26 maggio 2004
Aggiornamenti e focus
Ospedale a quattro stelle
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E' consolante che a far discutere siano i giornali, e la sanità, anziché i reality show. C'è riuscito il Corriere Salute, con un'inchiesta sugli ospedali e in genere sulle strutture di ricovero. Obiettivo, naturalmente, indicare i centri di eccellenza. Non è la prima volta che la stampa conduce indagini di questo genere. Ancora una decina di anni fa si cimentò Panorama, con un elenco piuttosto lungo dei migliori professionisti su piazza. Iniziativa replicata dal settimanale qualche tempo dopo, con aggiunta di orari di studio.
Nelle iniziative precedenti a quella del Corriere Salute è sempre restato poco esplicitato il criterio in base al quale veniva data la pagella. In quest'ultimo caso il criterio c'è: gli studi pubblicati dai medici delle diverse strutture. In effetti è un criterio oggettivo, che vanta una vera e propria sistematizzazione. I lavori vengono, infatti, giudicati in base all'autorevolezza della rivista che li ospita (impact factor), ma anche sul numero di citazioni che dello studio vengono fatte in altre pubblicazioni. Cioè, in definitiva, quanto è stato effettivamente interessante lo studio.
Nonostante questo, anche questa inchiesta ha sollevato critiche da parte dei medici. Al centro della questione arriva subito il professor Gino Luporini, presidente della Federazione Italiana delle Società Medico Scientifiche: "le critiche non mettono in discussione gli esiti dell'indagine, eseguita sulla base di parametri di valutazione chiaramente espressi (impact factor, citation index,...) anche se incompleti e insufficienti allo scopo, quanto la lettura che degli stessi esiti verrà fatta dal grande pubblico, avendo scelto, come veicolo di comunicazione, un giornale rivolto a questo target. Non si può costruire una graduatoria dei centri di cura basata essenzialmente sulla produttività degli stessi in termini di pubblicazioni scientifiche e veicolare il tutto come '...una guida per sapere dove rivolgersi'. Infatti, gli ammalati scelgono la struttura sanitaria in cui farsi curare pensando all'esito della cura di cui potranno beneficiare, al livello generale dell'attrezzatura e dell' assistenza, alla modalità di accoglienza e di rapporto umano e al rispetto delle esigenze dei loro parenti". Riassumendo, un conto è fare ricerca, un altro fare assistenza, anche se l'attenzione alle pubblicazioni potrebbe evitare certe infatuazioni, come quella per la terapia Di Bella (pubblicazioni: zero). Riferirsi alle sole pubblicazioni non è però criterio infallibile: esiste da tempo un buon numero di esperti (anche direttori di riviste come Lancet) che hanno denunciato come si pubblichino sempre più spesso studi che hanno il solo merito di avere sponsor, mentre è da tempo nota la pratica di citarsi a vicenda, così da far salire i punteggi. Per carità, non è certo un dato generale o prevalente, ma è per dire che anche questo sistema una pecca ce l'ha.
Del resto non è una questione di semplice risoluzione. Nel caso della chirurgia, per esempio, da tempo gli studi dedicati a valutare la qualità delle prestazioni hanno cominciato a basarsi su un altro principio: il numero di interventi eseguito. In effetti soprattutto per queste prestazioni conta molto quanto l'équipe chirurgica, e non solo il chirurgo, ha "fatto la mano" a quel tipo di intervento. In effetti poi c'è stata una ulteriore sottodivisione: conta quanti interventi fa il reparto o quanti ne esegue il singolo medico? La discussione è aperta, ma sembra che quest'ultimo parametro sia piuttosto importante. Insomma: la casistica è fondamentale, tanto che negli Stati Uniti è sostanzialmente un dato pubblico, visto che gli uffici statali mettono a disposizione i dati per ciascun iscritto. D'altra parte laddove esistono linee guida per i centri di alta specialità, il numero minimo di interventi l'anno è uno dei requisiti fondamentali. Accade anche in Italia, per esempio nel caso degli interventi di angioplastica. E, se si vuole, è lo stesso criterio che sta alla base della scelta di ristrutturare la rete ospedaliera sopprimendo gli ospedali piccoli: hanno pochi casi ogni anno e con così poca pratica è difficile riuscire ad acquisire una padronanza delle tecniche (se si vuole anche diagnostiche) sufficiente: vale anche per i parti, non soltanto per i trapianti di cuore...
Lo stesso Ministero ha cominciato qualche anno fa a indicare centri di alta specializzazione, per esempio in cardiochirurgia. Però questo non significa che anche per interventi ormai diventati di routine, per esempio un by-pass coronarico, ci si debba per forza trasferire al centro di alta specializzazione.
Insomma, trovare il modo di indicare ai pazienti "dove rivolgersi" non è semplice e qualsiasi classificazione può rivelarsi parziale. D'altra parte non si può neppure pensare che la necessità non esista. E non soltanto da parte del pubblico: si dice ormai ogni giorno che le risorse sono poche, che non si possono fare investimenti a pioggia, che i fondi vanno assegnati oculatamente... Per fare questo si dovrà pur stabilire un criterio che sia per quanto possibile oggettivo, concreto, e magari trasparente per il cittadino. Sennò ci pensano i giornali.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Nelle iniziative precedenti a quella del Corriere Salute è sempre restato poco esplicitato il criterio in base al quale veniva data la pagella. In quest'ultimo caso il criterio c'è: gli studi pubblicati dai medici delle diverse strutture. In effetti è un criterio oggettivo, che vanta una vera e propria sistematizzazione. I lavori vengono, infatti, giudicati in base all'autorevolezza della rivista che li ospita (impact factor), ma anche sul numero di citazioni che dello studio vengono fatte in altre pubblicazioni. Cioè, in definitiva, quanto è stato effettivamente interessante lo studio.
Basta un solo criterio?
Nonostante questo, anche questa inchiesta ha sollevato critiche da parte dei medici. Al centro della questione arriva subito il professor Gino Luporini, presidente della Federazione Italiana delle Società Medico Scientifiche: "le critiche non mettono in discussione gli esiti dell'indagine, eseguita sulla base di parametri di valutazione chiaramente espressi (impact factor, citation index,...) anche se incompleti e insufficienti allo scopo, quanto la lettura che degli stessi esiti verrà fatta dal grande pubblico, avendo scelto, come veicolo di comunicazione, un giornale rivolto a questo target. Non si può costruire una graduatoria dei centri di cura basata essenzialmente sulla produttività degli stessi in termini di pubblicazioni scientifiche e veicolare il tutto come '...una guida per sapere dove rivolgersi'. Infatti, gli ammalati scelgono la struttura sanitaria in cui farsi curare pensando all'esito della cura di cui potranno beneficiare, al livello generale dell'attrezzatura e dell' assistenza, alla modalità di accoglienza e di rapporto umano e al rispetto delle esigenze dei loro parenti". Riassumendo, un conto è fare ricerca, un altro fare assistenza, anche se l'attenzione alle pubblicazioni potrebbe evitare certe infatuazioni, come quella per la terapia Di Bella (pubblicazioni: zero). Riferirsi alle sole pubblicazioni non è però criterio infallibile: esiste da tempo un buon numero di esperti (anche direttori di riviste come Lancet) che hanno denunciato come si pubblichino sempre più spesso studi che hanno il solo merito di avere sponsor, mentre è da tempo nota la pratica di citarsi a vicenda, così da far salire i punteggi. Per carità, non è certo un dato generale o prevalente, ma è per dire che anche questo sistema una pecca ce l'ha.
Quanto conta la pratica
Del resto non è una questione di semplice risoluzione. Nel caso della chirurgia, per esempio, da tempo gli studi dedicati a valutare la qualità delle prestazioni hanno cominciato a basarsi su un altro principio: il numero di interventi eseguito. In effetti soprattutto per queste prestazioni conta molto quanto l'équipe chirurgica, e non solo il chirurgo, ha "fatto la mano" a quel tipo di intervento. In effetti poi c'è stata una ulteriore sottodivisione: conta quanti interventi fa il reparto o quanti ne esegue il singolo medico? La discussione è aperta, ma sembra che quest'ultimo parametro sia piuttosto importante. Insomma: la casistica è fondamentale, tanto che negli Stati Uniti è sostanzialmente un dato pubblico, visto che gli uffici statali mettono a disposizione i dati per ciascun iscritto. D'altra parte laddove esistono linee guida per i centri di alta specialità, il numero minimo di interventi l'anno è uno dei requisiti fondamentali. Accade anche in Italia, per esempio nel caso degli interventi di angioplastica. E, se si vuole, è lo stesso criterio che sta alla base della scelta di ristrutturare la rete ospedaliera sopprimendo gli ospedali piccoli: hanno pochi casi ogni anno e con così poca pratica è difficile riuscire ad acquisire una padronanza delle tecniche (se si vuole anche diagnostiche) sufficiente: vale anche per i parti, non soltanto per i trapianti di cuore...
Lo stesso Ministero ha cominciato qualche anno fa a indicare centri di alta specializzazione, per esempio in cardiochirurgia. Però questo non significa che anche per interventi ormai diventati di routine, per esempio un by-pass coronarico, ci si debba per forza trasferire al centro di alta specializzazione.
Insomma, trovare il modo di indicare ai pazienti "dove rivolgersi" non è semplice e qualsiasi classificazione può rivelarsi parziale. D'altra parte non si può neppure pensare che la necessità non esista. E non soltanto da parte del pubblico: si dice ormai ogni giorno che le risorse sono poche, che non si possono fare investimenti a pioggia, che i fondi vanno assegnati oculatamente... Per fare questo si dovrà pur stabilire un criterio che sia per quanto possibile oggettivo, concreto, e magari trasparente per il cittadino. Sennò ci pensano i giornali.
Maurizio Imperiali
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