03 novembre 2006
Aggiornamenti e focus
Dati fantasiosi
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Ci sono argomenti sui quali, forse, è meglio arrivare per ultimi. La questione degli errori medici è una di queste, visto che le cifre "sparate" inizialmente sono state ritrattate. Che negli ospedali si possa sbagliare è una cosa che, per la verità, non dovrebbe suscitare una grande sorpresa, visto che le attività umane, soprattutto col crescere della difficoltà, sono soggette appunto agli errori. Piuttosto dovrebbe suscitare indignazione il fatto che, alla fine, se ne sappia così poco. Se nei motori di ricerca sulle pubblicazioni scientifiche, quindi non Google, si inseriscono le parole chiave "errori medici" e "Italia", si recuperano 210 risultati, se si sostituisce Italia con Stati Uniti, se ne ottengono 6123. E' una prova empirica, ma qualcosa vorrà pur dire.
Lo conferma anche il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità, medico, chirurgo, trapiantologo con una lunga esperienza negli Stati Uniti, dopo aver ricevuto dall'Associazione italiana di oncologica medica (AIOM), le fonti su cui avrebbe basato le su dichiarazioni, dalle quali emergeva il famigerato dato dei 90 morti al giorno. Vista la documentazione, Marino ha concluso che ''sono numeri di fantasia, un artificio senza fondamento scientifico. Si tratta di puro esercizio teorico su dati estrapolati da fonti lette superficialmente e diffusi con molta approssimazione". Del resto lo stesso professor Emilio Bajetta, ha dichiarato che effettivamente è stato un errore, aggravato da una forzatura "da ufficio stampa". In sostanza, ha detto Marino, si è partiti da tre fonti: la rivista Igiene e sanità pubblica di gennaio 2003, Toscana oggi del gennaio 2002 e un lavoro sostenuto da un gruppo finanziario che vende polizze assicurative, Zurich Consulting Risk Management. "Nessuna delle tre fonti ha rilevanza scientifica" ha concluso Marino. Ma se non sono novanta, quanti sono? L'unica risposta onesta è che oggi, in Italia, non si possono dare cifre che siano frutto di studi tali da poter essere estesi alla situazione nel suo complesso. Per esempio, uno studio del 2000, condotto sulle Azioni legali che hanno coinvolto i radiologi sottolineava che molto spesso, tra il momento della denuncia e quello del fatto può passare anche molto tempo, il che rende difficile stabilire quale sia l'incidenza degli errori, cioè quanto siano frequenti, basandosi soltanto sui risvolti legali.
Perché si sbaglia è una bella domanda che però ammetti diverse risposte. Per cominciare c'è l'abilità dell'operatore, e soprattutto la dimestichezza che questo ha con le procedure che deve eseguire. Ci si è ormai dimenticati delle polemiche sui piccoli ospedali con casistiche basse, ma è vero che quando un chirurgo esegue pochi interventi di un certo tipo, è più facile che vengano eseguiti male. C'è poi un altro aspetto, legato all'organizzazione dell'attività degli ospedali, ed è il sistema di pagamento della prestazione. Oggi, per le Regioni, vale il principio che ogni prestazione ha una remunerazione fissa (DRG), quindi, semplificando ma non troppo, le amministrazioni premono sui reparti per fatturare e meno tempo ci si mette, più si fattura. Un'altra conseguenza di questo sistema è che alle strutture ospedaliere "conviene" applicare procedure intrinsecamente pagate meglio: tanto per fare un esempio, preferire il by-pass a un'angioplastica e un parto cesareo a uno naturale. Però, è anche evidente che moltiplicando le prestazioni più complesse si allarga il margine di rischio. Ma non c'è soltanto la chirurgia: si sbaglia anche a leggere una lastra, a refertare un campione, a somministrare i farmaci. A questo proposito vi sono decine di studi che dimostrano come la presenza del farmacista di reparto, affiancato ai medici, riduca questi incidenti. Ma in Italia il farmacista di reparto, o di dipartimento, è raro nelle strutture pubbliche e nelle case di cura private è addirittura inesistente a livello di struttura, visto che non c'è nemmeno l'obbligo ad avere la farmacia ospedaliera.
Prima di tutto capire
E allora, come primo passo, serve sapere che cosa succede realmente. Il modo c'è, ed è stato ancora una volta il senatore Marino a indicarlo. ''Occorre un provvedimento legislativo" ha spiegato "che faciliti la segnalazione spontanea degli errori in ogni dipartimento e direzione di un ospedale, garantendo la confidenzialità di questi dati, che non potranno essere usati in sede civile e penale". Questo sistema dell'audit è impiegato negli Stati Uniti, ovviamente, Australia, Germania, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Spagna. "Negli ospedali statunitensi ogni settimana si tiene una riunione a porte chiuse in cui vengono segnalati e discussi - ha spiegato - gli errori in sala operatoria, per esempio, della settimana precedente. Questo favorisce la trasparenza e permette la messa a punto di nuovi protocolli anti-errori". Di questo sistema il presidente della Commissione Sanità ha discusso con il presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), Amedeo Bianco, d'accordo sulla ''necessità e l'urgenza'' di un provvedimento di questo tipo. La cosa più importante, alla fine, è evitare che gli errori si ripetano e non trovare perizie che in tribunale, per citare Bruno Vespa, "incastrino" il medico.
Maurizio Imperiali
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Stime infondate
Lo conferma anche il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione Sanità, medico, chirurgo, trapiantologo con una lunga esperienza negli Stati Uniti, dopo aver ricevuto dall'Associazione italiana di oncologica medica (AIOM), le fonti su cui avrebbe basato le su dichiarazioni, dalle quali emergeva il famigerato dato dei 90 morti al giorno. Vista la documentazione, Marino ha concluso che ''sono numeri di fantasia, un artificio senza fondamento scientifico. Si tratta di puro esercizio teorico su dati estrapolati da fonti lette superficialmente e diffusi con molta approssimazione". Del resto lo stesso professor Emilio Bajetta, ha dichiarato che effettivamente è stato un errore, aggravato da una forzatura "da ufficio stampa". In sostanza, ha detto Marino, si è partiti da tre fonti: la rivista Igiene e sanità pubblica di gennaio 2003, Toscana oggi del gennaio 2002 e un lavoro sostenuto da un gruppo finanziario che vende polizze assicurative, Zurich Consulting Risk Management. "Nessuna delle tre fonti ha rilevanza scientifica" ha concluso Marino. Ma se non sono novanta, quanti sono? L'unica risposta onesta è che oggi, in Italia, non si possono dare cifre che siano frutto di studi tali da poter essere estesi alla situazione nel suo complesso. Per esempio, uno studio del 2000, condotto sulle Azioni legali che hanno coinvolto i radiologi sottolineava che molto spesso, tra il momento della denuncia e quello del fatto può passare anche molto tempo, il che rende difficile stabilire quale sia l'incidenza degli errori, cioè quanto siano frequenti, basandosi soltanto sui risvolti legali.
Non è solo chirurgia
Perché si sbaglia è una bella domanda che però ammetti diverse risposte. Per cominciare c'è l'abilità dell'operatore, e soprattutto la dimestichezza che questo ha con le procedure che deve eseguire. Ci si è ormai dimenticati delle polemiche sui piccoli ospedali con casistiche basse, ma è vero che quando un chirurgo esegue pochi interventi di un certo tipo, è più facile che vengano eseguiti male. C'è poi un altro aspetto, legato all'organizzazione dell'attività degli ospedali, ed è il sistema di pagamento della prestazione. Oggi, per le Regioni, vale il principio che ogni prestazione ha una remunerazione fissa (DRG), quindi, semplificando ma non troppo, le amministrazioni premono sui reparti per fatturare e meno tempo ci si mette, più si fattura. Un'altra conseguenza di questo sistema è che alle strutture ospedaliere "conviene" applicare procedure intrinsecamente pagate meglio: tanto per fare un esempio, preferire il by-pass a un'angioplastica e un parto cesareo a uno naturale. Però, è anche evidente che moltiplicando le prestazioni più complesse si allarga il margine di rischio. Ma non c'è soltanto la chirurgia: si sbaglia anche a leggere una lastra, a refertare un campione, a somministrare i farmaci. A questo proposito vi sono decine di studi che dimostrano come la presenza del farmacista di reparto, affiancato ai medici, riduca questi incidenti. Ma in Italia il farmacista di reparto, o di dipartimento, è raro nelle strutture pubbliche e nelle case di cura private è addirittura inesistente a livello di struttura, visto che non c'è nemmeno l'obbligo ad avere la farmacia ospedaliera.
Prima di tutto capire
E allora, come primo passo, serve sapere che cosa succede realmente. Il modo c'è, ed è stato ancora una volta il senatore Marino a indicarlo. ''Occorre un provvedimento legislativo" ha spiegato "che faciliti la segnalazione spontanea degli errori in ogni dipartimento e direzione di un ospedale, garantendo la confidenzialità di questi dati, che non potranno essere usati in sede civile e penale". Questo sistema dell'audit è impiegato negli Stati Uniti, ovviamente, Australia, Germania, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Spagna. "Negli ospedali statunitensi ogni settimana si tiene una riunione a porte chiuse in cui vengono segnalati e discussi - ha spiegato - gli errori in sala operatoria, per esempio, della settimana precedente. Questo favorisce la trasparenza e permette la messa a punto di nuovi protocolli anti-errori". Di questo sistema il presidente della Commissione Sanità ha discusso con il presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), Amedeo Bianco, d'accordo sulla ''necessità e l'urgenza'' di un provvedimento di questo tipo. La cosa più importante, alla fine, è evitare che gli errori si ripetano e non trovare perizie che in tribunale, per citare Bruno Vespa, "incastrino" il medico.
Maurizio Imperiali
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