L'importante è non perseverare

20 aprile 2007
Aggiornamenti e focus

L'importante è non perseverare



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Ammesso che in quanto umani non si è infallibili, la possibilità di errore è sempre da inserire nel bilancio di qualsiasi attività. Ovviamente il peso di un errore cambia con il contesto, sbagliare il congiuntivo è una cosa, perdere un paziente in sala operatoria è ben altra.
A questo punto diventa importante non ripetere, e quindi imparare dall’errore come agire la volta successiva.

Formazione, risorse, certificazione


Ammesso quindi che il rischio fa parte del mestiere per chi ha a che fare con la salute, paziente compreso, è il caso di trovare un metodo per minimizzarlo, o quanto meno gestirlo, perchè annullarlo è pressoché impossibile. Il risk management diventa, infatti, il comune denominatore per le diverse figure che ruotano attorno al mondo della salute e della sanità: medici, operatori, istituzioni, assicurazioni e pazienti. Queste figure, organizzate in associazioni, con interessi apparentemente diversi, hanno trovato un punto di incontro nel Cineas, Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni, una onlus che a sua volta racchiude realtà accademiche e aziendali.
Infatti, Cineas, congiuntamente al Tribunale dei diritti del malato, Amami, Fism, Istituto nazionale di medicina legale e Ania, chiede al Ministero della Salute e alle Regioni un impegno concreto per la salute dei pazienti affinché ci sia un risk manager formato in ogni ospedale e un sistema di certificazione obbligatorio per tutto il territorio. L’iniziativa è stata presentata in conferenza stampa in presenza di tutti gli attori che ne prendono parte. Il presidente di Cineas, Adolfo Bertani, ha ribadito “la necessità di estendere l’obbligo su tutto il territorio di avere questa figura professionale che non sia, solo un adempimento burocratico di una direttiva regionale”. Chiaramente per raggiungere l’obiettivo servono risorse economiche e sono proprio investimenti in fondi per la formazione che vengono richiesti al ministro e agli assessori regionali. “E per garantirlo – prosegue Bertani - servono certificazioni, come avviene in molti paesi: il Joint Commission ha certificato oltre 20 mila ospedali, quelli italiani si contano sulle dita di una mano”. Si tratta di una proposta che porterebbe vantaggi per tutti. Per il paziente che si sente sicuro entrando in ospedale, per gli operatori sanitari che lavorerebbero nel sistema di lavoro protetto, per le assicurazioni che dovrebbero risarcire meno sinistri e per il governo che vedrebbe ridotta la malpractice sanitaria.

Non nascondere sotto il tappeto


La possibilità di gestire il rischio passa anche attraverso l’informazione e la comunicazione, lo sostiene con forza Pasquale Spinelli, presidente FISM, Federazione nazionale società mediche e scientifiche: “L’informazione per il consenso deve essere corretta e il medico deve avere la certezza che il paziente abbia compreso pienamente i rischi”. Inoltre, per creare e diffondere una cultura del rischio è importante individuare le condizioni rischiose per tutti e poi comunicare l’errore, quando questo si verifica, sempre nell’ottica di poter imparare e migliorare e quindi evitare, nel futuro, quanto meno lo stesso errore, evitando atteggiamenti difensivi.
La percezione del rischio da parte dei cittadini emerge da un’indagine condotta da Cineas che individua nel pronto soccorso, nella sala operatoria e nella diagnostica gli ambiti a maggior rischio di errore. Non molto distante dalla realtà dal momento che le categorie più a rischio sono proprio chirurghi e anestesisti.

Nei panni del medico

L’esperienza dell’errore, vista nei panni del medico, può essere altrettanto drammatica stando a quanto riporta Norberto Confalonieri, presidente della sede milanese di Amami, l’associazione per i medici accusati di malpractice ingiustamente. L’assistenza che l’associazione dà ai medici accusati li accompagna fino alla fine del processo giudiziario al termine del quale spesso risultano innocenti, ma nel frattempo hanno perso il lavoro, l’assicurazione e molto altro. Spesso infatti non si tratta di un errore diretto del medico ma di disorganizzazione della struttura che genera confusione e malfunzionamento della strumentazione e delle tecnologie.
L’implementazione efficace del risk management ridurrebbe i contenziosi. Confalonieri inoltre avanza anche l’ipotesi di istituire un fondo area terapeutica che risarcirebbe i danni al cittadino senza portare il caso in tribunale. Risultato che spesso viene raggiunto, ma con un accordo tra le parti, perchè anche dimostrando la propria innocenza, il medico dovrebbe mettere in conto perdite troppo elevate.
La gestione del rischio sembra quindi essere la via di uscita che porterebbe a una soluzione di problemi reali che coinvolgono tutti. Si attende ora una risposta, concreta, da parte delle istituzioni interpellate.

Simona Zazzetta



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