04 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus
Più consumi meno informazioni
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La scena si svolge presso un ambulatorio medico:
Medico: "Le sto prescrivendo degli antibiotici, lei è allergico alla penicillina?"
Paziente: "No, non sono allergico a niente."
Medico: "Tutto ok allora."
La scena descritta da un articolo degli Archives of Internal Medicine è sintomatica. Non è per niente chiaro quale medicinale sia stato prescritto e non ci sono istruzioni su come assumerlo, ne su eventuali effetti collaterali. Una scena limite, d'accordo, forse dettata dal fatto che il medico si aspetta che possa essere il farmacista a dare le informazioni necessarie, ma purtroppo non è sempre così. E la scena è più comune di quanto ci si possa aspettare con tutto quello che può comportare a danno del paziente. Del resto è un fatto assodato i farmaci vengono presi spesso e male ma quello che non si sa è quanto questo fatto sia di responsabilità del medico. Eppure la comunicazione tra il medico e il paziente deve essere considerata come una funzione clinica fondamentale. Il clinico dovrebbe fornire spiegazioni chiare, accertarsi sempre che il paziente e la sua famiglia abbiano compreso i messaggi, discutere il piano di trattamento e provare, in ciascun caso, il grado e le motivazioni dell'efficacia terapeutica. Lo fa davvero? Secondo lo studio statunitense pubblicato sugli Archives of Internal Medicine spesso non lo fa adeguatamente.
Un dato va sottolineato innanzitutto: il consumo di farmaci è in costante aumento. Negli Stati Uniti si è passati da una media di quattro farmaci per persona del biennio 1995-96 ai 5,2 del biennio 2001-02. Quasi la metà degli americani prende almeno un farmaco di prescrizione e la metà dei pazienti anziani ne prende tre o più. Ma quello che è più grave di questa gran quantità di farmaci spesso non si fa l'uso corretto, con conseguenze che vanno dagli effetti collaterali, all'abuso, al sottoutilizzo, a prescrizioni e ospedalizzazioni non necessarie fino a costi più alti. Per evitare tutto questo sarebbe indispensabile una buona comunicazione medico-paziente nella quale anche il ruolo del paziente non è da sottovalutare. Domandare dovrebbe essere la parola d'ordine. Ma anche il medico svolge una funzione educativa indispensabile. Da quello che si sa però non vengono fornite istruzioni verbali al paziente nel 19% dei casi fino al 39% delle prescrizioni e indicazioni sulle dosi per solo il 50% fino al 62% delle prescrizioni. Ma le cose non vanno meglio, per esempio, se si parla di effetti collaterali, evocati in meno di un terzo dei casi. Lo studio degli Archives ha voluto valutare con precisione il grado di comunicazione esistente. Con risultati piuttosto sconfortanti. Lo studio osservazionale ha preso in esame la registrazione di 185 visite fuori dal contesto ospedaliero effettuate da 16 medici di famiglia, 18 internisti e 11 cardiologi presso due sistemi sanitari californiani. Nel periodo di un anno considerato, il 1999, sono stati prescritti 243 nuovi farmaci. I medici monitorati hanno citato il nome del farmaco prescritto nel 74% delle nuove prescrizioni e hanno spiegato lo scopo della terapia nell'87%. Gli effetti avversi sono stati evocati per il 35% dei farmaci e quanto a lungo assumerli è stato detto nel 34% delle situazioni. A concludere lo sconfortante quadro istruzioni sul numero di compresse per il 55% e il dosaggio richiesto nel 58% dei casi. In pratica, concludono i ricercatori, i medici hanno soddisfatto 3,1 dei 5 criteri di comunicazione previsti in base a criteri prefissati. Le cose vanno leggermente meglio per i farmaci di natura psichiatrica con 3,7, meno bene invece per i medicinali di area polmonare o cardiovascolare. Lo studio presenta varie limitazioni enunciate dagli stessi ricercatori ma rappresenta comunque un segnale preoccupante. In particolare gli aspetti messi più in evidenza riguardano la durata della terapia o gli effetti collaterali. Nel caso di malattie croniche il paziente potrebbe erroneamente interrompere la terapia. Ecco perché almeno per quelli identificati come gli elementi critici una buona comunicazione del medico è imprescindibile. I rischi altrimenti non sono da sottovalutare.
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Medico: "Le sto prescrivendo degli antibiotici, lei è allergico alla penicillina?"
Paziente: "No, non sono allergico a niente."
Medico: "Tutto ok allora."
La scena descritta da un articolo degli Archives of Internal Medicine è sintomatica. Non è per niente chiaro quale medicinale sia stato prescritto e non ci sono istruzioni su come assumerlo, ne su eventuali effetti collaterali. Una scena limite, d'accordo, forse dettata dal fatto che il medico si aspetta che possa essere il farmacista a dare le informazioni necessarie, ma purtroppo non è sempre così. E la scena è più comune di quanto ci si possa aspettare con tutto quello che può comportare a danno del paziente. Del resto è un fatto assodato i farmaci vengono presi spesso e male ma quello che non si sa è quanto questo fatto sia di responsabilità del medico. Eppure la comunicazione tra il medico e il paziente deve essere considerata come una funzione clinica fondamentale. Il clinico dovrebbe fornire spiegazioni chiare, accertarsi sempre che il paziente e la sua famiglia abbiano compreso i messaggi, discutere il piano di trattamento e provare, in ciascun caso, il grado e le motivazioni dell'efficacia terapeutica. Lo fa davvero? Secondo lo studio statunitense pubblicato sugli Archives of Internal Medicine spesso non lo fa adeguatamente.
Lo studio degli Archives
Un dato va sottolineato innanzitutto: il consumo di farmaci è in costante aumento. Negli Stati Uniti si è passati da una media di quattro farmaci per persona del biennio 1995-96 ai 5,2 del biennio 2001-02. Quasi la metà degli americani prende almeno un farmaco di prescrizione e la metà dei pazienti anziani ne prende tre o più. Ma quello che è più grave di questa gran quantità di farmaci spesso non si fa l'uso corretto, con conseguenze che vanno dagli effetti collaterali, all'abuso, al sottoutilizzo, a prescrizioni e ospedalizzazioni non necessarie fino a costi più alti. Per evitare tutto questo sarebbe indispensabile una buona comunicazione medico-paziente nella quale anche il ruolo del paziente non è da sottovalutare. Domandare dovrebbe essere la parola d'ordine. Ma anche il medico svolge una funzione educativa indispensabile. Da quello che si sa però non vengono fornite istruzioni verbali al paziente nel 19% dei casi fino al 39% delle prescrizioni e indicazioni sulle dosi per solo il 50% fino al 62% delle prescrizioni. Ma le cose non vanno meglio, per esempio, se si parla di effetti collaterali, evocati in meno di un terzo dei casi. Lo studio degli Archives ha voluto valutare con precisione il grado di comunicazione esistente. Con risultati piuttosto sconfortanti. Lo studio osservazionale ha preso in esame la registrazione di 185 visite fuori dal contesto ospedaliero effettuate da 16 medici di famiglia, 18 internisti e 11 cardiologi presso due sistemi sanitari californiani. Nel periodo di un anno considerato, il 1999, sono stati prescritti 243 nuovi farmaci. I medici monitorati hanno citato il nome del farmaco prescritto nel 74% delle nuove prescrizioni e hanno spiegato lo scopo della terapia nell'87%. Gli effetti avversi sono stati evocati per il 35% dei farmaci e quanto a lungo assumerli è stato detto nel 34% delle situazioni. A concludere lo sconfortante quadro istruzioni sul numero di compresse per il 55% e il dosaggio richiesto nel 58% dei casi. In pratica, concludono i ricercatori, i medici hanno soddisfatto 3,1 dei 5 criteri di comunicazione previsti in base a criteri prefissati. Le cose vanno leggermente meglio per i farmaci di natura psichiatrica con 3,7, meno bene invece per i medicinali di area polmonare o cardiovascolare. Lo studio presenta varie limitazioni enunciate dagli stessi ricercatori ma rappresenta comunque un segnale preoccupante. In particolare gli aspetti messi più in evidenza riguardano la durata della terapia o gli effetti collaterali. Nel caso di malattie croniche il paziente potrebbe erroneamente interrompere la terapia. Ecco perché almeno per quelli identificati come gli elementi critici una buona comunicazione del medico è imprescindibile. I rischi altrimenti non sono da sottovalutare.
Marco Malagutti
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