Donazioni samaritane, un circolo virtuoso

28 maggio 2010
Interviste

Donazioni samaritane, un circolo virtuoso



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di Marco Malagutti

Dopo l'annuncio del ministro Fazio e il parere del Comitato di bioetica anche in Italia, come da anni succede negli Stati Uniti, sarà possibile effettuare donazioni samaritane, ossia donare un organo a qualcuno che nemmeno si conosce, come puro atto di generosità. Un passo avanti importante in una realtà, quella italiana, che, secondo le ultime proiezioni del Centro nazionale trapianti (Cnt), vede un calo del numero di persone che dicono "no" alla donazione di organi e tessuti, una diminuzione quantificata nell'8,3%. L'Italia si pone così al secondo posto dopo la Spagna in fatto di donazioni. Ma che cosa sono esattamente le donazioni samaritane e che impatto potranno avere sul numero di trapianti e donatori? C'è chi come il senatore del Pd Ignazio Marino è piuttosto scettico e ha parlato di non più dello 0,1% in più. Per di più con un meccanismo eticamente rischioso. Di tutt'altro avviso Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di medicina specialistica e dei trapianti degli Ospedali Riuniti di Bergamo, che, intervistato da Dica33, si dichiara favorevole alla novità "donatori samaritani".

Per cominciare che cosa sono le donazioni samaritane?
Normalmente le donazioni da vivente sono a favore di un familiare o di qualcuno con cui si ha un legame affettivo. E tra l'altro a donare sono in numero decisamente superiore le donne. Con l'annuncio del ministro Fazio e il parere favorevole del Comitato di bioetica, ora la donazione può essere fatta per pura e semplice solidarietà.

Perché è stato coinvolto il Comitato e che cosa ha sancito esattamente?
Il Comitato è stato coinvolto riguardo ai casi di tre persone una donna torinese e due lombardi che hanno chiesto di poter cedere gratuitamente i reni mettendoli a disposizione della collettività. Un coinvolgimento, dal mio punto di vista, non così necessario, visto che una legge del 1967 già sanciva a partire dal titolo V del codice civile che «Si può donare il rene a consanguinei o al coniuge o a un parente alla lontana o a uno sconosciuto se non ci sono consanguinei disponibili». Si parla quindi espressamente di sconosciuti. Il parere del Comitato di bioetica, comunque, sancisce che l'operazione deve avvenire dopo una valutazione psicologica e psichiatrica del donatore e nel rispetto della privacy, escludendo qualsiasi contatto tra donatore e ricevente. Principi di assoluto buonsenso.

Che impatto potrà avere la novità sul numero dei donatori?
E' indubbio che l'impatto non sarà altissimo e i samaritani non risolveranno il problema ma bisogna tenere conto dell'impatto culturale. Oggi in Italia le donazioni da vivente sono soltanto l'8% del totale, contro il 50% di tutti i trapianti negli Stati Uniti, il 37 in Inghilterra e il 54% in Olanda. Se 8 familiari su 10 sarebbero disponibili, soltanto 1 su 5 di questi può portare a termine l'intervento per ragioni di compatibilità. Sicuramente la novità "donatori samaritani" è un occasione per riflettere e per attivare un circolo virtuoso. Oltretutto se il rene di un cadavere dura 13 anni, quello di un donatore vivente in media dura 21 anni. C'è un altro aspetto importante da opporre agli scettici. La catena di donazioni che si potrebbe attivare simile a quella che negli Stati Uniti già c'è. Se si vuol donare un rene a un proprio parente ma non si è compatibili, si accede alla lista dei donatori. Trovato quello compatibile si mette comunque a disposizione il proprio, innescando una catena di donazioni. Non a caso negli Stati Uniti i trapianti con il rene di un donatore vivente sono ormai il 50% di tutti i trapianti. Sarà un percorso lungo, trattandosi di un'organizzazione piuttosto complessa, e in una realtà come quella italiana lo sarà ancora di più. Ma si può provare.


E chi dona avrà una vita normale?
Assolutamente sì. Lo conferma una recente indagine pubblicata sul New England Journal of Medicine condotta su 6000 pazienti seguiti per 40 anni. E l'aspettativa di vita non si è modificata con un rene soltanto. E', però, chiaramente importante che il trapianto venga fatto in centri validi.



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