13 febbraio 2008
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Sembra un paradosso, dal momento che il ricovero ospedaliero dovrebbe essere un momento di presa in carico del paziente per riportarlo a uno stato di salute migliore di quello che aveva al suo ingresso. Eppure negli ospedali si registra un fenomeno tutt'altro che salutare: la malnutrizione. Questa condizione interessa molto spesso la popolazione anziana, a volte è causa a volte conseguenza di malattie, ma ciò che stupisce sono le dimensioni del fenomeno. Il governo inglese ha dichiarato che, tra il 2006 e il 2007, 140 mila pazienti hanno lasciato in uno stato di malnutrizione gli ospedali del National Health Service (NHS), una cifra che negli ultimi 10 anni è aumentata dell'85%. Alcuni anni fa anche i nutrizionisti dell'Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) sollevarono il problema, con riferimento a casi specifici, denunciando la diffusa mancanza di un equipe di esperti della nutrizione di supporto alla ristorazione ospedaliera.
Uno studio condotto in Svezia negli ospedali e nelle strutture residenziali dedicate al ricovero, ha rilevato che solo nel 40% dei casi pazienti e ospiti avevano un indice di massa corporea entro i limiti raccomandati e il 27% lo si poteva considerare a rischio moderato o alto di denutrizione. In entrambi i tipi di ricovero l'età media era elevata: 69 anni negli ospedali, 85 anni nelle residenze, e circa la metà di loro aveva difficoltà nel mangiare. Il problema tuttavia sfiora anche un'altra fascia di età altrettanto vulnerabile dal punto di vista della nutrizione, quella dei bambini. Ovviamente con cifre e quote più basse ma che non dovrebbero nemmeno registrarsi in un paese come la Germania, dove invece, nel 2007 un'indagine sui reparti pediatrici, su un campione di 475 bambini ricoverati ha riscontrato uno stato di malnutrizione nel 24,1% dei casi. Il 17,7% lo era leggermente, il 4,4% moderatamente, l'1,7% lo era in modo grave e la quota più alta di cattiva nutrizione è stata rilevata tra i bambini con diagnosi multipla (42,8%), con ritardo mentale (40%), con malattie infettive (34,5%) e con fibrosi cistica (33,3%). Gli stessi autori dell'indagine hanno definito la situazione osservata intollerabile, considerate le conseguenze negative a breve e lungo termine su questa fascia di età.
Il caso anglosassone è stato commentato da un editoriale del British Medical Journal in cui si segnala per altro la mancanza di strumenti di pratica clinica per rilevare lo stato di malnutrizione. Non ci sono test di laboratorio semplici e quelli biochimici specifici per lo stato nutrizionale sono di difficile comprensione, per altro condizionati dalla fase acuta di una patologia in corso. Il risultato è che spesso i pazienti denutriti all'ingresso in ospedale vengono dimessi senza che questo aspetto della loro salute abbia subito un trattamento specifico. Nel 2006, il National Institute for Health and Clinical Excellence ha raccomandato che tutti i pazienti vengano valutati e monitorati regolarmente per lo stato nutrizionale. Ma per avere uno standard in questi termini è necessario che il cibo sia di qualità (anche organolettica) e che ci sia una parte dello staff ospedaliero dedicato alla somministrazione del pasto ai pazienti non autosufficienti o comunque in difficoltà. La nutrizione, dicono gli esperti (e il buon senso), e il supporto quando necessario, deve essere una parte integrante del trattamento medico e della presa in carico del paziente assistito, al pari dei farmaci che vengono somministrati. Tuttavia, in Inghilterra, come probabilmente altrove, inclusa l'Italia, la ristorazione ospedaliera è affidata a servizi di catering che mancano di una formazione in nutrizione che invece andrebbe professionalmente validata. Inoltre, la maggior parte degli ospedali manca di una figura medica che supervisioni la complessità della nutrizione da quella artificiale, per via parenterale a quella con cibo normale. Nelle considerazioni finali gli autori dell'editoriale indicano come soluzione al problema della malnutrizione negli ospedali, la promozione della nutrizione umana a disciplina sulla quale tutti i laureati in medicina dovrebbero raggiungere un livello minimo inderogabile di competenza.
Simona Zazzetta
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Fasce vulnerabili
Uno studio condotto in Svezia negli ospedali e nelle strutture residenziali dedicate al ricovero, ha rilevato che solo nel 40% dei casi pazienti e ospiti avevano un indice di massa corporea entro i limiti raccomandati e il 27% lo si poteva considerare a rischio moderato o alto di denutrizione. In entrambi i tipi di ricovero l'età media era elevata: 69 anni negli ospedali, 85 anni nelle residenze, e circa la metà di loro aveva difficoltà nel mangiare. Il problema tuttavia sfiora anche un'altra fascia di età altrettanto vulnerabile dal punto di vista della nutrizione, quella dei bambini. Ovviamente con cifre e quote più basse ma che non dovrebbero nemmeno registrarsi in un paese come la Germania, dove invece, nel 2007 un'indagine sui reparti pediatrici, su un campione di 475 bambini ricoverati ha riscontrato uno stato di malnutrizione nel 24,1% dei casi. Il 17,7% lo era leggermente, il 4,4% moderatamente, l'1,7% lo era in modo grave e la quota più alta di cattiva nutrizione è stata rilevata tra i bambini con diagnosi multipla (42,8%), con ritardo mentale (40%), con malattie infettive (34,5%) e con fibrosi cistica (33,3%). Gli stessi autori dell'indagine hanno definito la situazione osservata intollerabile, considerate le conseguenze negative a breve e lungo termine su questa fascia di età.
Più competenza in cucina
Il caso anglosassone è stato commentato da un editoriale del British Medical Journal in cui si segnala per altro la mancanza di strumenti di pratica clinica per rilevare lo stato di malnutrizione. Non ci sono test di laboratorio semplici e quelli biochimici specifici per lo stato nutrizionale sono di difficile comprensione, per altro condizionati dalla fase acuta di una patologia in corso. Il risultato è che spesso i pazienti denutriti all'ingresso in ospedale vengono dimessi senza che questo aspetto della loro salute abbia subito un trattamento specifico. Nel 2006, il National Institute for Health and Clinical Excellence ha raccomandato che tutti i pazienti vengano valutati e monitorati regolarmente per lo stato nutrizionale. Ma per avere uno standard in questi termini è necessario che il cibo sia di qualità (anche organolettica) e che ci sia una parte dello staff ospedaliero dedicato alla somministrazione del pasto ai pazienti non autosufficienti o comunque in difficoltà. La nutrizione, dicono gli esperti (e il buon senso), e il supporto quando necessario, deve essere una parte integrante del trattamento medico e della presa in carico del paziente assistito, al pari dei farmaci che vengono somministrati. Tuttavia, in Inghilterra, come probabilmente altrove, inclusa l'Italia, la ristorazione ospedaliera è affidata a servizi di catering che mancano di una formazione in nutrizione che invece andrebbe professionalmente validata. Inoltre, la maggior parte degli ospedali manca di una figura medica che supervisioni la complessità della nutrizione da quella artificiale, per via parenterale a quella con cibo normale. Nelle considerazioni finali gli autori dell'editoriale indicano come soluzione al problema della malnutrizione negli ospedali, la promozione della nutrizione umana a disciplina sulla quale tutti i laureati in medicina dovrebbero raggiungere un livello minimo inderogabile di competenza.
Simona Zazzetta
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