02 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus
Rischio per lei e per lui
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L'osteoporosi è una condizione che espone al rischio frattura non solo le donne, pur penalizzate dalla menopausa, ma anche gli uomini; per entrambi vanno prese in considerazione strategie (stile di vita, non solo farmaci) per evitare sia il primo evento sia i successivi, cioè prevenzione primaria e secondaria. Che questo sia un problema crescente nella nostra società che invecchia e che da una certa età riguardi entrambi i sessi lo dimostrano anche le recentissime modifiche prescrittive di farmaci antiosteoporosi con il Sistema sanitario nazionale, mentre tra le evidenze epidemiologiche giunge ora una chiara conferma da uno studio prospettico australiano.
Nella nuova nota 79 della CUF (Commissione Unica del Farmaco) infatti, entrata in vigore il 15 gennaio, la prescrivibilità dei farmaci antiosteoporosi è estesa anche per la prevenzione primaria a "soggetti" oltre i 50 anni di età con due specifiche soglie minime di densità minerale ossea (BMD), sotto le quali è giustificato intervenire perché il rischio di frattura a dieci anni risulta superiore al 10%. Questo in aggiunta alla possibilità, già prevista, sia di prevenzione primaria in pazienti ultra 50enni in terapia prolungata con corticosteroidi, sia di quella secondaria in persone che avevano appunto già subito fratture osteoporotiche. Le terapie previste dipendono dalle diverse categorie e per quanto riguarda le principali molecole, i bifosfonati, è prevista l'associazione con la vitamina D3. Ma viene anche raccomandato, prima di ricorrere ai farmaci, un apporto adeguato di calcio e vitamina D, ricorrendo alla supplementazione qualora la dieta e l'esposizione solare non lo garantiscano (come risulta di frequente negli anziani); sempre nell'ottica della prevenzione si ricorda che vanno previsti esercizio fisico, sospensione del fumo, eliminazione di condizioni ambientali e individuali favorenti i traumi, infine che per tutti i principi attivi va considerato il rapporto rischi/benefici e vanno osservate le indicazioni e le avvertenze dei foglietti illustrativi.
Prevenzione primaria e prevenzione secondaria, dunque. Quest'ultima sulla base di evidenze consistenti che una prima frattura osteoporotica espone al rischio di successive: eppure la consapevolezza sulla relativa importanza del primo evento rispetto ai successivi è ancora insufficiente, soprattutto per quanto riguarda il sesso maschile. E' quanto rilevano gli autori di uno studio prospettico con caratteristiche inedite, a loro conoscenza, che ha esaminato la probabilità sul lungo periodo (16 anni) di vari tipi di frattura successiva a una a bassa traumaticità dovuta a osteoporosi, in 905 uomini e 337 donne dai 60 anni in su residenti nella cittadina di Dubbo, in Australia. Fatti tutti gli aggiustamenti statistici, questi, in sintesi, i risultati della ricerca attuale che fa parte del Dubbo Osteoporosis Epidemiology Study. Il rischio assoluto di nuovo evento è risultato simile nei due sessi per tutti i tipi di frattura e in seguito a qualunque frattura iniziale tranne che per la caviglia nella donna e le costole nell'uomo; il rischio relativo maggiore negli uomini più giovani è stato per la localizzazione femorale e vertebrale; la probabilità di nuovo evento in entrambi i sessi era almeno pari a quella del primo in donne di dieci anni più anziane o in uomini di vent'anni più vecchi. L'incremento del rischio assoluto si è mantenuto nell'arco di più di dieci anni, durante i quali il 40% delle donne sopravvissute e il 60% degli uomini ha avuto un'altra frattura; la maggioranza si è verificata nei primi cinque anni dopo l'evento iniziale. Nelle analisi multivariate gli elementi predittivi di nuova frattura sono stati gli stessi della prima, per le donne principalmente la BMD del collo del femore, l'età, il fumo e per gli uomini la stessa BMD, l'attività fisica e l'assunzione di calcio. Secondo questi riscontri, concludono gli autori, virtualmente tutte le fratture a bassa traumaticità indicano la necessità di terapie per prevenire successivi eventi, terapie che non andrebbero ritardate data la precocità con la quale si verificano, mentre varie ricerche hanno mostrato che sono trattati meno del 30% delle donne in post-menopausa e meno del 10% degli uomini con prima frattura; per questi ultimi, in particolare, occorre una maggiore sensibilizzazione.
Elettra Vecchia
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La nuova nota CUF
Nella nuova nota 79 della CUF (Commissione Unica del Farmaco) infatti, entrata in vigore il 15 gennaio, la prescrivibilità dei farmaci antiosteoporosi è estesa anche per la prevenzione primaria a "soggetti" oltre i 50 anni di età con due specifiche soglie minime di densità minerale ossea (BMD), sotto le quali è giustificato intervenire perché il rischio di frattura a dieci anni risulta superiore al 10%. Questo in aggiunta alla possibilità, già prevista, sia di prevenzione primaria in pazienti ultra 50enni in terapia prolungata con corticosteroidi, sia di quella secondaria in persone che avevano appunto già subito fratture osteoporotiche. Le terapie previste dipendono dalle diverse categorie e per quanto riguarda le principali molecole, i bifosfonati, è prevista l'associazione con la vitamina D3. Ma viene anche raccomandato, prima di ricorrere ai farmaci, un apporto adeguato di calcio e vitamina D, ricorrendo alla supplementazione qualora la dieta e l'esposizione solare non lo garantiscano (come risulta di frequente negli anziani); sempre nell'ottica della prevenzione si ricorda che vanno previsti esercizio fisico, sospensione del fumo, eliminazione di condizioni ambientali e individuali favorenti i traumi, infine che per tutti i principi attivi va considerato il rapporto rischi/benefici e vanno osservate le indicazioni e le avvertenze dei foglietti illustrativi.
Anche lui rischia il secondo evento
Prevenzione primaria e prevenzione secondaria, dunque. Quest'ultima sulla base di evidenze consistenti che una prima frattura osteoporotica espone al rischio di successive: eppure la consapevolezza sulla relativa importanza del primo evento rispetto ai successivi è ancora insufficiente, soprattutto per quanto riguarda il sesso maschile. E' quanto rilevano gli autori di uno studio prospettico con caratteristiche inedite, a loro conoscenza, che ha esaminato la probabilità sul lungo periodo (16 anni) di vari tipi di frattura successiva a una a bassa traumaticità dovuta a osteoporosi, in 905 uomini e 337 donne dai 60 anni in su residenti nella cittadina di Dubbo, in Australia. Fatti tutti gli aggiustamenti statistici, questi, in sintesi, i risultati della ricerca attuale che fa parte del Dubbo Osteoporosis Epidemiology Study. Il rischio assoluto di nuovo evento è risultato simile nei due sessi per tutti i tipi di frattura e in seguito a qualunque frattura iniziale tranne che per la caviglia nella donna e le costole nell'uomo; il rischio relativo maggiore negli uomini più giovani è stato per la localizzazione femorale e vertebrale; la probabilità di nuovo evento in entrambi i sessi era almeno pari a quella del primo in donne di dieci anni più anziane o in uomini di vent'anni più vecchi. L'incremento del rischio assoluto si è mantenuto nell'arco di più di dieci anni, durante i quali il 40% delle donne sopravvissute e il 60% degli uomini ha avuto un'altra frattura; la maggioranza si è verificata nei primi cinque anni dopo l'evento iniziale. Nelle analisi multivariate gli elementi predittivi di nuova frattura sono stati gli stessi della prima, per le donne principalmente la BMD del collo del femore, l'età, il fumo e per gli uomini la stessa BMD, l'attività fisica e l'assunzione di calcio. Secondo questi riscontri, concludono gli autori, virtualmente tutte le fratture a bassa traumaticità indicano la necessità di terapie per prevenire successivi eventi, terapie che non andrebbero ritardate data la precocità con la quale si verificano, mentre varie ricerche hanno mostrato che sono trattati meno del 30% delle donne in post-menopausa e meno del 10% degli uomini con prima frattura; per questi ultimi, in particolare, occorre una maggiore sensibilizzazione.
Elettra Vecchia
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