25 gennaio 2008
Aggiornamenti e focus
Pubblicazioni selettive
Tags:
La medicina basata sulle evidenze ha valore a condizione che le evidenze di base siano complete e imparziali. La pubblicazione selettiva dei risultati di alcuni trial clinici e non di altri potrebbe distorcere la reale efficacia di un farmaco e il suo profilo rischio-beneficio. Questa l'ipotesi lanciata da un gruppo multidisciplinare di ricercatori statunitensi, che ha deciso di verificarla sul campo, esaminando gli studi, pubblicati e non, su 12 farmaci antidepressivi.
La documentazione resa disponibile dalla Food and Drug Administration (FDA) era costituita da studi clinici di fase 2 e 3, cioè i trial pre-registrazione, riguardanti farmaci autorizzati dal 1987 al 2004. Tra questi trial gli autori hanno selezionato quelli randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo per il trattamento a breve termine della depressione. Hanno poi estratto i dati di efficacia, restringendo il campo alle sole dosi di medicinale poi approvate.
Per ogni studio si è considerato, oltre ai dati di efficacia, anche il parere dell'FDA circa la sua rispondenza o meno agli end point fissati in partenza. In questo modo sono stati raccolti 74 studi che, nel complesso, avevano coinvolto 12.564 pazienti.
Gli autori hanno poi esteso alla letteratura la ricerca degli stessi studi, identificati per nome del farmaco, dosi sperimentali, dimensioni del campione, comparatore (quando utilizzato), durata e nome del coordinatore del trial.
Il 31% degli studi (n=23), registrati dall'FDA, non era stato pubblicato, quantomeno non singolarmente, tuttavia non vi era una differenza apprezzabile nelle dimensioni mediane del campione, rappresentato da 153 pazienti per i trial pubblicati e 146 per quelli non pubblicati.Dei 38 studi (51%) che l'agenzia regolatoria considerava positivi, nel senso della coerenza tra risultati attesi e ottenuti, solo uno non era stato pubblicato. Mentre dei 36 studi (49%) che l'FDA aveva giudicato come negativi (n=24) o discutibili (n=12), 2 non erano stati pubblicati, 11 erano sì pubblicati ma con un tono che poteva suggerire conclusioni migliori e solo 3 erano fedelmente riportati in letteratura.Facendo un bilancio approssimativo dei dati raccolti, rispetto ai 12 farmaci oggetto degli studi, è risultato che per ciascun farmaco almeno uno studio non risultava pubblicato, oppure compariva in letteratura con conclusioni differenti da quelle espresse originariamente dall'FDA.
Selezioni che nuociono
Premesso che i motivi di non pubblicazione di un articolo possono essere diversi e anche legittimi, dal punto di vista statistico il bias così generato finisce per nuocere ai ricercatori, ai partecipanti ai trial, ai medici prescrittori e, infine, ai pazienti.La pubblicazione selettiva, infatti, priva i ricercatori dei dati che sarebbero necessari per una stima realistica delle dimensioni dell'effetto farmacologico. E quando questa stima non è accurata è facile sottostimare la numerosità del campione, cioè il numero di volontari da reclutare in uno studio perché i risultati possano raggiungere la significatività. In pratica i ricercatori rischiano di perdere tempo e risorse per studi che poi saranno inconcludenti.Inoltre, un'errata percezione del profilo rischio/benefico di un determinato farmaco può indurre il medico a prescrizioni poco appropriate, che non favoriscono gli interessi dei malati né, in definitiva, della salute pubblica.
Elisabetta Lucchesini
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Quali studi, quali dati
La documentazione resa disponibile dalla Food and Drug Administration (FDA) era costituita da studi clinici di fase 2 e 3, cioè i trial pre-registrazione, riguardanti farmaci autorizzati dal 1987 al 2004. Tra questi trial gli autori hanno selezionato quelli randomizzati, in doppio cieco, controllati verso placebo per il trattamento a breve termine della depressione. Hanno poi estratto i dati di efficacia, restringendo il campo alle sole dosi di medicinale poi approvate.
Per ogni studio si è considerato, oltre ai dati di efficacia, anche il parere dell'FDA circa la sua rispondenza o meno agli end point fissati in partenza. In questo modo sono stati raccolti 74 studi che, nel complesso, avevano coinvolto 12.564 pazienti.
Gli autori hanno poi esteso alla letteratura la ricerca degli stessi studi, identificati per nome del farmaco, dosi sperimentali, dimensioni del campione, comparatore (quando utilizzato), durata e nome del coordinatore del trial.
Risultati dello studio
Il 31% degli studi (n=23), registrati dall'FDA, non era stato pubblicato, quantomeno non singolarmente, tuttavia non vi era una differenza apprezzabile nelle dimensioni mediane del campione, rappresentato da 153 pazienti per i trial pubblicati e 146 per quelli non pubblicati.Dei 38 studi (51%) che l'agenzia regolatoria considerava positivi, nel senso della coerenza tra risultati attesi e ottenuti, solo uno non era stato pubblicato. Mentre dei 36 studi (49%) che l'FDA aveva giudicato come negativi (n=24) o discutibili (n=12), 2 non erano stati pubblicati, 11 erano sì pubblicati ma con un tono che poteva suggerire conclusioni migliori e solo 3 erano fedelmente riportati in letteratura.Facendo un bilancio approssimativo dei dati raccolti, rispetto ai 12 farmaci oggetto degli studi, è risultato che per ciascun farmaco almeno uno studio non risultava pubblicato, oppure compariva in letteratura con conclusioni differenti da quelle espresse originariamente dall'FDA.
Selezioni che nuociono
Premesso che i motivi di non pubblicazione di un articolo possono essere diversi e anche legittimi, dal punto di vista statistico il bias così generato finisce per nuocere ai ricercatori, ai partecipanti ai trial, ai medici prescrittori e, infine, ai pazienti.La pubblicazione selettiva, infatti, priva i ricercatori dei dati che sarebbero necessari per una stima realistica delle dimensioni dell'effetto farmacologico. E quando questa stima non è accurata è facile sottostimare la numerosità del campione, cioè il numero di volontari da reclutare in uno studio perché i risultati possano raggiungere la significatività. In pratica i ricercatori rischiano di perdere tempo e risorse per studi che poi saranno inconcludenti.Inoltre, un'errata percezione del profilo rischio/benefico di un determinato farmaco può indurre il medico a prescrizioni poco appropriate, che non favoriscono gli interessi dei malati né, in definitiva, della salute pubblica.
Elisabetta Lucchesini
Salute oggi:
- Notizie e aggiornamenti
- Libri e pubblicazioni
- Dalle aziende
- Appunti di salute
- Nutrire la salute
- Aperi-libri
- Allenati con noi
...e inoltre su Dica33: