Non di solo polmone

11 settembre 2003
Aggiornamenti e focus

Non di solo polmone



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Il tabacco è giunto in Europa alla fine del Quattrocento, con l'esplorazione del continente americano e al suo arrivo passò per sostanza con proprietà medicinali... Ci vollero i secoli perché la prospettiva si rovesciasse. Infatti risale al 1950 il primo studio epidemiologico nel quale si concludeva che"il fumo è un fattore, un fattore importante, nella produzione del carcinoma" nello studio si avanzava inoltrela conclusione che il rischio di sviluppare la malattia crescesse con il crescere del consumo di tabacco. In realtà per tutto ilXIX secolo si erano andate accumulando le prove che il numero dei tumori polmonari stesse aumentando, ma fino alla metà del XX secolo si riteneva che fossero altre le cause principali, a cominciare dall'inquinamento atmosferico dovuto a insediamenti industriali, veicoli o impianti di riscaldamento, soprattutto quelli a carbone. Questo fino allo studio citato prima, che si deve ai britannici Richard Doll e Austin Bradford Hill. Il primo, spesso in collaborazione con un altro grande epidemiologo, Richard Peto, si è dedicato non solo ad approfondire questo aspetto, ma anche tutta l'epidemiologica oncologica.

Il cancro ma non soltanto quello


Ovviamente i danni provocati dal fumo si vedono innanzitutto nell'apparato respiratorio. Brevemente, l'85% delle persone colpite da un carcinoma polmonare broncogeno o fuma o ha fumato e, rovesciando la prospettiva, chi fuma un pacchetto al giorno ha una probabilità su 8 di morire per questa causa. Il meccanismo per cui questo avviene è semplice e complesso al contempo: il fumo inalato contiene oltre 4000 tra particolati e sostanze chimiche, molte delle quali sono veri e propri carcinogeni. Anche le particelle in sospensione, peraltro, hanno un'azione irritativa meccanica che contribuisce anch'essa allo sviluppo del tumore.
Tuttavia il carcinoma non è l'unica malattia in cui si riconosce il ruolo del fumo. La broncopneumopatia cronica ostruttiva, più semplicemente detta bronchite cronica, colpisce anch'essa prevalentemente i fumatori. I malati sono al 90-95% fumatori o ex fumatori. In questo caso a entrare in gioco è sia l'azione locale sia quella sistemica del fumo che, in definitiva, si traduce in una costante infiammazione del bronco, con la conseguenza di un'ipersensibilità agli stimoli irritantiesterni. In pratica, il bronco costantemente irritato non consente il normale passaggio dell'aria e, quindi, un corretto apporto di ossigeno.
Si potrebbero citare anche altri effetti meno diretti ma ugualmente presenti. Per esempio, tra gli effetti dell'esposizione al fumo c'è la riduzione delle difese immunitarie delle vie aeree, con una maggiore esposizione quindi alle infezioni. A questa azione microscopica ne corrisponde un'altra più vistosa, che è la soppressione del riflesso della tosse. Infatti il fumatore tossisce meno facilmente e la tosse, anche se sintomo fastidioso, è un fondamentale meccanismo per mantenere la pervietà dell'albero bronchiale. Il ristagno di muco e/o catarro che ne consegue è un altro fattore che favorisce e sostiene le infezioni.

Fossero soltanto i polmoni...


...sarebbe già gravissimo, ma anche l'apparato cardiovascolare risente negativamente di questa abitudine. Sostanzialmente gli effetti del fumo possono essere divisi in acuti e a lungo termine. Tra i primi vi sono le alterazioni cosiddette emodinamiche: aumentano la frequenza cardiaca e la resistenza delle arterie, coronarie comprese, al passaggio del sangue. Conseguentemente aumenta la contrattilità del muscolo cardiaco e la sua domanda di ossigeno. Ciò significa abbassare la soglia dell'ischemia, che altro non è se non un'insufficiente ossigenzazione del muscolo cardiaco. E' invece a lungo termine l'effetto sull'attività dell'endotelio dei vasi arteriosi, cioè dello strato dei vasi direttamente a contatto con il sangue. L'endotelio ha svariate funzioni, che vanno dal mantenimento del nomale tono del vaso (quindi della pressione, in ultima analisi) all'interazione tra il vaso e le piastrine e all'adesione dei leucociti. Il fumo, anche se attraverso meccanismi non completamente chiariti, impedisce il normale funzionamento dell'endotelio, probabilmente facendo perno sulla degradazione dell'ossido nitrico prodotto dalla cellule endoteliali. In questo modo il fumo apre la strada all'aterosclerosi. Questo significa infarto ma anche ictus o le arteriopatie periferiche decisamente più frequenti nei fumatori.

In un certo senso, non c'è scampo

L'elenco potrebbe continuare con un certo numero di altri aspetti "minori". Due, però, possono bastare.
Lo scorso anno, al congresso dell'American College of Gastroenterology, è stato presentato un studio in cui il fumo si è rivelato un importante fattore nella comparsa dei polipi rettali, formazioni neoplastiche che, sia pure non maligne, possono causare diturbi funzionali non indifferenti. Non solo i polipi erano più grandi e numerosi nei fumatori, ma erano più freqiuentemente del tipo destinato a evolvere in tumore.
Nei pazienti fumatori, infine, è più lenta e meno soddisfacente la guarigione delle ferite superficiali, comprese quelle conseguenti agli interventi chirurgici. Le ragioni sono diverse innanzitutto c'è l'interferenza con l'ossigenazione dei tessuti nei quali, di conseguenza, i processi riparativi rallentano. Vi è anche un'azione sui neutrofili, cellule del sistema immunitario, tale che diminuiscono le difese contro i batteri, ragion per cui più facilmente le ferite si infettano. Nei fumatori di lungo corso si assiste anche a una diminuita produzione di collagene tanto che, in molti casi, i chirurghi plastici si rifiutano di intervenire con innesti cutanei nei pazienti fumatori: le caratteristiche assunte dalla cute, infatti, pregiudicherebbero la riuscita dell'intervento...

Maurizio Imperiali



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