Si fa e si dice

01 settembre 2006
Aggiornamenti e focus

Si fa e si dice



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Quando si presenta un errore, il medico che fa? Ne parla al paziente? Sempre? O esistono situazioni che rendono l'ammissione più o meno probabile? Difficile avere dati concreti, cioè su quanto è effettivamente avvenuto, ma in compenso si può indagare quali sono gli orientamenti dei medici al proposito. E' quanto fatto da una recente indagine statunitense che si è soffermata su un aspetto in particolare: il condizionamento esercitato dalla più o meno grande diffusione del contenzioso legale in campo medico. Si sostiene infatti che la tendenza a tenere gli scheletri negli armadi dipenda in buona misura dal rischio, reale o solo percepito, di andare incontro a una causa.

La chirurgia fa la differenza
Per stabilire se il sospetto sia fondato o meno, la ricerca ha sottoposto un questionario ad hoc, ovviamente anonimo, a un campione di medici statunitensi e a uno analogo di medici canadesi. Nei due paesi, infatti, la situazione è molto differente in termini di litigiosità, e di costo delle polizze assicurative per la responsabilità professionale. Ai medici è stato chiesto, per cominciare, se hanno sfiorato un errore, ne avevano commesso uno lieve oppure uno grave. Soltanto il 5% ha dichiarato di non aver mai nemmeno rischiato di sbagliare, per il resto il 67% ha dichiarato di averla "scampata bella", il 73% di aver commesso un errore lieve e il 55% di averne commesso uno grave. Non c'erano grandi differenze tra i due paesi, in compenso ce n'erano tra le diverse specialità: i chirurghi erano più esposti all'errore. Per la maggioranza dei medici (64%) l'errore è effettivamente uno dei problemi più gravi dell'assistenza medica, senza differenze di nazionalità o specialità; dove cambia il giudizio è invece sulle responsabilità dell'errore: gli specialisti medici ritengono che la responsabilità vada cercata più nel sistema che nel singolo individuo, mentre i chirurghi in maggioranza ritengono che i fattori individuali pesino di più. Quanto alla probabilità di essere oggetto di una causa per danni, sono gli statunitensi a esser più propensi a crederlo, circa il 50% in più; complessivamente, il 66% dei medici ritiene che ammettere l'errore col paziente riduce il rischio di finire in tribunale, ma questa convinzione è più forte nei medici canadesi e negli specialisti medici.

Parlarne resta difficile
Questo, per così dire, lo sfondo, che in effetti qualche differenza la mostra. Venendo al punto centrale, cioè sulla propensione a comunicare ai pazienti l'errore eventualmente commesso, le differenze si attenuano. Sono soprattutto i canadesi (e gli specialisti medici) a pensare che si debba comunicare al paziente anche l'errore sfiorato, anche se complessivamente il dato è basso: il 35%. Tuttavia, la propensione a comunicare l'errore al paziente aumenta di pari passo con la gravità: il 78% ritiene che debbano essere comunicati gli errori lievi, per quelli gravi il consenso sale al 98% e questo senza differenze di sorta. Certo, per il 74% dei medici comunicare gravi incidenti non è facile, e sono soprattutto gli specialisti medici a pensarlo: il 60% in più rispetto ai chirurghi.
Quindi, malgrado la differente litigiosità nei due paesi, tra canadesi e statunitensi non ci sono differenze nell'atteggiamento: gli errori vanno ammessi. Però, anche se la quasi totalità dei medici è d'accordo, si ammette che esistono situazioni in cui la propensione a comunicare l'errore viene un po' meno: per il 60% quando ha l'impressione che il paziente non è in grado di capire, per il 30% quando ha l'impressione che il paziente non voglia sapere dell'errore, per 21% quando il paziente non si è accorto che un errore c'è stato. Solo il 19% citava il timore di un'azione legale.
E quindi, in conclusione, quanto pesa l'ambiente? Non molto, pesano assai più le convinzioni personali del medico che, peraltro, sembrano abbastanza rassicuranti. Del resto, al 58% del campione è capitato di dover comunicare il proprio errore al paziente, giudicando soddisfacente o molto soddisfacente il colloquio (rispettivamente il 47 e il 38%). C'è però un dato che gli autori richiamano e cioè la difficoltà a comunicare che qualcosa non è andata per il suo verso. Forse, indicano, servirebbe una formazione specifica per il medico.

Maurizio Imperiali

Fonte
Gallagher TH et al. US and Canadian physicians' attitudes and experiences regarding disclosing errors to patients.Arch Intern Med. 2006 Aug 14-28;166(15):1605-11.



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