20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Mesotelioma da trattare
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C'è, purtroppo, un tumore fatale la cui incidenza è destinata ad aumentare. E' il mesotelioma pleurico, cioè la principale conseguenza dell'esposizione all'amianto e si attende il picco dei casi dovuti a decenni di presenza dell'amianto nell'ambiente, visto che lo sviluppo della malattia è molto lento. Si è detto fatale, ma è più corretto dire incurabile, in quanto a oggi non è stato trovato un trattamento che offra un esito paragonabile a quello di altre forme tumorali. Questo però non significa che non si possa fare nulla. Uno studio pubblicato da Lancet, nel suo esito apparentemente negativo, è stata invece l'occasione per una serie di considerazioni interessanti. Lo studio paragonava il trattamento standard, in ambito anglosassone chiamato ACS (Active symptoms control, controllo attivo dei sintomi), da solo e con l'aggiunta di un uno schema di chemioterapia triplice o con un solo farmaco, la vinorelbina. L'ASC, per inciso, comprende di solito sia il sostegno psicologico e materiale, sia trattamenti palliativi come la somministrazione di steroidi, analgesici, broncodilatatori e anche la radioterapia.
Il perché dello studio risiede proprio nel ruolo della chemio, che è sempre stato controverso. Infatti non tutti ritengono che la chemioterapia valga la pena, cioè che sia il caso di affrontare l'inevitabile tossicità a fronte di un aumento della sopravvivenza spesso esiguo e con vantaggi in termini di riduzione dei sintomi finora ambigui. Lo studio in questione non ha dimostrato un significativo vantaggio per l'aggiunta della chemioterapia, né come sopravvivenza né come qualità della vita, salvo una riduzione del dolore nel gruppo della chemio a tre farmaci. Tuttavia vi sono indizi, a detta dei ricercatori, che la vinorelbina, soprattutto ora che è disponibile in formulazione orale, merita un approfondimento. Ma, soprattutto, vi è la conferma - si trattava infatti di uno dei trial più grandi dedicati a questa malattia - che la chemio è fattibile. Poi viene il commento dello studio. In effetti, alcuni punti fermi ci sono già. Per esempio, si può concludere che già oggi associare i trattamenti per il controllo dei sintomi a una chemioterapia con un solo farmaco è molto meno vantaggioso della chemioterapia con due farmaci. Infatti nel primo caso la sopravvivenza, per un 50% dei casi, è di almeno 8-10 mesi, mentre i grandi studi con chemio a due farmaci (cisplatino e pemetrexed, cisplatino e gemcitabina o raltitrexed) offrono molto di più: da 11,4 mesi a 15 e con un certo miglioramento anche della qualità della vita. In particolare è il cisplatino associato alla gemcitabina ad aver raggiunto il risultato migliore. Ovviamente è difficile paragonare tra loro i diversi regimi, visto che comparazioni dirette non ce ne sono state, ma è sicuro che è meglio avere due chemioterapici assieme. Tenendo altresì presente che finora l'unico farmaco approvato con l'esplicita indicazione del mesotelioma pleurico è il pemetrexed.
L'autore del commento, inoltre, ritiene che anche se è etico fare studi di confronto tra la sola ASC e nuovi farmaci, sarebbe meglio che i paragoni avvenissero tra una chemioterapia a due farmaci e lo stesso schema più il nuovo farmaco. Poi, è chiaro, sempre di un anno di sopravvivenza si tratta e non è detto che il paziente se la senta di affrontare una terapia che per molti comporta effetti collaterali non trascurabili. In effetti altri studi hanno dimostrato che non mancano i pazienti che la rifiutano. E' chiaro che non spetta all'oncologo dire se il paziente "deve" curarsi, ma d'altra parte è naturale che consideri un successo anche qualche mese in più di sopravvivenza. La cosa più importante, comunque, è che dagli anni novanta non si impieghi più l'amianto.
Maurizio Imperiali
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Il ruolo della chemio
Il perché dello studio risiede proprio nel ruolo della chemio, che è sempre stato controverso. Infatti non tutti ritengono che la chemioterapia valga la pena, cioè che sia il caso di affrontare l'inevitabile tossicità a fronte di un aumento della sopravvivenza spesso esiguo e con vantaggi in termini di riduzione dei sintomi finora ambigui. Lo studio in questione non ha dimostrato un significativo vantaggio per l'aggiunta della chemioterapia, né come sopravvivenza né come qualità della vita, salvo una riduzione del dolore nel gruppo della chemio a tre farmaci. Tuttavia vi sono indizi, a detta dei ricercatori, che la vinorelbina, soprattutto ora che è disponibile in formulazione orale, merita un approfondimento. Ma, soprattutto, vi è la conferma - si trattava infatti di uno dei trial più grandi dedicati a questa malattia - che la chemio è fattibile. Poi viene il commento dello studio. In effetti, alcuni punti fermi ci sono già. Per esempio, si può concludere che già oggi associare i trattamenti per il controllo dei sintomi a una chemioterapia con un solo farmaco è molto meno vantaggioso della chemioterapia con due farmaci. Infatti nel primo caso la sopravvivenza, per un 50% dei casi, è di almeno 8-10 mesi, mentre i grandi studi con chemio a due farmaci (cisplatino e pemetrexed, cisplatino e gemcitabina o raltitrexed) offrono molto di più: da 11,4 mesi a 15 e con un certo miglioramento anche della qualità della vita. In particolare è il cisplatino associato alla gemcitabina ad aver raggiunto il risultato migliore. Ovviamente è difficile paragonare tra loro i diversi regimi, visto che comparazioni dirette non ce ne sono state, ma è sicuro che è meglio avere due chemioterapici assieme. Tenendo altresì presente che finora l'unico farmaco approvato con l'esplicita indicazione del mesotelioma pleurico è il pemetrexed.
I futuri studi
L'autore del commento, inoltre, ritiene che anche se è etico fare studi di confronto tra la sola ASC e nuovi farmaci, sarebbe meglio che i paragoni avvenissero tra una chemioterapia a due farmaci e lo stesso schema più il nuovo farmaco. Poi, è chiaro, sempre di un anno di sopravvivenza si tratta e non è detto che il paziente se la senta di affrontare una terapia che per molti comporta effetti collaterali non trascurabili. In effetti altri studi hanno dimostrato che non mancano i pazienti che la rifiutano. E' chiaro che non spetta all'oncologo dire se il paziente "deve" curarsi, ma d'altra parte è naturale che consideri un successo anche qualche mese in più di sopravvivenza. La cosa più importante, comunque, è che dagli anni novanta non si impieghi più l'amianto.
Maurizio Imperiali
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