16 febbraio 2005
Aggiornamenti e focus
Cuori d'atleta più tutelati in Italia
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Per una volta è l'Italia a dare la direzione giusta in fatto di linee guida e lo fa in contrapposizione alle vedute statunitensi. Il tema è la prevenzione delle morti per cause cardiovascolari negli sportivi. Nel mondo anglosassone, e anche in buona parte dell'Europa, le visite medico sportive per l'idoneità alla pratica agonistica, che non significa necessariamente fare competizioni nazionali o internazionali, si basa sulla raccolta della storia clinica e sull'esame obiettivo. L'Italia fa eccezione, da ben 25 anni, in quanto prevede che in aggiunta venga eseguito un elettrocardiogramma a 12 derivazioni. Non è che negli altri paesi non si conosca questo test ma, come nel caso degli Stati Uniti, si ritiene che il bilancio tra costi e benefici non sia vantaggioso. In altre parole, secondo i medici statunitensi l'esame non sarebbe abbastanza specifico da permettere di individuare un numero di persone che effettivamente corrono pericoli abbastanza grandi da giustificare l'esecuzione del test in tutti gli aspiranti sportivi.
Ora a smentire questa interpretazione viene la pubblicazione della proposta di protocollo per lo screening dei giovani atleti preparata dai comitati specialistici della European Society of Cardiology. I cardiologi europei, infatti, hanno tenuto conto dell'esperienza italiana e hanno ritenuto che ci siano ottime prove per consigliare l'esecuzione dell'elettrocardiogramma in tutti i casi e per almeno due buoni motivi. Il primo è che con questo esame relativamente semplice si possono identificare i casi di ipertrofia del miocardio, che sono la causa più frequente di morte cardiovascolare negli sportivi; il secondo è che possono essere intercettate anche altre malattie cardiologiche potenzialmente fatali. Come ha spiegato Domenico Corrado, dell'Università di Padova "non è vero quindi che il test sia poco specifico: il tracciato dell'elettrocardiogramma è risultato anomalo nel 95% dei pazienti in cui è stata poi dimostrata la presenza di questa malattia".
E poi, vi sono altri numeri: in 17 anni, in Italia, a seguito dell'esecuzione del test in 34 mila atleti di età inferiore a 35 anni è stata negata l'autorizzazione a 621 persone affette da cardiomiopatia ipertrofica, centinaia di persone che, senza il test di routine, avrebbero corso il rischio di morire in campo o di andare comunque incontro a gravi incidenti. Questo, peraltro non è che uno degli studi condotti al riguardo. D'altra parte, anche l'epidemiologia lo conferma. Mentre nella popolazione generale la quota di morti dovute a malattia ipertrofica sono uguali in Italia come negli Stati Uniti, se si guarda l'incidenza tra gli sportivi la differenza è enorme: il 2% in Italia e il 24% Oltreatlantico. Secondo la proposta dei cardiologi europei, l'elettrocardiogramma dovrebbe dunque diventare lo standard in tutta Europa. In questo modo, secondo le stime riportate dal professor Corrado la misura permetterebbe di ridurre del 50-70% le morti cardiache tra gli sportivi. Non male per un esame poco tecnologico e facilmente eseguibile...
Maurizio Imperiali
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...e inoltre su Dica33:
L'Europa ha un'altra idea
Ora a smentire questa interpretazione viene la pubblicazione della proposta di protocollo per lo screening dei giovani atleti preparata dai comitati specialistici della European Society of Cardiology. I cardiologi europei, infatti, hanno tenuto conto dell'esperienza italiana e hanno ritenuto che ci siano ottime prove per consigliare l'esecuzione dell'elettrocardiogramma in tutti i casi e per almeno due buoni motivi. Il primo è che con questo esame relativamente semplice si possono identificare i casi di ipertrofia del miocardio, che sono la causa più frequente di morte cardiovascolare negli sportivi; il secondo è che possono essere intercettate anche altre malattie cardiologiche potenzialmente fatali. Come ha spiegato Domenico Corrado, dell'Università di Padova "non è vero quindi che il test sia poco specifico: il tracciato dell'elettrocardiogramma è risultato anomalo nel 95% dei pazienti in cui è stata poi dimostrata la presenza di questa malattia".
Dimezzare le morti in campo
E poi, vi sono altri numeri: in 17 anni, in Italia, a seguito dell'esecuzione del test in 34 mila atleti di età inferiore a 35 anni è stata negata l'autorizzazione a 621 persone affette da cardiomiopatia ipertrofica, centinaia di persone che, senza il test di routine, avrebbero corso il rischio di morire in campo o di andare comunque incontro a gravi incidenti. Questo, peraltro non è che uno degli studi condotti al riguardo. D'altra parte, anche l'epidemiologia lo conferma. Mentre nella popolazione generale la quota di morti dovute a malattia ipertrofica sono uguali in Italia come negli Stati Uniti, se si guarda l'incidenza tra gli sportivi la differenza è enorme: il 2% in Italia e il 24% Oltreatlantico. Secondo la proposta dei cardiologi europei, l'elettrocardiogramma dovrebbe dunque diventare lo standard in tutta Europa. In questo modo, secondo le stime riportate dal professor Corrado la misura permetterebbe di ridurre del 50-70% le morti cardiache tra gli sportivi. Non male per un esame poco tecnologico e facilmente eseguibile...
Maurizio Imperiali
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