Prospettive future

20 giugno 2008
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55 milioni, è questo il numero di persone destinate a morire a causa dell'AIDS entro il 2010. Ma la cosiddetta società civile cosa fa per fronteggiare questa tragedia? È la domanda che si pone l'ultimo numero del British Medical Journal (BMJ) cercando di trarre un bilancio della situazione attuale.

Mancano i fondi


Distribuzione di farmaci antiretrovirali ai poveri del mondo, aumentata consapevolezza delle donne, ricerca di un vaccino e cura ed educazione dei bambini resi orfani dalla malattia. Sono molti i punti all'ordine del giorno nella battaglia contro l'AIDS. A fronte di tutto questo solo un miliardo e settecento milioni di dollari è la cifra fino ad ora stanziata, rispetto a un fabbisogno stimato in 10 miliardi l'anno. Un dato stridente - sottolinea uno degli editoriali del British - se messo a confronto con le cifre sbalorditive stanziate per la campagna antiterroristica. La creazione di un fondo mondiale per combattere AIDS, ma anche tubercolosi e malaria, dovrebbe lasciar ben sperare, ma perplessità di fondo rimangono sia per le scarse risorse economiche finora raccolte sia per la scarsa attività di promozione di fronte all'opinione pubblica su che cosa ci si prefigge di fare. Nel suo libro "Theory of Justice" John Rawls sintetizza in quattro punti quelle che definisce come le "condizioni di giustizia". Prima di tutto soldi destinati a curare le persone già infettate e quindi farmaci antiretrovirali. Poi, risposte alle esigenze dei paesi più poveri piuttosto che attenzione alle priorità dei donatori. Il terzo punto riguarda l'abbassamento dei prezzi ed un maggiore spazio per i farmaci generici. Quarto e ultimo punto: risultati concreti e misurabili, in modo da incentivare gli investimenti pubblici. Ma come raggiungere queste condizioni?

Questione di prospettiva


E se si provasse con un gioco di ruoli a calarsi nei panni di una donna ugandese malata di AIDS? Forse il punto di vista cambierebbe. È la provocazione lanciata da Don Berwick, in un editoriale della Washington Post intitolato "Siamo tutti malati di AIDS" e ripreso dal British Medical Journal. Del resto secondo l'autore l'unico modo per sensibilizzarsi al problema è quello di sentirsi tutti malati di AIDS. Non solo - rincara la dose Berwick- le compagnie farmaceutiche dovrebbero trovare la maniera di distribuire i loro farmaci antiretrovirali gratuitamente alle popolazioni bisognose. Solo a partire da una migliore reperibilità dei farmaci è, infatti, pensabile di realizzare una struttura sanitaria degna di questo nome. Una provocazione che ha scatenato un acceso dibattito negli Stati Uniti.

Quali speranze?

In un quadro così desolante non mancano però segnali positivi ai quali appellarsi. Innanzitutto una dichiarazione di 130 donne ugandesi che, sulle colonne del BMJ, chiedono di essere protagoniste nella battaglia all'AIDS. Del resto chi meglio di loro può conoscere la malattia e come si insinua nel tessuto sociale? Per questo è necessario che i ricercatori ai avvalgano di questa collaborazione e non sottovalutino questo potenziale contributo. Anche perché un simile impegno può contribuire all'accettazione sociale dei sieropositivi. Un altro elemento di speranza è rappresentato dal vaccino anti-HIV che sembra ormai dietro l'angolo. Infatti solo un vaccino può debellare una epidemia che è destinata a diventare più grave della peste bubbonica del 14° secolo. Gli elementi che fanno auspicare la possibilità di sviluppare un vaccino sono parecchi: studi sulle scimmie, risultati positivi su altri retrovirus, risposte del sistema immunitario umano all'infezione da HIV riscontrate in un gruppo di prostitute di Nairobi. A condizione però che l'interazione tra politica, scienza e istituzioni sia proficua e che siano così superati gli ostacoli esistenti. Non solo. Tra i passi effettuati va annoverata anche la consapevolezza di come ridurre la trasmissione eterosessuale e quella da madre a figlio e di come assistere nella maniera più efficace il periodo della gestazione. Non va dimenticato, infatti, che il sesso non protetto rappresenta ancora oggi la principale causa di infezione, nonostante tutti i programmi preventivi, e che nel mondo ogni anno oltre 600000 neonati sono infettati dal virus per via materna.

Marco Malagutti



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