Assistenza senza fondo

05 settembre 2003
Aggiornamenti e focus

Assistenza senza fondo



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L'assistenza agli anziani non è un problema medico-sanitario, o meglio non è soltanto medico-sanitario e non sempre. Molto più spesso è questione di auto-suffficienza che, quando viene a mancare per qualsiasi motivo, può anche richiedere interventi clinici, ma senz'altro richiede assistenza sociale. E quest'ultima comprende cose tanto diverse come la semplificazione delle procedure burocratiche e poter contare su una persona che fa la spesa al supermercato per l'anziano. Ovviamente quanto vale per l'anziano vale anche per chi, giovane, è comunque divenuto invalido. L'assistenza ai disbili, quindi, è l'emergenza più impellente e finora trascurata. Tanto è vero che al parlamento sono presenti diversi progetti di legge, più o meno di tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione. Problema non solo italiano ovviamente, ma che all'estero è già stato affrontato e che in inglese viene indicato come long term care (assistenza a lungo termine).

Le dimensioni del problema


Il fatto è che in Italia l'assistenza a chi non è più autosufficiente poggia ancora in misura pressoché totale sulla famiglia. La quale può aver funzionato bene finora (ma è lecito dubitarne) però certamente non potrà funzionare ancora molto a lungo. Per ragioni demografiche, visto che le famiglie sono sempre meno numerose ma in compenso aumenta il numero degli anziani, sia per ragioni economiche, visto che la necessità di pagare di tasca propria un minimo servizio di assistenza domiciliare può senza fatica distruggere i risparmi di una vita e non soltanto di cittadini a reddito basso o medio. Già l'anno scorso a questo apsetto è stato dedicato un convegno organizzato a Milano da UniSalute, prima compagnia assicurativa italiana dedicata esclusivamente al ramo salute. Lorenzo Bifone, presidente della compagnia, ha colto l'occasione per ricordare alcuni dati di fatto. Secondo l'Istat (Indagine Multiscopo 2000) un quinto della popolazione over 65, cioè due milioni di persone, va considerata disabile, dato che in proiezione passa a più di 2.700.000 entro il 2010. Quali costi comporti l'assistenza non è chiaro: 30.000 miliardi per il ministero, 21-23.000 per l'ISVAP. I fondi realmente erogati sono ovviamente inferiori: 3.000 miliardi della Finanziaria 2001 (ex legge 238), circa 8.000 miliardi stimando le indennità di accompagnamento erogate, 7.500 miliardi spesi da enti locali per assistere al domicilio o nelle residenze protette gli anziani del territorio. Quindi mancano all'appello più o meno 10.000 miliardi.

Quanto finanziare il fondo...


La risposta, apparentemente semplice, è la creazione di un nuovo Fondo che, come il Fondo sanitario o quello pensioni, copra questo particolare rischio. Tuttavia la semplicità è, appunto, apparente. Innanzitutto quanto dovrebbe "valere" questo fondo? In linea generale dovrebbe essere pari a circa l'1% del PIL, come hanno concordato tutti gli intervenuti: oltre a Bifone, Katia Zanotti, della Commissione Affari Sociali della Camera, Beniamino Lapadula, responsabile delle politiche economiche della CGIL e Aurelio Donato Candian, cattedratico di Diritto privato comparato alla LIUCC di Castellanza. Il ventaglio, però, si apre nel momento in cui si deve stabilire come alimentare il fondo. Una parte, circa lo 0,3% del PIL, c'è già (indennità di accompagnamento e quanto già si spende localmente), ma il resto? Una contribuzione aggiuntiva d'accordo, ma obbligatoria o su base volontaria? Poco praticabile l'idea di raccogliere i fondi attraverso la fiscalità generale, vista la situazione economica e sociale, anche se, ha osservato Lapadula, si potrebbe "ridurre un po' meno gli sgravi fiscali allo scopo di dotare questo fondo". Le esperienze europee sono diverse: in Germania, per esempio, questa copertura è obbligatoria e le prestazioni sono poi erogate su base solidaristica (il fondo non paga in funzione dei contributi ma delle necessità e chi è sano paga anche per chi non lo è).

...come finanziarlo...

In effetti i sistemi su base esclusivamente volontaria rischiano di non essere sufficienti "anche per la scarsa percezione che i cittadini hanno del problema" ha sottolineato Bifone. In effetti è un po' quanto accadeva conl'assicurazione per la responsabilità civile auto: il numero di chi pensava "tanto non faccio incidenti" e, quindi, non si assicurava, non era proprio trascurabile e di qui l'introduzione dell'obbligo. Scettico su questa possibilità si è dichiarato Candian, in quanto l'obbligo presuppone apparati giuridici che in Italia sono ancora da affrontare: la stessa Long Term Care non è definita legalmente. Peraltro, secondo il giurista andrebbe anche stabilito in modo più sistematico quanto si spende ora: è molto plausibile a suo avviso che una certa parte dell'assistenza sanitaria sia in realtà assistenza ai non autosufficienti per così dire mascherata. E ha citato a esempio i molti ricoveri di anziani per diagnosi generiche che fanno più pensare alla necessità di istituzionalizzazione che non a una crisi di qualche tipo. Un sistema volontario potrebbe, in una prima fase, servire anche per il monitoraggio della situazione.

...e per ottenere che cosa?

Dopo il finanziamento, anche stabilire che cosa erogare non è semplice e per due aspetti. Il primo discende dalla forma della contribuzione; il cittadino che versa i contributi lo fa per costruire a se stesso una rendita o un capitale individuale (tanto si versa, tanto si ha con le opportune rivalutazioni) oppure versa per ottenereun'indennità che scatta nel momento in cui si presenti l'evento che rende inabili. In questo caso il principio è solidaristico: si paga tutti per dare a chi presenta il bisogno (è lo stesso principio del fondo sanitario). Il sistema a capitalizzazione (il primo) è funzionale ai contributori giovani, quello indennitario ai più anziani. Ma si può avanzare un'altra obiezione: quale capitale o quale rendita costruiti individualmente sono pari a coprire la non autosufficienza per lunghi periodi? Ma poi, il trattamento erogato dal Fondo deve necessariamente fornireun'indennità monetaria oppure prestazioni? Non è detto che il cittadino sia in grado di acquistare esattamente i servizi che gli occorrono e, soprattutto, che esista un'offerta adeguata di questi servizi di assistenza. Che si imponga la ricerca di un modello nuovo è provato anche da un altro aspetto: la contribuzione in senso stretto copre i redditi da lavoro (anche dei professionisti se si tengono presenti i fondi separati: giornalisti, avvocati, medici) ma esiste il problema dei redditi non da lavoro (le rendite finanziarie per esempio) in questo caso o si autorizza l'opting-out (niente contribuzione, niente prestazione) o si deve prevedere l'organizzazione di questo aspetto. L'unica cosa che il dibattito ha indicato come certa è che non si può pensare che un bisogno di questa gravità possa essere affrontato con un sistema che si regge su un solo pilastro (pubblico o privato che sia).

Maurizio Imperiali



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