25 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus
Se la scienza dice no
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Certamente è utile poter disporre di uno specchio, se poi lo specchio rimanda un'immagine spostata un po' in là nel tempo, è addirittura una fortuna. Lo specchio, per il sistema sanitario, l'Italia ce l'ha: è la Gran Bretagna (e a questo punto, specchio anche del Governo).
Tra le istituzioni sanitarie che la Gran Bretagna ha e l'Italia no, c'è il National Institute for Clinical Eccellence o NICE. Si tratta di un ente che valuta le terapie, farmacologiche e no, i protocolli diagnostici e terapeutici, insomma tutto l'armamentario che serve a curare e decidere, sulla base delle evidenze cliniche, se è il caso di fornirli a tutti, senza oneri, attraverso il sistema sanitario nazionale. E' chiaro che nella valutazione entra anche il dato economico, e questo non deve destare scandalo.
Tra le decisioni più recenti del NICE c'è il rifiuto di erogare a tutti, attraverso il servizio sanitario, i farmaci finora registrati per il trattamento della demenza di Alzheimer. I farmaci in questione sono quattro:donepezil, galantamina, rivastigmina, memantina e l'11 ottobre è stato deciso che in Gran Bretagna verranno forniti soltanto ai pazienti che presentano forme moderate e lievi della malattia. Le reazioni, cui non è estranea l'opera di lobbyng delle aziende produttrici, sono state molto dure e, infine, il NICE è stato accusato di avere fatto semplicemente il conto della spesa. Però non è così: non si può trascurare che i risultati migliori, se non i soli netti, sono stati ottenuti proprio nelle forme iniziali della malattia. Un editoriale della rivista Lancet, difendendo il rigore scientifico dell'azione del NICE, in questo come in altri casi, ha però dato una spiegazione più profonda della situazione che si è creata. In pratica, si legge, si è di fronte a un atteggiamento schizofrenico: il Governo parla continuamente di "libertà di scelta" del cittadino in fatto di cure, dimostrandosi così molto liberal e poco statalista, ma d'altra parte non può e non vuole introdurre l'inevitabile seconda parte del ragionamento, e cioè che le scelte in qualche modo si pagano.
Siccome il servizio sanitario britannico è finanziato dalle tasse, come quello italiano, le risorse disponibili sono limitate e, in più, lì non vi sono ticket. Quindi, prima di "comprare" un farmaco o un servizio bisogna vedere se l'acquisto non toglierebbe risorse per altri farmaci o servizi magari più utili. Così, ci sembra si possa concludere dal tono dell'editoriale, il Governo lascia gli "scienziati" a fare la parte del cattivo, mentre i ministri parlano di libertà di scelta.
Questa libertà di scelta, poi, non è sempre bella come sembra in teoria. Sempre più spesso, a giudicare dalle lettere che arrivano alle redazioni dei giornali specializzati, Dica33 compreso, accade che il paziente si senta chiedere dal medico "Che cosa facciamo?" non di fronte a dubbi eticamente importanti (curare, non curare, accettare un intervento o rifiutarlo) ma anche di fronte a scelte che sarebbe lecito definire tecniche e non esistenziali. Va bene che c'è la libertà di scelta, e il consenso informato, ma che cosa è meglio dal punto di vista tecnico lo deve dire il medico, non il cittadino paziente che non ha una laurea in medicina. Ecco, dire che cosa è meglio tecnicamente è quello che ha fatto il NICE, e il Governo britannico avrebbe potuto e dovuto difenderlo per questo. Se al criterio scientifico si sostituisce quello politico, i rischi sono enormi: si fa quello che è più popolare, non quello che è più utile. Detto questo, e tornando all'Alzheimer e ai farmaci, anche l'Italia adottò a suo tempo uno schema simile, somministrandone alcuni soltanto nell'ambito di una sperimentazione controllata.
E' stato giusto, ma non sufficiente, perché in questa malattia come in altre molto invalidanti e senza cure, quel che conta è l'assistenza: supporto al paziente e ai famigliari. Fortunatamente la pensa così il Ministro della salute Livia Turco, che ha proposto un intervento complesso su tutto questo aspetto. E per una volta, potrebbe essere l'Italia a fare da specchio alla Gran Bretagna.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Tra le istituzioni sanitarie che la Gran Bretagna ha e l'Italia no, c'è il National Institute for Clinical Eccellence o NICE. Si tratta di un ente che valuta le terapie, farmacologiche e no, i protocolli diagnostici e terapeutici, insomma tutto l'armamentario che serve a curare e decidere, sulla base delle evidenze cliniche, se è il caso di fornirli a tutti, senza oneri, attraverso il sistema sanitario nazionale. E' chiaro che nella valutazione entra anche il dato economico, e questo non deve destare scandalo.
Forme lievi e gravi
Tra le decisioni più recenti del NICE c'è il rifiuto di erogare a tutti, attraverso il servizio sanitario, i farmaci finora registrati per il trattamento della demenza di Alzheimer. I farmaci in questione sono quattro:donepezil, galantamina, rivastigmina, memantina e l'11 ottobre è stato deciso che in Gran Bretagna verranno forniti soltanto ai pazienti che presentano forme moderate e lievi della malattia. Le reazioni, cui non è estranea l'opera di lobbyng delle aziende produttrici, sono state molto dure e, infine, il NICE è stato accusato di avere fatto semplicemente il conto della spesa. Però non è così: non si può trascurare che i risultati migliori, se non i soli netti, sono stati ottenuti proprio nelle forme iniziali della malattia. Un editoriale della rivista Lancet, difendendo il rigore scientifico dell'azione del NICE, in questo come in altri casi, ha però dato una spiegazione più profonda della situazione che si è creata. In pratica, si legge, si è di fronte a un atteggiamento schizofrenico: il Governo parla continuamente di "libertà di scelta" del cittadino in fatto di cure, dimostrandosi così molto liberal e poco statalista, ma d'altra parte non può e non vuole introdurre l'inevitabile seconda parte del ragionamento, e cioè che le scelte in qualche modo si pagano.
Siccome il servizio sanitario britannico è finanziato dalle tasse, come quello italiano, le risorse disponibili sono limitate e, in più, lì non vi sono ticket. Quindi, prima di "comprare" un farmaco o un servizio bisogna vedere se l'acquisto non toglierebbe risorse per altri farmaci o servizi magari più utili. Così, ci sembra si possa concludere dal tono dell'editoriale, il Governo lascia gli "scienziati" a fare la parte del cattivo, mentre i ministri parlano di libertà di scelta.
Libertà di scelta? Fino a un certo punto
Questa libertà di scelta, poi, non è sempre bella come sembra in teoria. Sempre più spesso, a giudicare dalle lettere che arrivano alle redazioni dei giornali specializzati, Dica33 compreso, accade che il paziente si senta chiedere dal medico "Che cosa facciamo?" non di fronte a dubbi eticamente importanti (curare, non curare, accettare un intervento o rifiutarlo) ma anche di fronte a scelte che sarebbe lecito definire tecniche e non esistenziali. Va bene che c'è la libertà di scelta, e il consenso informato, ma che cosa è meglio dal punto di vista tecnico lo deve dire il medico, non il cittadino paziente che non ha una laurea in medicina. Ecco, dire che cosa è meglio tecnicamente è quello che ha fatto il NICE, e il Governo britannico avrebbe potuto e dovuto difenderlo per questo. Se al criterio scientifico si sostituisce quello politico, i rischi sono enormi: si fa quello che è più popolare, non quello che è più utile. Detto questo, e tornando all'Alzheimer e ai farmaci, anche l'Italia adottò a suo tempo uno schema simile, somministrandone alcuni soltanto nell'ambito di una sperimentazione controllata.
E' stato giusto, ma non sufficiente, perché in questa malattia come in altre molto invalidanti e senza cure, quel che conta è l'assistenza: supporto al paziente e ai famigliari. Fortunatamente la pensa così il Ministro della salute Livia Turco, che ha proposto un intervento complesso su tutto questo aspetto. E per una volta, potrebbe essere l'Italia a fare da specchio alla Gran Bretagna.
Maurizio Imperiali
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