28 luglio 2006
Aggiornamenti e focus
Barriere di parole
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Un conto è ordinare un caffè in un bar, un conto è spiegare cosa duole e in che modo a un medico in terra straniera dove la propria lingua è del tutto incomprensibile. E questa è la condizione piuttosto diffusa in cui si trovano gli immigrati che necessitano di cure mediche con peculiarità diverse in ogni realtà di immigrazione. Per esempio negli Stati Uniti è molto presente la comunità ispanica, in Italia prevalgono quelle magrebine, dell'Africa Sub-Sahariana e dell'Est europeo. Ma le problematiche sollevate si ripetono con un denominatore comune: il rischio di offrire (e di ricevere) le cure adeguate al caso che si presenta.
Fisco per fiasco
Le barriere linguistiche che si riscontrano negli Stati Uniti devono fare i conti con i 49,6 milioni di cittadini americani che in casa parlano un'altra lingua oltre all'inglese, con 22,3 milioni che hanno poca dimestichezza con l'inglese e lo parlano tutt'altro che bene. E non c'è una risposta adeguata dalle istituzioni sanitarie al punto che molti pazienti che necessitano di un interprete non riescono a ottenerlo. Il risultato sono delle conversazioni riportate in un articolo comparso sul New England, in cui una madre aveva portato il figlio di 12 anni in pronto soccorso. La donna cercava di spiegare i sintomi che aveva visto nel bambino e il bambino stesso faceva da traduttore, con difficoltà notevoli. In altri casi bastava capire male una parola e le gocce per l'otite venivano somministrate per bocca, o una caduta dal triciclo di una bambina di due anni diventava un abuso e denunciato ai servizi sociali. E' stato verificato che nel 46% dei casi che si presentavano nei pronto soccorso americani non è stato chiamato un interprete nonostante fosse necessario. Sono molto pochi i medici che ricevono una formazione per lavorare con un interprete: solo il 23% degli ospedali americani provvede a questo tipo di preparazione del personale. Tra gli effetti negativi delle barriere linguistiche rilevati negli Stati Uniti, sicuramente una minore probabilità di accedere alle risorse e ai servizi di prevenzione e una minore aderenza alle terapie prescritte. I pazienti con disturbi psichiatrici rischiano maggiormente di ricevere una diagnosi più grave per poi lasciare l'ospedale contrariamente alle indicazioni dei medici. I bambini con l'asma hanno maggior probabilità di essere intubati. La maggior parte di questi pazienti difficilmente si ripresenta per una visita di controllo, ma rischia di più il ricovero e le complicanze legate all'uso di medicinali.
Comunicazione difficile
Anche l'Italia affronta un fenomeno del genere, e le associazioni di volontariato che se ne occupano ne segnalano l'entità e ne delineano i confini. Una ricerca sperimentale condotta dal NAGA, un'associazione di volontariato nata a Milano nel 1987, ha disegnato il rapporto tra il medico e il paziente straniero, sulla base dell'esperienza presso il loro centro a cui si rivolgono gli stranieri che, tra le altre cose, necessitano di assistenza sanitaria. Il contatto diretto con queste persone ha permesso di distinguere alcune tipologie: le donne sudamericane, estremamente collaborative ma caratterizzate da un elevato livello di ansia e dipendenza; al contrario, i pazienti provenienti dall'Africa Sub-Sahariana sono quelli fra cui è stata rilevata la minor presenza di atteggiamenti ansiosi o introspettivi; i pazienti provenienti dall'Europa dell'Est sono risultati i più difficili, a volte contraddistinti da atteggiamenti rifiutanti e svalutanti. I medici operanti sono soddisfatti del grado di comunicazione che riescono a instaurare ma riconoscono nella lingua la barriera più immediata. Infatti l'impressione positiva poi si perde nel lungo termine perché non sempre si traduce in un effettiva comprensione del bisogno dell'utente. Come negli Stati Uniti, anche in Italia tanti pazienti si perdono, nel senso che non si recano alla visita successiva o agli appuntamenti, o al contrario continuano a ripresentare il medesimo problema senza che il medico riesca a comprendere di che cosa si tratti effettivamente; altri non seguono adeguatamente le prescrizioni mediche.
Un bagaglio sempre in spalla
La difficoltà può anche essere rappresentata dal patrimonio culturale e dalla concezione tradizionale di salute, corpo e malattia, bagaglio imprescindibile che ciascuno straniero porta con sé; le società tradizionali, per esempio, considerano l'individuo nella sua globalità e in stretta connessione con la sua comunità di appartenenza; qui in Italia la comunità è assente, e le pratiche mediche tendono spesso a scindere la parte malata dalla soggettività individuale della persona malata. Il paziente straniero è quindi un paziente che, in un momento di doppia fragilità (come straniero e come malato), si trova di fronte a prospettive interpretative non consone al proprio patrimonio culturale; il disagio che ne scaturisce non esita in atteggiamenti esotici o folkloristici, ma determina un adattamento al sistema di cure esistente.
Simona Zazzetta
Fonte
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Fisco per fiasco
Le barriere linguistiche che si riscontrano negli Stati Uniti devono fare i conti con i 49,6 milioni di cittadini americani che in casa parlano un'altra lingua oltre all'inglese, con 22,3 milioni che hanno poca dimestichezza con l'inglese e lo parlano tutt'altro che bene. E non c'è una risposta adeguata dalle istituzioni sanitarie al punto che molti pazienti che necessitano di un interprete non riescono a ottenerlo. Il risultato sono delle conversazioni riportate in un articolo comparso sul New England, in cui una madre aveva portato il figlio di 12 anni in pronto soccorso. La donna cercava di spiegare i sintomi che aveva visto nel bambino e il bambino stesso faceva da traduttore, con difficoltà notevoli. In altri casi bastava capire male una parola e le gocce per l'otite venivano somministrate per bocca, o una caduta dal triciclo di una bambina di due anni diventava un abuso e denunciato ai servizi sociali. E' stato verificato che nel 46% dei casi che si presentavano nei pronto soccorso americani non è stato chiamato un interprete nonostante fosse necessario. Sono molto pochi i medici che ricevono una formazione per lavorare con un interprete: solo il 23% degli ospedali americani provvede a questo tipo di preparazione del personale. Tra gli effetti negativi delle barriere linguistiche rilevati negli Stati Uniti, sicuramente una minore probabilità di accedere alle risorse e ai servizi di prevenzione e una minore aderenza alle terapie prescritte. I pazienti con disturbi psichiatrici rischiano maggiormente di ricevere una diagnosi più grave per poi lasciare l'ospedale contrariamente alle indicazioni dei medici. I bambini con l'asma hanno maggior probabilità di essere intubati. La maggior parte di questi pazienti difficilmente si ripresenta per una visita di controllo, ma rischia di più il ricovero e le complicanze legate all'uso di medicinali.
Comunicazione difficile
Anche l'Italia affronta un fenomeno del genere, e le associazioni di volontariato che se ne occupano ne segnalano l'entità e ne delineano i confini. Una ricerca sperimentale condotta dal NAGA, un'associazione di volontariato nata a Milano nel 1987, ha disegnato il rapporto tra il medico e il paziente straniero, sulla base dell'esperienza presso il loro centro a cui si rivolgono gli stranieri che, tra le altre cose, necessitano di assistenza sanitaria. Il contatto diretto con queste persone ha permesso di distinguere alcune tipologie: le donne sudamericane, estremamente collaborative ma caratterizzate da un elevato livello di ansia e dipendenza; al contrario, i pazienti provenienti dall'Africa Sub-Sahariana sono quelli fra cui è stata rilevata la minor presenza di atteggiamenti ansiosi o introspettivi; i pazienti provenienti dall'Europa dell'Est sono risultati i più difficili, a volte contraddistinti da atteggiamenti rifiutanti e svalutanti. I medici operanti sono soddisfatti del grado di comunicazione che riescono a instaurare ma riconoscono nella lingua la barriera più immediata. Infatti l'impressione positiva poi si perde nel lungo termine perché non sempre si traduce in un effettiva comprensione del bisogno dell'utente. Come negli Stati Uniti, anche in Italia tanti pazienti si perdono, nel senso che non si recano alla visita successiva o agli appuntamenti, o al contrario continuano a ripresentare il medesimo problema senza che il medico riesca a comprendere di che cosa si tratti effettivamente; altri non seguono adeguatamente le prescrizioni mediche.
Un bagaglio sempre in spalla
La difficoltà può anche essere rappresentata dal patrimonio culturale e dalla concezione tradizionale di salute, corpo e malattia, bagaglio imprescindibile che ciascuno straniero porta con sé; le società tradizionali, per esempio, considerano l'individuo nella sua globalità e in stretta connessione con la sua comunità di appartenenza; qui in Italia la comunità è assente, e le pratiche mediche tendono spesso a scindere la parte malata dalla soggettività individuale della persona malata. Il paziente straniero è quindi un paziente che, in un momento di doppia fragilità (come straniero e come malato), si trova di fronte a prospettive interpretative non consone al proprio patrimonio culturale; il disagio che ne scaturisce non esita in atteggiamenti esotici o folkloristici, ma determina un adattamento al sistema di cure esistente.
Simona Zazzetta
Fonte
- Flores G. Language barriers to health care in the United States. N Engl J Med. 2006 Jul 20;355(3):229-31
- Anna Cravero Il rapporto tra medico e paziente: una ricerca sperimentale. Edizione L'Harmattan Italia 2000
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