21 luglio 2010
Interviste
Un fegato per due
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L'Italia è ai primi posti nella donazione degli organi e di tessuti. Le differenze sono, però, notevoli tra Regioni e in molti centri le donazioni non sono ancora sufficienti. Per offrire una chance concreta a chi aspetta un intervento salva vita, la chirurgia ha fatto importanti progressi, soprattutto per quel che riguarda i trapianti di fegato. Ne abbiamo parlato con Enzo Andorno, responsabile UOS Chirurgia Trapianto di Fegato del San Martino di Genova.
Che cosa s'intende per split-liver?
E' una tecnica chirurgica che permette di dividere il fegato di un donatore in due parti, una più grande, la destra, e una più piccola, la sinistra. Le due sezioni vengono poi trapiantate rispettivamente - e nella maggior parte dei casi - in un adulto e in un bambino. I primi interventi di split-liver risalgono agli anni '80 e derivano dalla chirurgia epatica. Negli anni '90 è stato necessario svolgere un'accurata sperimentazione, per arrivare, così, a consolidare la tecnica usata oggi in moltissimi centri.
Una donazione che vale doppio, quindi?
Indubbiamente lo split-liver ha permesso di aumentare sensibilmente il numero di trapianti. In Liguria - una regione antesignana nell'applicazione di questa tecnica - e in molte altre Regioni la possibilità di destinare la porzione più piccola ai trapianti pediatrici ci ha permesso di azzerare le liste di attesa dei bambini.
Cos'è cambiato negli ultimi 10 anni?
L'evoluzione farmacologica e le competenze immunologiche garantiscono una sopravvivenza a 5 anni nel 70-75% dei casi, anche per neoplasia su cirrosi. La chirurgia, inoltre, si sta specializzando nella divisione del fegato in due parti più bilanciate in modo da poter eseguire due trapianti su adulti. La parte più ridotta è destinata a un adulto di piccola taglia e l'altra a uno con corporatura più massiccia. Questo ci permette di sfruttare al massimo ogni donazione e, quindi, di andare a diminuire i tempi di attesa anche per gli adulti. Lo split-liver può aiutare ad azzerare le liste d'attesa e anche a dare una risposta a chi pensa di poter risolvere questo problema cambiando i criteri di eleggibilità al trapianto.
E lei cosa ne pensa?
Le indicazioni per il trapianto devono seguire degli scrupolosi criteri scientifici che non tengono conto di alcun preconcetto. La mia esperienza personale dimostra che un trapianto di successo è possibile anche su pazienti portatori di handicap che possono brillantemente superare le aspettative di vita a cinque anni. I pazienti con epatiti possono, purtroppo, raggiungere sopravvivenze inferiori, ma non per questo possiamo dire che non devono essere trapiantati. Quando il trapianto rientra nei criteri va fatto. Io mi porrei il problema delle risorse limitate solo di fronte a un ritrapianto che da una parte è molto più pericoloso, e dall'altra sottrae una chance a chi, fino a questo momento, non ha avuto possibilità. Se poi il problema è sul piano economico, io credo che le organizzazioni scientifiche debbano prendere posizioni nette senza compromessi: eliminare gli sprechi, ma stare sempre dalla parte del paziente.
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...e inoltre su Dica33:
Che cosa s'intende per split-liver?
E' una tecnica chirurgica che permette di dividere il fegato di un donatore in due parti, una più grande, la destra, e una più piccola, la sinistra. Le due sezioni vengono poi trapiantate rispettivamente - e nella maggior parte dei casi - in un adulto e in un bambino. I primi interventi di split-liver risalgono agli anni '80 e derivano dalla chirurgia epatica. Negli anni '90 è stato necessario svolgere un'accurata sperimentazione, per arrivare, così, a consolidare la tecnica usata oggi in moltissimi centri.
Una donazione che vale doppio, quindi?
Indubbiamente lo split-liver ha permesso di aumentare sensibilmente il numero di trapianti. In Liguria - una regione antesignana nell'applicazione di questa tecnica - e in molte altre Regioni la possibilità di destinare la porzione più piccola ai trapianti pediatrici ci ha permesso di azzerare le liste di attesa dei bambini.
Cos'è cambiato negli ultimi 10 anni?
L'evoluzione farmacologica e le competenze immunologiche garantiscono una sopravvivenza a 5 anni nel 70-75% dei casi, anche per neoplasia su cirrosi. La chirurgia, inoltre, si sta specializzando nella divisione del fegato in due parti più bilanciate in modo da poter eseguire due trapianti su adulti. La parte più ridotta è destinata a un adulto di piccola taglia e l'altra a uno con corporatura più massiccia. Questo ci permette di sfruttare al massimo ogni donazione e, quindi, di andare a diminuire i tempi di attesa anche per gli adulti. Lo split-liver può aiutare ad azzerare le liste d'attesa e anche a dare una risposta a chi pensa di poter risolvere questo problema cambiando i criteri di eleggibilità al trapianto.
E lei cosa ne pensa?
Le indicazioni per il trapianto devono seguire degli scrupolosi criteri scientifici che non tengono conto di alcun preconcetto. La mia esperienza personale dimostra che un trapianto di successo è possibile anche su pazienti portatori di handicap che possono brillantemente superare le aspettative di vita a cinque anni. I pazienti con epatiti possono, purtroppo, raggiungere sopravvivenze inferiori, ma non per questo possiamo dire che non devono essere trapiantati. Quando il trapianto rientra nei criteri va fatto. Io mi porrei il problema delle risorse limitate solo di fronte a un ritrapianto che da una parte è molto più pericoloso, e dall'altra sottrae una chance a chi, fino a questo momento, non ha avuto possibilità. Se poi il problema è sul piano economico, io credo che le organizzazioni scientifiche debbano prendere posizioni nette senza compromessi: eliminare gli sprechi, ma stare sempre dalla parte del paziente.
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