29 novembre 2006
Aggiornamenti e focus
Correggere con parsimonia
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Un rene che non funziona, oltre a essere un cattivo filtro per il sangue, riduce anche la produzione di un ormone, l'eritropoietina, che a sua volta produce i globuli rossi. Il risultato clinico è che nella maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica si sviluppa anemia, cosa che nel passato li obbligava a trasfusioni di sangue con i rischi connessi. Dalla fine degli anni '80, l'avvento della eritropoietina ricombinante sembrava aver risolto il problema, ma non senza portarne altri. Infatti, vi sono stati casi di aplasia pura della serie rossa, caratterizzata dalla distruzione nel midollo osseo delle cellule progenitrici dei globuli rossi. In effetti a distanza di anni non è ancora chiaro quale sia il livello di emoglobina a cui bisogna iniziare la somministrazione di eritropoietina e quale sia quello da raggiungere.
Le raccomandazioni attuali indicano di trattare l'anemia provocata dall'insufficienza renale cronica quando i valori dell'emoglobina scendono sotto i 9 grammi per decilitro per arrivare ad averne almeno 11, facendo attenzione a non superare i 13 g/dl. Ma queste raccomandazioni non sono basate su studi convincenti. Per altro in due dei più recenti pubblicati da New England, i risultati della correzione dei valori di emoglobina non sembra che portino a grandi benefici. In un caso, nello studio CHOIR, per esempio, arrivare a un livello di 13,5 g/dl comportava un aumento del rischio cardiovascolare, rispetto a valori di 11,5 g/dl, senza alcun miglioramento della qualità della vita. Erano infatti più frequenti i casi di decesso, di infarto, di ricovero per insufficienza cardiaca e di ictus, e non accennavano a diminuire nemmeno nello studio CREATE, dove non si registravano riduzioni dell'incidenza di questi eventi a fronte della completa correzione dell'emoglobina. Anche in questo secondo studio veniva confrontata la correzione a 13-15 g/dl con quella parziale a 10,5-11,5 g/dl.
Ma non è la prima volta che le aspettative di beneficio vengono disattese, in altri studi su pazienti dializzati, la normalizzazione del livello di emoglobina non aveva fatto registrare miglioramenti della funzionalità ventricolare sinistra. Questi risultati sono apparentemente strani, in quanto un ematocrito più alto dovrebbe assicurare una migliore diffusione dell'ossigeno nei tessuti. Ma la correzione completa dell'anemia può comportare sia l'aumento della pressione sanguigna, del rischio di trombosi e accentuare la vasocostrizione. In effetti nello studio CREATE i pazienti che avevano raggiungo livelli di emoglobina più alti mostravano ipertensione più frequentemente dei pazienti con livelli minori. Le variazioni dell'ematocrito si traducono in cambiamenti di viscosità e densità del sangue che si ripercuotono sulla fisiologia della circolazione sanguigna. Gli esperti che si dedicano a questo ambito della ricerca riconoscono che le attuali linee guida sono incomplete e necessitano di maggiori informazioni per poter stabilire quanto correggere l'anemia in questa popolazione di pazienti. Sono in corso studi che confrontano le due possibilità di correzione, parziale o completa, ma stando alle attuali conoscenze, si considera più saggio adottare molta cautela, se non addirittura evitare la correzione completa.
Simona Zazzetta
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Le raccomandazioni attuali indicano di trattare l'anemia provocata dall'insufficienza renale cronica quando i valori dell'emoglobina scendono sotto i 9 grammi per decilitro per arrivare ad averne almeno 11, facendo attenzione a non superare i 13 g/dl. Ma queste raccomandazioni non sono basate su studi convincenti. Per altro in due dei più recenti pubblicati da New England, i risultati della correzione dei valori di emoglobina non sembra che portino a grandi benefici. In un caso, nello studio CHOIR, per esempio, arrivare a un livello di 13,5 g/dl comportava un aumento del rischio cardiovascolare, rispetto a valori di 11,5 g/dl, senza alcun miglioramento della qualità della vita. Erano infatti più frequenti i casi di decesso, di infarto, di ricovero per insufficienza cardiaca e di ictus, e non accennavano a diminuire nemmeno nello studio CREATE, dove non si registravano riduzioni dell'incidenza di questi eventi a fronte della completa correzione dell'emoglobina. Anche in questo secondo studio veniva confrontata la correzione a 13-15 g/dl con quella parziale a 10,5-11,5 g/dl.
Completa fa male
Ma non è la prima volta che le aspettative di beneficio vengono disattese, in altri studi su pazienti dializzati, la normalizzazione del livello di emoglobina non aveva fatto registrare miglioramenti della funzionalità ventricolare sinistra. Questi risultati sono apparentemente strani, in quanto un ematocrito più alto dovrebbe assicurare una migliore diffusione dell'ossigeno nei tessuti. Ma la correzione completa dell'anemia può comportare sia l'aumento della pressione sanguigna, del rischio di trombosi e accentuare la vasocostrizione. In effetti nello studio CREATE i pazienti che avevano raggiungo livelli di emoglobina più alti mostravano ipertensione più frequentemente dei pazienti con livelli minori. Le variazioni dell'ematocrito si traducono in cambiamenti di viscosità e densità del sangue che si ripercuotono sulla fisiologia della circolazione sanguigna. Gli esperti che si dedicano a questo ambito della ricerca riconoscono che le attuali linee guida sono incomplete e necessitano di maggiori informazioni per poter stabilire quanto correggere l'anemia in questa popolazione di pazienti. Sono in corso studi che confrontano le due possibilità di correzione, parziale o completa, ma stando alle attuali conoscenze, si considera più saggio adottare molta cautela, se non addirittura evitare la correzione completa.
Simona Zazzetta
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