Se la medicina è evidente

21 marzo 2007
Aggiornamenti e focus

Se la medicina è evidente



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Era il 1830 quando Alexandre Louis responsabile della Medicine d'Observation, dichiarò, fra le resistenze dei suoi contemporanei, che "i medici non dovevano basarsi su teorie e ipotesi circa la causa delle malattie, e neppure su esperienze derivate da casi singoli, ma piuttosto dovevano contribuire ad accumulare informazioni (esperienze collettive) basate su casistiche ampie, raccolte con criteri metodologici espliciti e definiti; solo così si potrà capire quali trattamenti sono realmente efficaci e quali no". Era l'inizio, anche se ancora non ce n'era consapevolezza, della Evidence Based Medicine (EBM), la medicina basata sulle evidenze, che è adesso un perno della pratica medica. Il retroterra da cui è nata ufficialmente, infatti, nel 1992, come spiega in un suo testo Alessandro Liberati, è quello di migliorare la qualità delle basi scientifiche della medicina moderna, nella quale venivano troppo spesso utilizzati interventi di efficacia non documentata o non utilizzati invece interventi potenzialmente efficaci. Da qui ebbe origine il primo studio ufficiale, pubblicato su Jama nel 1992, che definì l'EBM come un nuovo paradigma emergente per la pratica medica. Dell'argomento si è parlato a Milano nel corso del convegno "Implicazioni etiche della ricerca e della pratica medica". L'occasione per fare il punto della situazione.

Caratteristiche dell'EBM


L'EBM ha avuto sviluppo in due aree di applicazione: le macrodecisioni di sanità pubblica o riguardanti gruppi omogenei di popolazione e la pratica medica sul paziente individuale. Quest'ultima è l'area di maggior interesse per l'EBM: insegnare ai medici come tradurre in domande chiare e definite il bisogno d'informazione emergente durante l'incontro con un paziente, e come ricercare nella letteratura, selezionare e applicare le evidenze. Detto così sembra facile. Nella pratica lo è meno e gli stessi medici di medicina generale, i più coinvolti dalla materia, hanno identificato alcuni limiti. Per cominciare la difficoltà di trasformare in termini chiari e precisi le domande spesso vaghe e generiche della pratica, poi la difficoltà a identificare una strategia di ricerca appropriata, il tempo eccessivo richiesto dalla ricerca dell'informazione; il fallimento della ricerca; la difficoltà di sintetizzare in una conclusione clinica utile frammenti molteplici di evidenza. Ed esempi se ne potrebbero fare molti. Fabrizio Faggiano del dipartimento di Scienze igienistiche dell'università di Torino, presente all'incontro milanese, ne ha fatti alcuni, tra cui il caso della Sids.

Il caso Sids


Della malattia si inizia a parlare verso la fine degli anni '60 quando, durante la "Seconda conferenza internazionale sulle cause di morte improvvisa", per la prima volta viene introdotto il termine per definire "la morte improvvisa di un lattante inaspettata in base alla storia clinica e in cui un accurato esame autoptico non consente di risalire alle cause del decesso". Le cause della Sids sono rimaste ignote a lungo e a lungo all'epoca l'adozione della posizione prona (a pancia in giù) era considerata sensata, e raccomandata dalle linee guida per evitare che un neonato possa inalare il rigurgito e il vomito. All'epoca si contavano 3-4 decessi ogni 1000 nati. Poi nel 1988 la svolta, quando tra i fattori di rischio indipendenti viene identificata la posizione prona durante il sonno, che in breve è diventato il più importante fattore di rischio. Ma prima che l'evidenza venisse recepita è trascorso del tempo e probabilmente non poche morti evitabili. E questo probabilmente perché la plausibilità e la teoria faticano ad arrendersi all'evidenza di efficacia. Oggi le evidenze sono state recepite, qui come in altri casi analoghi, ma a distanza di dieci anni dalla sua introduzione l'impatto dell'EBM sulla pratica medica continua a essere limitato da numerosi ostacoli. Ostacoli che, concludono i presenti al convegno milanese, si possono abbattere.

Marco Malagutti



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