma Gardini «c'è il timore di infettare i figli e i propri cari, e a volte non si segue la terapia per paura di doverlo comunicare sul lavoro, dal momento che la terapia ha effetti collaterali visibili (influenza, stanchezza, febbre debilitazione fisica) e dura 6-12 mesi. La qualità della vita ne risente, se poi si aggiunge il danno al fegato, dalla cirrosi epatica fino allo scompenso e al tumore, i problemi che sopraggiungono sono davvero insostenibili».
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