Cervelli avvelenati

20 giugno 2008
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Cervelli avvelenati



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Ci sono patologie per le quali oltre a non esserci cura o rimedio, sono poco chiare o del tutto sconosciute, le cause. Di alcune, tuttavia, è noto il momento o la fase in cui hanno origine, e più sono precoci, nel percorso evolutivo del paziente, più sono permanenti i danni che procurano. I dati parlano di un bambino ogni sei con disabilità dello sviluppo che nella maggior parte dei casi interessano il sistema nervoso, disturbi nell'apprendimento, autismo, deficit dell'attenzione, ritardo mentale e paralisi mentale. Alcuni esperti sostengono che la percentuale di questi casi sia in aumento ma non ci sono sufficienti dati per dimostrarlo scientificamente, ma ciò su cui si accumula documentazione da diversi decenni è la relazione di causa-effetto tra alcuni composti chimici di origine industriale e il danno dello sviluppo neurologico.

Organo sensibile


La precocità del danno influisce sulla gravità in quanto un sistema nervoso in crescita è certamente più suscettibile ai danni provocati da agenti tossici, rispetto a un cervello adulto. Una suscettibilità dovuta da una parte a una minore complessità e quindi a una minore capacità di rispondere all'insulto, dall'altra alla natura stessa del percorso evolutivo. Le prime fasi della vita intrauterina, per esempio, vedono una stringa di cellule del foglietto embrionale ectodermico del feto che nel tempo dovrà svilupparsi in un organo complesso (il sistema nervoso) costituito da miliardi di cellule, specializzate, interconnesse e esattamente localizzate. I singoli neuroni seguono uno schema di sviluppo estremamente preciso e tutto ciò deve accadere in un intervallo di tempo stabilito. Questa fase rappresenta un finestra di suscettibilità che non si ripeterà più nella storia dell'individuo e che non si riscontra in nessun altro organo. La placenta offre un grado di protezione ma alcuni composti, per esempio, i metalli possono superare questa barriera e la barriera ematoencefalica non è completamente formata fino ai sei mesi dopo la nascita.

Effetto silente


Il riconoscimento della neurotossicità dei composti chimici purtroppo passa attraverso l'evidenza di un danno funzionale, nell'adulto tipicamente per esposizione occupazionale, nel bambino per episodi di avvelenamento acuto a dosi elevate. La fase successiva è lo studio della tossicità con esposizioni a basse dosi. Di solito, l'ipotesi è di un effetto tossico che segue una tendenza dose-dipendente, e se l'effetto clinico è atteso, quello subclinico può restare silente, cioè non essere riconosciuto e quindi essere escluso dalle statistiche. Esempi storici hanno dimostrato che per dichiarare neurotossico un composto si è dovuti arrivare a epidemie di effetti evidentemente riconducibili all'esposizione.

Casi storici

Esiste una lista di composti chimici la cui tossicità sul cervello animale è stata dimostrata, spesso usando modelli animali. In una rassegna pubblicata da The Lancet, gli autori ne hanno selezionato alcuni per i quali la neurotossicità è stata ampiamente documentata. Tra i composti inorganici e i metalli vengono segnalati il piombo, i fluoruri, l'arsenico il manganese e il metilmercurio. Negli anni '70 venne documentata la comparsa molto diffusa di deficit neurocomportamentali, con problemi mnemonici, cognitivi e comportamentali in bambini apparentemente asintomatici, che avevano elevati livelli di piombo nel sangue. Le agenzie regionali europee dell'Organizzazione mondiale della sanità commissionarono studi che hanno dimostrato le conclusioni fino ad allora ipotizzate. E attivando un controllo sulle fonti ambientali (additivi della benzina) di piombo ci fu una riduzione dei suoi livelli nel sangue dei bambini. Negli anni '60 un'epidemia di paralisi cerebrale, cecità e grave ritardo mentale interessò i bambini nati da madri che avevano consumato pesce pescato in acqua contaminate dal metilmercurio. Il fenomeno si è ripetuto in altre occasioni ed è stato studiato in vari lavori scientifici per arrivare alla conclusione che la neurotossicità si verifica anche a basse dosi. E per orientare le autorità ad aumentare i controlli sulla sicurezza alimentare. Nel 1955 in Giappone, il consumo di latte in polvere contaminato da arsenico provoco 12 mila casi di avvelenamento e uno studio successivo su adolescenti, allattati in quel periodo evidenziò un tasso dieci volte più alto di ritardo mentale in chi era stato nutrito con il prodotto contaminato.
Alla lista bisogna poi aggiungere i solventi, i pesticidi e alcune sostanze organiche come i policlorobifenili, usati come isolanti elettrici, ma finiti nell'olio alimentare in paesi asiatici. In questo e in altri casi la contaminazione ha provocato nei bambini ritardo nella crescita, basso quoziente intellettivo. Questa è solo una parte di ciò che è stato scoperto, studiato e documentato, viene da chiedersi quanto ancora non si sa, e quanto e che cosa si dovrà attendere per venirne a conoscenza.

Simona Zazzetta



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