Piccoli e difficili da valutare

25 luglio 2008
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Piccoli e difficili da valutare



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Quando si parla di salute, in particolare della propria, o dei propri cari, si cerca e si vuole il meglio, dal medico di base fino all'ospedale in cui essere ricoverati qualora fosse necessario. Scelta piuttosto semplice quando i riferimenti sono centri di eccellenza o grandi ospedali, di chiara fama o dove opera uno specialista di fiducia. Più difficile quando, magari, si vive in aree urbane più piccole dove l'ospedale di prossimità, con servizi di base sembra non dare grande affidamento. Eppure tale apparenza, reale o meno, di inaffidabilità si può cancellare con una valutazione più esatta, e soprattutto oggettiva. E gli strumenti per farla, o per tentare di farla, ci sono. Arrivano dagli Stati Uniti, dove, in un sistema non assistenziale ma basato, anche in questo settore sulla libera concorrenza, dimostrare la qualità del servizio fa la differenza.

Oscillazioni previste


Per incoraggiare le strutture ospedaliere a raggiungere prestazioni di eccellenza, gli analisti statunitensi forniscono, come riferimento massimo per i risultati da raggiungere, i "top medical centers". Gli ospedali designati come centro medico migliore, oltre al riconoscimento pubblico che gli assegna credibilità, possono anche ricevere premi e fondi nell'ambito di programmi finalizzati al miglioramento delle prestazioni. Tuttavia, la misurazione delle prestazioni è soggetta a fluttuazioni ed è maggiormente suscettibile quando le dimensioni del campione di casi osservati è piccolo, come accade nei piccoli ospedali dove la mole di ricoveri non è così importante come in un grande centro. Gli analisti sono quindi consapevoli che, oltre alla misurazione della qualità delle prestazioni, anche la stessa designazione di top hospital può derivare da metodi che portano a conclusioni non esenti da tali oscillazioni. Grazie a un'iniziativa su larga scala, chiamata Hospital Quality Alliance Improving Care Through Information (HQA-ICTI), a cui hanno collaborato ospedali pubblici e privati, un'equipe di ricercatori ha potuto raccogliere dati sulla qualità dei servizi resi ai pazienti, in particolare nei reparti di terapia acuta. Arrivando alla conclusione che la dimensione dell'ospedale e delle prestazioni erogate aveva un reale peso nel modificare la valutazione.

Metodi diversi per dimensioni diverse


In genere gli indicatori adottati sono le misurazioni dei processi di cura dell'infarto acuto, dell'insufficienza cardiaca, della polmonite acquisita in comunità e della prevenzione delle infezioni chirurgiche. Nel caso specifico, gli analisti hanno selezionato gli indicatori di prestazione per l'infarto acuto e, con i dati in mano, hanno poi effettuato alcuni confronti tra i diversi metodi usati per verificare se i risultati restavano costanti o subivano oscillazioni. Hanno riscontrato che anche negli Stati Uniti i piccoli ospedali non mancano: circa un terzo dei quasi 4000 ospedali esaminati avevano meno di 25 casi per tutte le misurazioni di prestazione del processo di cura dell'infarto. In generale il campione disponibile su cui hanno accertato le prestazioni oscillava da tre pazienti fino a 62, riscontrando che nei piccoli ospedali la quota di pazienti che riceveva cure dettate dalla medicina basata sulle evidenze era sensibilmente più bassa rispetto a quella che le riceveva negli ospedali più grandi. Una differenza probabilmente basata sulla diversa esperienza del personale medico e gestione delle risorse che nei grandi centri ha permesso di migliorare la qualità dell'assistenza. Nonostante ciò, quando si andava ad assegnare la designazione di top hospital, questa, paradossalmente, andava con maggiori probabilità laddove c'era un minor volume di pazienti. Inoltre usando metodi diversi per elaborare i dati si ottenevano risultati sempre diversi che andavano in direzioni opposte, a conferma che la diversa dimensione del campione osservato modificava il risultato finale di valutazione della prestazione. La tentazione degli autori è stata di escludere i piccoli ospedali dall'analisi, ma in realtà hanno poi trovato metodi alternativi, per esempio prolungando il tempo di osservazione, permettendo così ai piccoli centri di crescere e migliorarsi. E anche di presentazione dei dati in una forma maggiormente fruibile per il pubblico, per esempio con valori di frequenza anziché di percentuali. Gli stessi autori parlano di una complessità difficile da sciogliere che in quanto tale spinge nella direzione di continuare a fare distinzione tra il piccolo e il grande.

Simona Zazzetta



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